Il tempo è un’invenzione. Il tempo è una condanna. Il tempo è un signore dispotico che ruba l’innocenza al nostro vivere. Che ci costringe a confrontarci di continuo con la fragilità delle cose che costruiamo. E che ci obbliga a riformulare in continuazione la medesima idea. Ad ammettere che c’è una scadenza per tutto. E che le nostre ore, i nostri minuti si assotigliano sempre più. Giorno dopo giorno.
Ma il tempo è anche un grande moderatore. Un inflessibile guardiano della soglia. Una vocina pedante, sgradevole, inevitabile, che sussurra all’orecchio dei potenti, dei despoti, di chi si illude d’essere immortale: “Arriverà anche per te il momento della fine”. Ed è proprio attorno a questa idea che ruota il nuovo romanzo dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr. Si intitola “Cox o Il corso del tempo”, lo ha tradotto Margherita Carbonaro per Feltrinelli (pagg. 203, euro 16). E arriva in Italia esattamente a tre anni di distanza da un libro potente come “Atlante di un uomo irrequieto”, che ha vinto il Prix de Meilleur Livre Étranger e il Prix Jean Monnet de Littérature Européenne.
Christoph Ransmayr, cresciuto nell’Alta Austria con il grande desiderio di conoscere il mondo, vissuto a lungo in Irlanda dopo aver studiato Etnologia e Filosofia a Vienna, si diverte a giocare con la realtà mettendo al centro del suo romanzo un alter ego del grande orologiaio e costruttore di automi James Cox, che in questo libro si chiama Alister. Fa la stesso mestiere dell’inventore di splendide figure meccaniche, conservate nei palazzi e nei musei d’Europa, ma anche nei padiglioni della Città proibita a Bêijing, solo che lui in Cina ci va davvero. Perché a chiamarlo lì, nel Diciottesimo secolo, è il Figlio del Cielo, il Signore del Tempo, il Divino Qiánlóng. Non certo per far costruire al maestro della meccanica qualcuno dei suoi raffinati e stupefacenti giocattoli.
No, l’uomo più potente della Cina, l’invisibile imperatore che regna sui suoi sudditi con mostruosa ferocia e altrettanto mostruosa leggerezza e voglia di vivere, esige che il maestro Cox inventi, e poi costruisca, uno strumento che possa misurare le ore, i minuti, i secondi di ogni essere vivente. Dal tempo dell’infanzia a quello della felicità, dall’amore alla malattia. Fino all’istante finale, all’appuntamento con la Morte. E lui, l’insuperabile Alister Cox, accetta la sfida. Non si fa spaventare nemmeno per un istante dall’arduo compito che gli è stato assegnato. Chiama a raccolta i suoi fedelissimi collaboratori, primo tra tutto Jacob Merlin (che nella realtà si chiamava Joseph), e si mette a disegnare, a progettare, a costruire.
Ma se Qiánlóng è conosciuto come il Signore dei diecimila anni, e la sua fama va molto al di là dell’inaccessibile Città purpurea, un motivo ci sarà. Infatti l’imperatore, mentre Cox e il suo staff sono già buon punto nella costruzione dell’ardito orologio, cambia idea. Impone loro di interrompere il lavoro. Per concentrarsi su un progetto (un capriccio?) ben più ardito. Qualcosa che dà le vertigini soltanto a pensarci. Una macchina, insomma, che sia in grado di misurare il divenire dell’universo. Ogni singolo istante, ogni minimo respiro, ogni impercettibile battito d’ali. Uno strumento che non si fermi mai. Un infernale marchingegno, insomma, che obbedisca al perpetuum mobile. Al moto perpetuo, in contraddizione con i principi della termodinamica.
Come si può dire di no a un imperatore che esercita il diritto di vita e di morte su chiunque si trovi accanto a lui? Infatti, anche questa volta. Cox accetta la sfida. Ben conscio, però, che il suo potere di eccezionale costruttore di macchine, di geniale inventore di congegni orologeria, finirà per infrangersi con la sopravvivenza stessa del Signore dei diecimila anni. Perché se lui, quando il rivoluzionario orologio sarà finalmente pronto, lo metterà in movimento, finirà per mettere un limite al suo spadroneggiare.
Costruendo un visionario romanzo dal fascino rétro, dove ogni dettaglio, ogni frase, ogni nuova invenzione, sono studiate perfettamente per formare un ingranaggio narrativo di grande efficacia, Christoph Ransmayr porta il lettore a viaggiare con lui in un tempo lontano. Invitandolo a ragionare sulla insensata ferocia e inarrestabile caducità del Potere. Sull’incapacità umana a rassegnarsi alla durata minima della fama, della gloria, come scriveva il grande Dante nel canto XI del suo Inferno: “Non è il mondan rumor altro ch’un fiato di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato”.
La decisione spetta al Signore dei diecimila anni: azionare, o meno, il perpetuum mobile? Davanti all’immensità del tempo, schiacciato dal peso di un potere terribvilmente più grande del suo, anche lui scoprirà d’essere un uomo. Piccolo, fragile. E pure meschino.
<Alessandro Mezzena Lona