• 05/02/2019

Massimiliano Parente: la realtà, senza niente nascondere

Massimiliano Parente: la realtà, senza niente nascondere

Massimiliano Parente: la realtà, senza niente nascondere 300 168 alemezlo
“L’ho guardata anche troppo in faccia la realtà. Ho scritto opere devastanti sulla realtà, solo sulla realtà, e contro la realtà”. Si potrebbe partire da qui per parlare di Massimiliano Parente. Rovesciando, per una volta, la prospettiva e prendendo come spunto il finale del suo nuovo libro. Perché in queste due righe c’è la chiave che apre il mondo letterario dello scrittore nato a Grosseto, che vive da molti anni a Roma. Un mondo dove si rischia di perdere l’orizzonte, se si pensa di affrontare i suoi libri così, alla leggera. O, peggio ancora, considerandoli dei divertissement. Delle parodie riuscite del nostro mondo, buone a strapparci un sorriso, magari anche una risata di cuore, e poi scivolare via per permetterci di ritornare ai nostri pensieri.

No, Massimiliano Parente non è uno scrittore scacciapensieri. E anche se i titoli dei suoi libri possono sembrare uno sberleffo acchiappalettori (basterebbe pensare a “L’amore ai tempi di Batman”, o al provocatorio “Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler”), non è lì che bisogna fermarsi. Perché, partendo dalla “Trilogia dell’inumano” (formata da “Contronatura”, “La macinatrice” e “L’inumano”), passando al saggio dedicato a Marcel Proust, per arrivare fino al lavoro più recente, “Parente di Vasco” (La nave di Teseo, pagg. 109, euro 16), è evidente la sua voglia di guardare la realtà negli occhi. Senza regalare illusioni, senza concedere vie di fuga.

Bisogna dire subito che Massimiliano Parente ha la forza indiscutibile di prendere schegge, assai pop, del nostro vivere quotidiano per costruirci attorno una storia pirotecnica, eppure intrisa di disillusione e di amarezza. Per riempire una trama scintillante e, perché no, accattivante, costruita addirittura, a volte, con gli stilemi del romanzo di genere (da quello rosa a quello giallo), con personaggi e situazioni, dialoghi e riflessioni che si rivelano pagina dopo pagina capaci di portare sempre al centro del discorso la realtà dell’essere.

Ecco, “Parente di Vasco” è un libro che rappresenta molto bene il mondo letterario di Massimiliano Parente. Perché lo scrittore, in questo romanzo breve, dall’andamento nervoso, prende in prestito una delle icone della cultura popolare italiana. La rockstar per eccellenza degli ultimi quarant’anni: Vasco Rossi. E accanto al Komandante, come lo chiamano le migliaia di fan che affollano sempre i suoi concerti, mette un altro personaggio dalla forza dirompente: se stesso. Con nome e cognome. Ma attenzione, e qui sta il gioco sottile e perturbante della finzione: il Massimiliano Parente che si muove nel divenire della storia si maschera, finge di corrispondere all’altro Massimiliano Parente, per poi rivelarsi in realtà soltanto un alter ego. Una replica generata dal meccanismo letterario. Così vicina, eppure così lontana, dall’originale.

E tanto per dire che con lui non si scherza (altro che “Madame Bovary c’est moi” di Gustave Flaubert), Massimiliano Parente parte da un pugno di pagine potenti. Dove racconta la sua amicizia speciale con Vasco, il posto d’onore che gli riserva sempre il Blasco, con tanto di poltrona piazzata in palcoscenico, il loro reciproco scambio di ammirevole considerazione per il lavoro creativo che fanno. E quando già chi legge è pronto a digitare, su Google, i loro nomi per avere altri dettagli su quel rapporto così speciale e solido, per trovare, insomma, le corrispondenze nel mondo reale, ecco che l’incantesimo si sgretola. Il sogno si rivela in tutta la sua brutale falsità. E l’autore, o meglio il suo doppio, resta lì a tentare di immaginare ancora come sarebbe diversa, e migliore, la sua vita se davvero potesse entrare da protagonista nel microcosmo della rockstar.

