• 18/01/2019

Olivier Assayas, il futuro è un tradimento

Olivier Assayas, il futuro è un tradimento

Olivier Assayas, il futuro è un tradimento 1024 576 alemezlo
Non si può scrivere il futuro se si fa fatica a governare il presente. E non basta stare appiccicati allo schermo di un computer, vivere costantemente connessi con smartphone e tablet, disquisire sulla progressiva e inevitabile sparizione dei libri, dei giornali, dei vecchi strumenti d’informazione, se è già difficile costruire una storia d’amore che abbia un senso. Se è impossibile evitare di usare le persone come fossero oggetti. Se non si riesce a capire che non è giusto giocare con i sentimenti, magari solo per costruire il proprio trampolino verso un effimero successo.

Ed è proprio lì, nella difficoltà di gestire la propria vita, e di conseguenza nella scarsa possibilità di immaginare un futuro credibile, che il regista francese Olivier Assayas costruisce il tessuto narrativo del suo nuovo film. Girato a due anni di distanza da “Personal shopper”, e a quattro dal fortunato “Sils Maria”, “Il gioco delle coppie” denuncia nel suo titolo originale “Doubles vies” l’intenzione di esplorare questa ambiguità di fondo nel nostro vivere. Questa doppiezza che fa spendere montagne di parole, che fa bruciare tonnellate di ragionamenti, che fa costruire architetture di scenari possibili, regolarmente smantellati dal nostro meschino gestire la ritualità di ogni giorno.

Al centro del “Gioco delle coppie”, che porta il regista parigino solo in apparenza a virare verso la forma della commedia brillante, ci sono Alain (che ha il volto enigmatico e la presenza ipnotica di Guillaume Canet), un editore a capo di una delle case editrice più prestigiose di Francia, e Léonard (l’arruffato e ambiguo Vincent Macaigne), uno scrittore che non è capace di costruire romanzi se non mette al centro delle proprie storie se stesso, le sue avventure erotiche, le donne che lo hanno accompagnato per un tratto della vita. Amanti ignare che sarebbero finite dritte al centro delle trame che lui va inventando.

Entrambi sono tormentati da un approccio con il proprio tempo che, in apparenza, può sembrare in conflitto. Un conflitto irrisolvibile, visto che Alain si interroga sulla necessità di correre incontro al futuro dell’editoria, di piegarsi alle richieste del mercato. Soprattutto, di assecondare una generazione di possibili lettori che guardano alla carta stampata con sempre maggiore indifferenza, perché nel loro orizzonte esistono solo i supporti digitali. Léonard, da parte sua, si sente un eroe perché resiste nel suo voler produrre letteratura vera. Storie, insomma, che abbiano un senso nella vita reale, non in quella virtuale.

In realtà, tutti e due sembrano molto più coinvolti nella gestione quotidiana dei loro piccoli tradimenti coniugali. Perché se Alain finge grande interesse per la possibile rivoluzione editoriale che gli propone la bella millenial Laure (che ha l’affascinante presenza scenica di Chrisata Theret), e ascolta appena le sue proposte di virare verso gli autori di “tweet che sono gli haiku di oggi”, o di pubblicare qualche nuovo talento che costruisce i suoi testi con il linguaggio così caro ai social network, ma in realtà è molto più coinvolto da quello che la giovane rampante gli può regalare sotto le lenzuola, Léonard intesse una tresca con la moglie del suo editore, l’attrice di teatro convertita alle serie tv Selene (la sempre ipnotica Juliette Binoche). E quando lei gli comunicherà che la loro storia si è esaurita, lui prometterà di non farne materia del nuovo libro. Ben sapendo che non riuscirà a mantenere la parola data, perché in realtà è capace soltanto di sceneggiare quello che gli capita veramente. Anche se, poi, ai critici va dicendo che niente di quello che racconta è davvero autobiografico. O forse sì, però…

Costruito tra bistrot e splendide case, tessuto con un diluvio di parole che bisogna ascoltare attentamente per capire che Olivier Assayas non sta giocando all’intellettuale da salotto, ma sbatte il nostro mondo sul banco degli imputati, e al tempo stesso sul lettino dello psicoterapeuta, “Il gioco delle coppie” è un film ben piantato al centro della contemporaneità, eppure assai distante dal nostro modo di gestire la realtà. Perché il serrato scambio di dialoghi tra i personaggi, il continuo ragionare su quello che è e che, invece, potrebbe essere, strappano la maschera alla difficoltà strutturale di gestire il tempo, la vita, i rapporti con gli altri. Perfino la creatività, visto che molti scrittori, molti registi, fanno fatica a immaginare, a inventare intrecci. E ripiegano sul proprio vissuto. Tradendo tutto e tutti. Usando la modernità come paravento per nascondere abissi di meschinità.

E forse, non a caso, Olivier Assayas regala l’unico briciolo di speranza al personaggio che non fa parte di questo mondo. A Valérie (la sorprendente, intensa Nora Hamzawi). A una giovane donna che deve guadagnarsi da vivere affiancando un imbarazzante uomo politico. Sarà lei, nel finale del “Gioco delle coppie”, ad aprire uno spiraglio di luce in questa claustrofobica danza mentale dei fraintendimenti e delle menzogne. Bugie che vengono enunciate, in salotti e sale da pranzo di una borghesia ormai frastornata, come probabili verità.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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