Sembrava la trama perfetta per il grande romanzo americano. Quello che ogni scrittore a stelle e strisce sogna di riuscire a mettere assieme nel corso della sua carriera. C’erano tutti, ma proprio tutti, gli ingredienti al posto giusto. A partire da lui, Charles Manson, il figlio di una prostituta, il musicista fallito che sognava di diventare una rockstar. E poi, il West selvaggio, la sfida hippy a una società fasulla che poteva cambiare soltanto sull’onda d’urto del libero amore, della ricerca di una propria via alla spiritualità, dell’uso sfrenato di droghe psichedeliche. Per contorno, se ce ne fosse bisogno, si aggiungeva l’ombra dorata e ambigua di Hollywood, il profumo inebriante dello star system, il richiamo dei dollari e del successo. Per ultimo, con un colpo di scena tutt’altro che prevedibile, l’ingresso in campo della Morte. L’incubo di una serie di omicidi apparentemente senza un perché.
Era l’agosto del 1969, l’ultimo respiro di un decennio vissuto tra il sogno rivoluzionario di tantissimi giovani in giro per il mondo e l’orrido incombere della guerra nel Vietnam. La notte del 9 agosto, meno di due settimane dopo l’omicidio misterioso di Gary Hynman, veniva massacrata in una splendida villa di Cielo Drive, ricchissimo quartiere di Los Angeles, la giovane e bella attrice Sharon Tate, che era incinta di otto mesi. Quella sera suo marito, il regista di origine polacca Roman Polanski, non c’era. La notizia del massacro lo avrebbe raggiunto a Londra, dove si trovava per prepararsi a girare un nuovo film dopo lo scandaloso successo ottenuto con “Rosemary’s baby”. In casa, trovarono la morte anche il parrucchiere delle dive Jay Sebring, Voityck Frykowski, la ricca ereditiera Abigail Folger e il giovanissimo Stephen Earl Parent. Poche ore più tardi, con il medesimo rituale sarebbero stati eliminati anche i coniugi Leno e Rosemary LaBianca.
Non erano omicidi per rapina, quelli. Sui muri delle case, gli assassini avevano tracciato strane scritte con il sangue delle vittime. “Pigs”, “Death to pigs”, ma soprattutto “Healter Skelter”, che ricordava tanto, seppure storpiato, il titolo di una canzone dei Beatles contenuta nel leggendario “White Album”. Ma che significato potevano avere? E, soprattutto, che legame c’era tra persone così diverse, con in comune soltanto un certo successo, il benessere economiche e delle splendide case in cui vivevano? Gli investigatori, forse, non sarebbero mai arrivati alla verità se, a un certo punto, qualcuno della Famiglia di Charles Manson non si fosse messo a parlare troppo. Portando all’arresto di quello strampalato ometto che si lavava poco, sognava di diventare una rockstar e diceva di essere Gesù, oppure Satana. Comunque qualcuno in grado di cambiare le sorti dell’umanità.
Molti, per lungo tempo, hanno continuato a chiedersi chi fosse veramente Charles Manson. Dal procuratore Vincent Bugliosi, che riuscì a spiegare il suo folle progetto omicida e a farlo condannare prima alla pena di morte, e poi all’ergastolo, a famosi giornalisti e scrittori. Uno tra tutti, però, non ha mai smesso di interessarsi alla Famiglia, a quella strana setta di ragazzi che affiancavano con adorante ingenuità il nuovo Gesù-Satana. Anche perché Ed Sanders è sempre stato considerato uno dei punti di riferimento della controcultura americana. Fondatore del gruppo rock sperimentale The Fugs, anello di collegamento tra la Beat generation e il movimento hippy, attivista politico progressista, giornalista e scrittore, è riuscito a ricostruire con implacabile, maniacale precisione il percorso di Manson e dei suoi fiancheggiatori. Fino a distillare da quella mastodontica mole di informazioni, interviste, frequentazioni degli stessi protagonisti, mastodontici faldoni dei processi, investigazioni riservate, un libro aggiornato più volte. Che finalmente è uscito anche in Italia tradotto da Raffaele Petrillo e Silvia Rota Sperti per Feltrinelli: “La Famiglia” (pagg. 670, euro 25). Un indagine giornalistica, culturale, sociologica, che ha il sapore del grande romanzo.
