• 18/10/2018

“L’apparizione”, quando la fede è sotto indagine

“L’apparizione”, quando la fede è sotto indagine

“L’apparizione”, quando la fede è sotto indagine 1024 576 alemezlo
Credo quia absurdum. Dicono fosse Tertulliano, un apologeta del Secondo secolo dopo Cristo, a sostenere con forza nel “De carne Christi” che la fede deve per forza farsi largo a spallate nei territori della ragione. Perché per credere in qualcosa di irrazionale, immateriale, impalpabile e indimostrabile, come l’esistenza di Dio e il manifestarsi di una realtà “altra”, è necessario abbandonare ogni ragionamento. È indispensabile smettere di porsi domande. È obbligatorio eliminare ogni dubbio. Per convincersi che c’è una sola e unica verità: la più assurda, appunto. La più lontana dai confini rigidi del pensiero lucido.

Eppure, ci sono eventi che mettono a dura prova perfino la fede. Apparizioni, manifestazioni di esseri di luce, messaggi che arrivano da dimensioni sconosciute. Ammonizioni, premonizioni, parole e gesti attribuiti alla divinità. Epifanie che scuotono gli animi e pongono interrogativi difficili da risolvere perfino per le gerarchie religiose. Perché, quasi sempre, il trascendente si svela a persone che nell’immanente non hanno ruoli di primo piano. Spesso sono ragazzini, oppure soggetti che vivono quasi ai margini della società. Veggenti, insomma, in perfetta sintonia con le parole del Vangelo “beati i poveri di spirito”.

In questi territori, minati come un campo di battaglia, si è voluto avventurare il regista, produttore e sceneggiatore francese Xavier Giannoli. Non certo un autore qualunque, ma quello che al suo esordio, nel 2003 con “Corpi impazienti”, ha ricevuto due nomination i Premi César. E che nel 2006, dopo essere passato per il Festival di Cannes con “Quand j’étais chanteur, di nomination ai César ne ha incassate addirittura sette. Senza dimenticare che, nel 2015, ha incantato molti critici e spettatori della Mostra del Cinema di Venezia presentando la sua “Marguerite”, deliziosa biografia non autorizzata di Florence Foster Jenkins, l’unica cantante lirica completamente stonata, interpretata magnificamente da Catherine Frot.

E il film di Giannoli non poteva che intitolarsi “L’apparizione”. Visto che ruota proprio attorno alle presunte visioni di una giovane veggente, che afferma da tempo di avere ricevuto la visita della Madonna. E di voler portare in dono al mondo tutto l’amore che la madre di Cristo le ha trasmesso.

Come spesso accade, la giovane veggente vive in un villaggio della Francia che è molto lontano dalle scintillanti luci del mondo. Anna (che ha il volto, gli splendidi occhi febbrile e il corpo minuto della bravissima attrice Galatea Bellugi, ventunenne figlia d’arte di origine italiana, che ha debuttato in palcoscenico sotto la guida della grandissima Ariane Mnouchkine) afferma con trasognata convinzione che avere ricevuto la visita della Vergine Maria mentre si trovava in un bosco accanto al villaggio. Subito, attorno a lei, si è messa in moto la macchina della venerazione e dei pellegrinaggi, sapientemente orchestrata da un enigmatico Padre Borrodine (Patrick d’Assumçao). Ma ancor più manipolata, dietro le quinte, da un tecnologico e astutissimo Anatol Taubman (Anton Meyer), che sa orchestrare con grande abilità il nascente culto della personalità attorno alla fragile veggente utilizzando i social network e le moderne strumentazioni.

Ma il Vaticano non ci sta. Fiuta puzza di marcio dietro la troppo rapida santificazione della giovane Anna. Decide, così, di mandare al villaggio una commissione d’indagine di cui farà parte un reporter di guerra. Un uomo, questo Jacques (il favoloso Vincent Lindon, che all’inizio della sua carriera ha lavorato con personaggi come Coluche e Alain Resnais, e poi ha dimostrato di saper recitare con grandissima professionalità ruoli drammatici e brillanti), tormentato dal ricordo di un amico fotografo morto al fronte, che non riesce a vincere i fantasmi della sua mente, le paure che si porta dentro. E finisce per chiudersi in casa, tappando le finestre per impedire alla luce di entrare.

Eppure, quando si trova in prima linea, su un altro fronte di guerra, quella della probabile mistificazione, della costruzione di una colossale bugia per truffare la povera gente, Jacques ritrova la febbrile passione per il suo lavoro. E da giornalista scrupoloso non si ferma alle verità apparenti. Ma va a indagare nelle zone buie della vita di Anna, ricostruisce legami che, a un esame superficiale, sembrano non essere influenti per interpretare le visioni ultraterrene. Ritrova testimonianze che raccontano di una ragazzina fragile, sballottata da una famiglia adottiva a un convitto per orfane, rimasta all’improvviso senza la sua mica più cara, scomparsa nel nulla portando forse con sé un segreto indicibile.

La grande forza del film di Xavier Giannoli è di saper raccontare Anna, il suo tormentato rapporto con il divino, le persone che le ruotano attorno a lei, senza emettere giudizi. Allineando i passaggi della storia con fredda, precisa, lodevole equidistanza. Pur lasciando che, sotto traccia, fluisca costante l’emozione per un racconto che è insieme perturbante e lucidissimo.

E anche quando si avvicina alla conclusione della storia, che promette un intelligente cambiamento di prospettiva, lascia che l’intricato retroscena che sta alle spalle della rivelazione rimanga comunque ambiguo. In modo tale che chi guarda possa emettere un verdetto del tutto personale sulle “apparizioni” svelate da Anna. Perché la verità si rivela fragile, interlocutoria, esposta a manipolazioni.

Più che un film sulla fede, sulla sua richiesta di credere in qualcosa che sia “absurdum”, Xavier Giannoli costruisce la sua “Apparizione”, come già aveva fatto in “Gloria”, sulla necessità per moltissime persone di cullare un sogno. Di proiettare in alcuni eventi, o in alcune figure carismatiche, la realizzazione di quel desiderio. E allora, raccontando la storia della giovane Anna, alla fine non ha più importanza capire quale macchinazione, quali squallidi tornaconto personali possano esserci dietro il carrozzone delle visioni divine, m quanto forte può diventare il desiderio di portare sulle proprie spalle il peso immane delle altrui illusioni. Perché la giovane veggente, alla fine, si troverà a rappresentare lo schermo bianco, il foglio immacolato, su cui altri proietteranno, scriveranno, incideranno impietosamente i propri desideri.

Ecce homo, diceva Pilato davanti al Cristo flagellato e con la corona di spine in testa. Ecce mulier, potrebbe scrivere Xavier Giannoli sul manifesta della sua “Apparizione”. Perché il martirio di Anna, nel finale del film, diventa un messaggio potente per il nostro tempo. Vera imitazione di Gesù sulla croce. Lui che, anche per chi non crede nella sua divinità, ha saputo rinunciare a se stesso portando sulle proprie spalle, fino alla morte atroce, la sete di trascendente che altri proiettavano sulla sua persona. Ma, in questo caso, il messaggio ha la forza di un grido strozzato in gola. Visto che lo scempio del corpo, nel nome dell’idea, avviene sula corpo di una donna. Orfana, amata da tutti e da nessuno, crocifissa nel ruolo di vergine sacra,.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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