• 15/05/2018

Letizia Muratori: “I fantasmi sono tra noi, basta cercarli”

Letizia Muratori: “I fantasmi sono tra noi, basta cercarli”

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C’è una scrittrice italiana che non si nasconde dietro uno pseudonimo. Che non ha bisogno di inventare sofisticate tecniche di sparizione. Perché a Letizia Muratori interessa soprattutto fare bene il suo mestiere, che è quello di inventare storie. Di farle crescere dentro di sé. Trovando le parole giuste, ascoltando il loro ritmo come se fosse scandito da un metronomo, togliendo dalla costruzione del racconto tutti gli orpelli, le cose inutili, i tentativi di abbellire il testo solo per far capire ai lettori quanto si è bravi. Nei salotti televisivi non c’è mai, men che meno al centro di qualche rissa mediatica. Non resta che aspettare i suoi libri, sperando che non lasci passare troppo tempo tra uno e l’altro.

Adesso, a tre anni da “Animali domestici”, Letizia Muratori ritorna nelle librerie con una raccolta di racconti. Sei storie sorprendenti, originali, scritte con uno stile preciso, pulito, dalla geometrica precisione, pubblicate da La nave di Teseo sotto il titolo “Spifferi” (pagg. 110, euro 15). Un corto viaggio negli altrove della vita di ogni giorno, dove le assenze diventano presenze. Dove l’invisibile può trasformarsi in un invadente, visibilissimo esserci.

E di assenze, di persone invisibili, di figure rimosse dall’orizzonte dei giorni reali, questo libro è pieno. A partire dall’ossessivo fantasma di “Rispondi a Dimitri”, dove compare amico invisibile che si manifesta sulla linea del telefono. Un ossessivo, implacabile disturbatore seriale che, messo alle strette, rivela dietro a sé un abisso di solitudine, ma anche un inquieto manifestarsi. Per proseguire con la perturbante presenza-assenza di un gruppo di immigrati in “Miss Mucca”, costretti a galleggiare in un incertissimo presente scandito dal rischio di essere respinti alle frontiere, oppure rassegnarsi a una vita del tutto invisibile agli altri.

E se per ritrovare le tracce dell’amico Pietro, eccentrico e fanatico, eppure così fragile da finire i suoi giorni dentro una vasca con troppe pillole in corpo, bisogna mettersi sulle tracce di una medium “Alla deriva in Antartide”, per riportare a galla il ricordo di una madre in “Questa è la rosa bulgara” bisogna trovare il coraggio di ricordare ogni dettaglio della sua storia. Della sua morte. Anche se fa male. Ma gli “Spifferi” muovono l’aria pure attorno alla storia di una madre invisibile, di un utero in affitto, in “Ghost Crab”, che prova a inventarsi un approccio d’amore impossibile. E portano in scena un cane fantasma, in “Lascialo finire”, che sembra un sofisticato giocattolo per bambini. Ma che in realtà, visto da vicino, spalanca una porta sul buio.

Romana, partita dal mondo del giornalismo e del cinema, Letizia Muratori ha debuttato nel 2004 con il racconto “Saro e Sara”, ma già con il primo romanzo, “Tu non c’entri”, ha saputo attirare l’attenzione della critica e dei lettori. Tra i suoi libri più belli vanno ricordati almeno “La casa madre”, “Sole senza nessuno”, “Come se niente fosse”. Storie costruite in interni borghesi, dentro complicati rapporti di famiglia, che hanno saputo raccontare l’equilibrio delicato dei sentimenti, gli scenari nascosti dietro facciate apparentemente perfette, la penombra che il nostro tempo ha attraversato illuminandola con luci artificiali. Con convinzioni, tic, sentimenti e sogni interlocutori.

“L’idea che sta all’origine di ‘Spifferi’, in realtà, non è mia – racconta Letizia Muratori, che è stata ospite al Salone del Libro 2018 al Lingotto di Torino -. La rivista ‘Nuovi Argomenti’, un po’ di tempo fa, mi ha chiesto se volevo scrivere un racconto sul tema del fantasma. E io ho accettato subito, perché lavorare su commissione permette a uno scrittore di esplorare percorso sui quali forse, da solo, non si sarebbe mai avventurato. Mentre lavoravo a ‘Questa è la rosa bulgara’, non immaginavo che avrei provato una sensazione strana al termine della storia”.

Che sensazione era?