Erano soprattutto le ragazze a cadere nella rete tesa da Charles Manson. Giovani donne inquiete, tutt’altro che stupide e quasi tutte molto carine, in fuga da famiglie che non riuscivano a dare loro quello che stavano cercando. Per di più ignare che il loro guru dagli occhi spiritati, il fascino animale, il vizietto di sfondarsi di droghe e sesso, aveva imparato molto in fretta a conoscere la via oscura del vivere. Dal momento che era figlio di una prostituta, mamma-bambina che lo aveva partorito a 16 anni senza avere idea di chi fosse il vero padre. E che al riformatorio prima, e in una cella poi, avrebbe imparato tutti i trucchi necessari a trasformarsi in un abile manipolatore, in un astuto illusionista, in un santone dal messaggio confuso, mutevole, eppure terribilmente affascinante in quegli anni di ricerca di una via alternativa alla spiritualità delle religioni istituzionalizzate.
E lui, Manson, si era lasciato molto presto alle spalle il sogno di inventare un nuovo modo di vivere tra il New Mexico, l’Arizona e la California. Perché scorrazzando nelle zone desertiche, insediandosi in qualche ranch, fingendo di delirare su un’ipotetica terra promessa da cercare sotto il livello del suolo, in realtà sognava soprattutto di farsi un nome nel mondo della musica. E ci era andato vicino, forse, quando Dennis Wilson, il batterista dei Beach Boys che facevano impazzire i ragazzi d’America surfando sulle note di “Good vibrations”, aveva lasciato intendere che alcune canzoni scritte dal barbuto emulo di Gesù, o di Satana, non erano niente male. Anche Terry Melcher, figlio della biondissima Doris Day e compagno di una delle attrici più amate dalla controcultura, Candice Bergen, aveva pensato bene di ricoprirlo di complimenti e illusioni. Salvo poi girargli le spalle quando i Beach Boys avevano deciso sì di incidere la mansoniana “Cease to exist”, ma cambiando il titolo in “Never learn not to love”, modificando il testo, riarrangiando la musica e cancellando, ovviamente, ogni riferimento al leader della Famiglia dai credits.
Così, nella mente di Manson si era aperta una voragine di rabbia e delusione. Amplificata dall’uso massiccio di hashish e Lsd, dal suo sempre più evidente razzismo e disprezzo per le donne e la gente di colore, dalle sfrenate pratiche di sesso di gruppo, con contorno di malattie veneree assortite, che puntava più a umiliare le ragazze della Famiglia che a farle sentire al centro del progetto. Fino a trasformare quel gruppo di anomali hippy in una congrega di bambole assassine. Pronte ad ammazzare seguendo la personalissima lettura che Manson fece della canzone dei Beatles “Helter Skelter”. Interpretandola come una premonizione della sanguinosa guerra che avrebbe contrapposto bianchi e neri. Chi sarebbe uscito vincitore da quel massacro avrebbe chiamato proprio lui, il folle Charlie, a guidare il mondo in un futuro imminente. Bastava soltanto far divampare il primo fuoco. Innescare, insomma, la scintilla ammazzando qualche ricco bianco a caso. Attori, vip, figli di facoltosi imprenditori. Un po’ di quell’America sempre in bilico tra puritanesimo e voglia di scandalo.
Il viaggio di Ed Sanders dentro l’oscuro immaginario della Famiglia si spinge fino ai corridoi più bui. Con una discesa nel maelstrom della magia nera, del satanismo, di un miscuglio di Scientology e suprematismo bianco, di razzismo e violenza bestiale, che Charles Manson allegramente imponeva ai suoi lobotomizzati adepti. Fino a convincerli che la violenza, il desiderio di ammazzare, può diventare la cosa più normale del mondo. Uno stile di vita scanzonato, alternativo, originalissimo. Perché, come dice Ed Sanders, “la merda a volte indossa uno smoking”. E si può far credere a chi smette di ragionare in maniera autonoma che uccidere le persone saldamente incardinate nella società possa diventare un atto rivoluzionario. Libertario. Non a caso, ancora oggi ci sono musicisti, intellettuali, agitatori della controcultura che provano a fare di Charles Manson un paladino della liberazione dal sistema. E lui, che in fatto di scaltrezza e opportunismo non era secondo a nessuno, negli ultimi anni della sua vita, fino alla morte sopraggiunta il 19 novembre del 2017 in carcere, ha saputo riciclarsi fondando un movimento ambientalista chiamato Atwa. Del quale facevano parte pochi, superstiti ex ragazzi hippy della Famiglia. Mascherando, dietro il messaggio di salvaguardia della Natura e del pianeta Terra, le stesse pulsioni violente del finire degli anni ’60.
Ed Sanders non può dimenticare, dopo 600 pagine della sua preziosa, documentatissima indagine sulla Famiglia, che Charles Manson non ha mai rinnegato niente della sua vita. Anzi, ha continuato a proclamarsi innocente ora prendendo in giro i suoi intervistatori, a tratti minacciandoli e promettendo loro una fine atroce. Non appena fosse riuscito a varcare le porte del carcere. Cosa che non è mai avvenuta.
<Alessandro Mezzena Lona