A volte capita che un grande scrittore si fermi a guardare giù dal suo altissimo punto d’osservazione. E che s’imbatta in qualcuno molto meno famoso di lui. Forse un po’ sottovalutato perfino nel Paese dove vive e lavora. Perché, si sa, è più facile innamorarsi di chi vive a chilometri di distanza piuttosto che accorgersi di chi abita porta a porta con te. Quel grande scrittore, però, spesso intuisce che nei libri del collega molto meno famoso c’è tanta qualità. Non solo tecnica, non solo talento innato, ma passione, capacità di inventare una storia e di crederci fino in fondo, estrema attenzione per le parole, senso del ritmo e delle pause, del vociare convulso e degli opportuni abbassamenti di voce. Fino a sfiorare il silenzio.
Annie Ernaux, un giorno, si è accorta che in Italia vive e lavora una scrittrice che promette di trovare un posto di prima fila nella letteratura europea. Così, l’autrice francese di libri bellissimi come “Diario della periferia”, “Non sono più uscita dalla mia notte”, “Gli anni”, “Un donna”, ha riconosciuto in Nadia Terranova, siciliana di Messina con casa e lavoro a Roma, una voce dalla tonalità giusta. Tanto da affermare che la sua “scrittura sconvolge per la precisione e sensibilità”.
Con una benedizione così pesante, e importante, Nadia Terranova è tornata adesso in libreria, a tre anni di distanza dal suo libro di debutto “Gli anni al contrario”, con un romanzo nuovo: “Addio fantasmi”, pubblicato da Einaudi nella collana Stile Libero (pagg. 202, euro 17). Dove l’attenzione per l’equilibrio tra i ritmi della narrazione e la costruzione di un linguaggio scarno, tagliente, a tratti impietoso, eppure efficace, che possa sostenere le varie tappe del racconto, si è fatta ancora più precisa, mai leziosa né stonata.
Al centro della storia ci sono due donne: madre e figlia. La più giovane, Ida, che scrive i testi per un programma radiofonico, deve ritornare da Roma nella sua Messina per aiutare la mamma a prendere alcune decisioni importanti nella ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, che in seguito verrà messo in vendita. I vicini di casa, chiamati semplicemente “gli evangelici”, alzando un pavimento di qualche centimetro senza avvisare nessuno, hanno provocato danni pesanti al soffitto della casa. Infiltrazioni d’acqua, cadute di calcinacci e muffe che fanno marcire i muri. Intervenire è doveroso, oltre che necessario, per non ritrovarsi un giorno con un cumulo di macerie.
Macerie che, in realtà, hanno già invaso da tempo i pensieri, le giornate delle due donne. Da quando l’uomo di casa, Sebastiano, marito e papà, professore di professione scivolato troppo presto in una depressione difficile da sconfiggere, è sparito senza lasciare un messaggio. Senza spiegare la sua decisione di scappare da una vita troppo angusta. Il suo cadavere è stato mai ritrovato. Nessuno ha più dato notizie di lui. Così, continua a vivere negli incubi notturni di Ida, nelle frasi non più dette della madre. Dentro quel cerchio negromantico di isolamento e angoscia, in quel controllo della paura che è diventato diffidenza nei confronti della vita stessa, che le due donne hanno alzato tra loro e il mondo, là fuori.
Ritornare a Messina, respirare l’aria di casa, rivedere le vecchie fotografie, respirare l’aria di mare e pensare che proprio lì, in quel grembo d’acqua, il padre potrebbe avere messo fine ai suoi giorni, accarezzare gli oggetti che hanno fatto parte di un tempo rimosso, ma che in realtà troneggia ingombrante proprio al centro del loro orizzonte, porta Ida e la madre a rivivere il passato. Scavando, a ritroso nel tempo che credevano di avere esorcizzato, dentro ferite pronte a sanguinare di nuovo. Perché nessuna delle due donne ha avuto il coraggio di trovare un rimedio alla sparizione del loro uomo. Perché non si può continuare per tutta la vita a dialogare con chi non risponde. Chiedergli: “Non vuoi sapere se sono diventata grande, non ti interessa?”. E sentir rimbombare soltanto il silenzio più profondo.
Sarà nel confronto con se stessa e con gli altri, nel riesaminare il matrimonio sterile e sospeso in una formale solidarietà con Pietro, nel sapere che la vita non fa sconti a nessuno, nel capire che la felicità non esiste, ma ci possono essere degli attimi felici, che Ida troverà il coraggio di chiudere i conti con il lutto. Con l’incapacità di vivere senza puntare gli occhi sempre verso il passato. Servirà un gesto iniziatico, un chiudere per sempre alle proprie spalle la porta della giovinezza per spalancare quella di un tempo nuovo. Dove non c’è spazio per i fantasmi. Perché la perdita di una persona cara non può dettare il ritmo del cuore di chi rimane.
Molto brava a raccontare storie per ragazzi (una tra tutte: “Bruno il bambino che imparò a volare”, dedicata al grande scrittore di Drohobyč Bruno Schulz), Nadia Terranova trova nel suo secondo romanzo “Addio fantasmi” la ruvida, cantabilissima musicalità, la durezza, la sensibilità e l’implacabile precisione di un raccontare maturo e pieno di emozione. Perché sa dare sangue nuovo a temi più volte affrontati, in maniera eccellente, dalla letteratura come il guerresco rapporto tra madri e figlie, la discesa nel baratro dell’infelicità per un abbandono,. Il desiderio impossibile di una bambina che sogna di sconfiggere la depressione del padre con le sole armi del proprio amore.
Ma se non è sbagliato accostare Nadia Terranova già fin d’ora, anche se è agli inizi di una carriera letteraria foriera di altri libri magnifici, a nomi come quelli di Natalia Ginzburg e Elsa Morante, forse non è sbagliato riscontrare nel suo impasto narrativo la stessa forza, intrisa di una dirompente passione per la scrittura, e la stessa dolorosa sincerità narrativa della Marguerite Duras dei tempi migliori.
<Alessandro Mezzena Lona