“Mi dicevo: ‘Non è finito. Devo raccontare ancora qualcosa’. Infatti, mi sono messa a scrivere un’altra storia. Senza avere chiara in testa l’idea di dover inventare per forza un nuovo racconto sul fantasma. Però, questa strana presenza si manifestava pure lì. Allora sono andata avanti, mi sono fermata soltanto quando ne avevo sei di racconti”.

Si è chiesta che cosa c’entrassero i fantasmi con la sua scrittura?

“Certo, ma sono riuscita a mettere a fuoco la risposta solo quando avevo ultimato tutti e sei i racconti. Nel libro, infatti, ci sono i fantasmi classici, l’ombra dei morti, ma anche quelli viventi. Cioè, le persone che molti di noi, in diversi momenti, percepiscono come inconsistenti. non visti. In ‘Spifferi’ ci sono molti stranieri, forestieri. Ecco, adesso mi rendo conto di essere riuscita a raccontare assenze, omissioni della contemporaneità molto importanti. L’aspetto curioso è che, tra le pagine, si incontrano i fantasmi tradizionali, ma anche quelli invisibili ai nostri occhi”.

Un modo di raccontare la realtà che potremmo definire laterale?

“Quando scrivo, non prendo mai la realtà di petto, ma cerco sempre di osservarla dagli angoli. In questo libro, poi, i fantasmi mi hanno concesso uno sguardo ancora più mediato, laterale, perché sono per definizione personaggi mimetici, che tendono agguati, che non si mostrano a comando”.

Nel mondo dei fantasmi letterari, prima di questo libro, si sentiva a casa?

“Ho sempre amato le storie di fantasmi. Anche se come scrittrice non mi ero mai misurata prima con questo genere letterario. Infatti, mi aspetto che i veri esperti trovino molto da ridire su questo accostarmi al mondo degli spettri. Soprattutto perché il mio modo di raccontarli è anche ironico. E se guardiamo come, invece, l’horror contemporaneo tratta l’argomento, ci possiamo accorgere che ha perso quel tono un po’ più leggero caratteristico dei testi classici. Più cupo, perché deve spaventare a tutti i costi”.

I suoi sono racconti governati dalla razionalità, ma lasciano uno spiraglio al trascendente?

“Credo che il punto di riferimento più giusto per queste storie sia una battuta di Malcolm Skey, grande scrittore e critico letterario. Diceva: ‘Non credo ai fantasmi, ma ne ho paura’. Ecco, io potrei dire che non credo ai fantasmi, però credo nei miei personaggi. Quindi, l’elemento razionale c’è perché il narratore deve sempre sospettare delle strane apparizioni. Però mi sembra giustissimo, dal punto letterario, introdurre il brivido trascendente nel momento in cui si verifica un fenomeno che va oltre i confini della ragione”.

È brava a scrivere romanzi, però le piacciono anche i racconti. Perché?

“Credo che uno scrittore bravo ami scrivere racconti. Ladiffidenza italiana nei confronti delle storie brevi è dovuta soprattutto all’assenza di buone riviste in grado di pubblicarli. Al contrario del mondo  di lingua inglese. Peccato, perché il pubblico mi sembra pronto per apprezzare un genere letterario che ha dentro di sé elementi di grande libertà creativa e stilistica. Spesso i miei romanzi sono fatti da racconti concatenati. Oppure sono novelle brevi che poi si allungano”.

Lavora i suoi libri come certi scultori, che dicono di dover cercare la forma già pronta dentro la materia?

“Credo che ogni libro sia pre-esistente alla scrittura. Certo che, poi, l’autore deve stare bene attento a capire dove sta andando. Ma animato sempre dalla convinzione che non deve aggiungere una parola di più, che non ha bisogno di modificare la forma. A volte, ci sono libri anche buoni rovinati da una ridondante ansia dello scrittore di mettersi in mostra. Di far vedere quanto bravo è. Io, per esempio, ho un ritmo narrativo tutto mio che sente profondamente e che cerco di seguire sempre. C’è un’economia narrativa che ti obbliga spesso a togliere certi passaggi inutili, sbagliati. Bisogna avere il coraggio di sottrarre”.

Oggi molti scrittori sono anche attori, performer. Lei no…

“Non mi precludo niente. Ma in questi anni ho cercato di restare concentrata con grande tenacia sulla scrittura, perché è la cosa che amo  di più. Poi, anch’io scrivo per i giornali, faccio le presentazioni. E so che ci sono autori molto bravi a promuovere i proprio libri, a convincere i lettori ad acquistarli. A me interessa più di tutto fare bene il mio lavoro”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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