Ricordando bene “Re per una notte”, il film girato da Martin Scorsese con gli strepitosi Robert De Niro (nei panni del comico che non sfonda mai Rupert Pupkin) e Jerry Lewis (la terribile star interpretata da Jerry Lewis), Massimiliano Parente comincia a progettare il rapimento di Vasco. Perché, con il rocker di Zocca per amico, la sua amata compagna Luna non minaccerebbe più di lasciarlo. E poi, anche lui, come scrittore ,sarebbe assai più considerato. Senza dimenticare che chi sa comporre canzoni così intrise di smagati ragionamenti sulla realtà lo aiuterebbe di sicuro a guarire da quel dolore sordo, che non lo vuole abbandonare, generato dalla morto di suo padre.

Un po’ come Stefano D’Arrigo, lo scrittore di Alì Terme, provincia di Messina, che bruciò vent’anni della sua vita sull’altare del romanzo-capolavoro “Orcynus Orca”, così anche il protagonista di “Parente di Vasco” si trova a ripercorrere con orgoglio e sgomento i lunghi anni consacrati a mettere a punto opere monumentali come la “Trilogia dell’inumano”. Millesettecento pagine meditate e scritte per togliere tutte le maschere alla realtà. E per ritrovarsi, poi, sull’orlo della disperazione, sul baratro della solitudine, del non amore. Ma basterà un gesto estremo, il rapimento di un divo amatissimo, a rimettere a posto le tessere del mosaico di una vita disperata e intensa?

Il Massimiliano Parente che vuole rapire Vasco si renderà conto che “Luna ha cominciato a odiarmi perché io ho sempre denunciato ogni illusione, non ho mai lasciato spazio a altro che a questa mia denuncia inesorabile, feroce e disperata della realtà e della natura, e per scrivere i miei libri ho sempre trascurato tutto e tutti, pensando solo a me stesso, e poi neppure più a me stesso, solo a scrivere i miei libri contro tutto e contro tutti”. E allora, l’idea di rapire il rocker di Zocca finirà per rivelarsi solo un grande equivoco. Una mistificante scorciatoia dettata dal desiderio di apparire. Perché non può essere un gesto così plateale e vuoto di senso a rimettere a posto i conti con il proprio essere.

Feroce, dolente, beffardo e umanissimo, scritto con una lingua immediata, che nasconde un lungo percorso di letture e pensieri, questo nuovo libro di Massimiliano Parente non è solo uno sguardo impietoso sul nostro tempo, sui meccanismi perversi del divismo, sulla confusione sempre più evidente tra i piani del reale e dell’immaginario. Non è la solita riflessione su una società schiacciata tra miti interlocutori e un oceano di solitudine. Ma è anche uno sguardo limpido e tagliente sull’essere uomini. Su “questa nostra specie penosa che non ha mai accettato di dover morire, che si è inventata una vita dopo la morte, mentre la vita non ha alcun senso e nessun fine, e tutto sparirà nel nulla, e tutto sarà niente, un giorno, un giorno che non sarà niente per nessuno perché non ci sarà più nessuno”.

La vita spericolata del Massimiliano Parente di carta e parole, insomma, finisce per apparire assai più estrema e vera di quella che canticchia Vasco alla radio e negli stadi. Perché la letteratura, quando si rifiuta di essere pura consolazione e intrattenimento, non nasconde niente. Reinventa, mistifica, immagina. E, a ben guardare, sa iniettare nei testi, proprio con la sua forza d’invenzione, il seme del dubbio. Per trovare “un senso a questa vita, che va avanti senza senso da quattro miliardi di anni”. Perché, in fondo, un senso non ce l’ha.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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