• 10/09/2018

Anna Calvi, il canto liberissimo della cacciatrice

Anna Calvi, il canto liberissimo della cacciatrice

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Se fosse una maschera rituale, Anna Calvi avrebbe due facce. Un doppio volto, come Giano bifronte. Da una parte sarebbe ritratta la ragazza carina, dalla voce suadente, minuta e affascinante, capace di comporre canzoni dolci e malinconiche. Dall’altra, potrebbe apparire la donna con la chitarra che spara riff bollenti e gorgheggia versi elettrizzanti, dove chiede che l’identità di genere non sia chiusa dentro una gabbia. E che ognuno possa scegliere liberamente se essere uomo o donna, oppure entrambi. Perché stiamo vivendo un tempo in cui gli schemi non reggono più. Dal momento che a martellarli, lentamente logorarli, e forse un giorno demolirli per sempre, sono state la ricerca della libertà e della felicità.

Dopo una storia d’amore, vissuta a lungo con una donna, e all’inizio di una nuova relazione (“Trovo frustrante essere chiamata lesbica. Preferisco il termine queer”), Anna Calvi non ha paura di mostrare tutta la sua ambiguità. La sua voglia di cantare una donna che non ha paura di mostrare il lato più nascosto. Quello maschile. E lo fa in un album, il terzo della sua carriera, che si intitola “Hunter”. Dando alla figura della cacciatrice l responsabilità di brandire la chitarra come fosse un simbolo fallico e di urlare, sussurrare, accarezzare liriche dirompenti, provocatorie, liberatorie. “Mi stuzzicava l’idea di parlare di me stessa – ha detto la musicista –  come di una cacciatrice, dato che di solito le donne sono descritte come prede”.

Terza tappa di una carriera iniziata con la benedizione di quel genio di Brian Eno, che ha creduto subito in lei tanto da produrre il suo disco di debutto “Anna Calvi” del 2011, “Hunter” arriva a quattro anni di distanza dal secondo lavoro. Quel “One breath” che non aveva convinto fino in fondo, proprio per una certa mancanza di coraggio. O forse per la voglia di prendersi una pausa di riflessione, puntando su un gruppo di brani indubbiamente belli, ma un po’ troppo normali.

“Hunter”, invece, parte subito a mille. E prosegue per tutti i 44 minuti, in questo album registrato sempre per la Domino Recording e composto da dieci pezzi, come se la musicista volesse sparare le sue idee sul pentagramma senza attendere nemmeno un secondo. Nata a Twickenham, in Inghilterra, figlia di un italiano emigrato, leader all’inizio della sua carriera della band Cheap Hotel, arruolata nel suo primo tour nientemeno che come spalla degli Interpol e di Nick Cave al tempo del progetto Grinderman, il 20 novembre Anna Calvi sarà in concerto al Kino Šiška di Lubiana, il 21 al Teatro Regio di Parma, il 22 all’Hiroshima Mon Amour di Torino e il 23 al Largo Venue di Roma.

Voce che ricorda la migliore Siouxsie Sioux, leader dei Banshees,  e che rende omaggio alla musica gothic pur senza permettersi mai di imitare i vecchi miti delle sonorità oscure, Anna Calvi parte dalla bellissima “As a man”. Dove lascia che la sua voce da mezzosoprano voli libera, raccontando quanto spesso, di questi tempi, una donna si senta libera di camminare, parlare, pensare come un uomo. E, allora, a tratti, il canto si fa rauco, sussurrante, crea atmosfere ambigue. Per lasciare subito spazio a “Hunter”, un pezzo dall’andamento lynchiano, che starebbe benissimo in una puntata di “Twin Peaks”. Arriva, poi, uno dei brani più significativi e cantabili dell’album: “Don’t beat the girl out of my boy”, con una chitarra ruvida in primo piano e un cantato che sta a metà strada tra quello dell’immenso David Bowie, il Duca Bianco di mille trasformazioni, e l’inimitabile recitato della sacerdotessa del rock Patti Smith.

E se “Indies of paradise” e “Swimming pool” sono i due brani che fanno da traghettatori tra la prima e la seconda parte dell’album,, “Alpha” rompe gli indugi e affida alla splendida voce di Anna Calvi, qui rotta dall’emozione di un verseggiare per nulla allusivo, il compito di cantare l’inquietudine: “The lights are on the tv is on / My body is still on / Electrified statuette against the high rise / I wanna know if I can feel alive / I wanna know cause I’m an alpha / I divide and conquer”. La chitarra che graffia la pelle, poi, si spegne per lasciare posto ai brividi vocali di “Chain”, alla sorniona e seducente “Wish”.

Il finale di “Hunter” recupera la forza delle vecchie canzoni di Anna Calvi, quando preferiva affidarsi alla voce accompagnata, con grande delicatezza, dal suono in sordina della sua chitarra. E se “Away” dà voce al sogno di andarsene, di inventare un altro orizzonte, “Eden” regala arpeggi e vocalizzi che riescono a strappare dall’indifferenza anche l’ascoltatore più gelido e diffidente.

Intriso di bellezza e talento, costruito su una voce mutante, fascinosa e oscura, che non conosce limiti, e non vuole porseli, “Hunter” si rivela un disco emozionante e selvaggio. Coraggioso, sbarazzino, eppure in grande sintonia con la migliore tradizione del rock, della new wave, della canzone d’autore. E Anna Calvi si candida a diventare un simbolo della libertà di creare e di vivere il proprio tempo senza accettare restrizioni di qualsivoglia tipo.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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