• 05/05/2019

Stanlio e Ollio, il commovente tramonto di due mattacchioni

Stanlio e Ollio, il commovente tramonto di due mattacchioni

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“Mio padre ha detto che il cinema ucciderà i comici”. Stan Laurel, nel pronunciare questa battuta, non poteva evitare che la malinconia strisciasse dentro di lui. Perché era stato suo padre, attore pure lui, a ripetergli quelle parole. Dopo aver visto “in faccia l’ansia dei curiosi, la disperazione dei falliti, la momentanea allegria di una smorfia”, come immaginava Osvaldo Soriano detto Il Gordo. Il geniale scrittore e giornalista argentino, morto nel 1997, che aveva reinventato il periodo più buio della vita di Stanlio in un romanzo baciato dal dio della creatività e della fantasia: “Triste, solitario y final”, tradotto da Glauco Felici nel 1978 per Einaudi.

Ma quello era un romanzo. Dove Osvaldo Soriano poteva permettersi di inventare un incontro impossibile. Quello di Stan Laurel, che non riusciva a lavorare più dopo la morte dell’inseparabile compagno Oliver Hardy, e il detective Philp Marlowe. Pure lui corteggiato dalla miseria, assediato dalle bollette da pagare e dai debiti disseminati un po’ dovunque, dopo l’effimero successo riscosso grazie ai romanzi di Raymond Chandler: da “Il grande sonno” del 1939 fino all’incompiuto “Poodle springs story”, che lo scrittore non riuscì a completare prima della morte avvenuta a La Jolia, California, nel 1959.

John S. Baird ha voluto seguire un’altra traiettoria. Sì, perché il regista scozzese che ha lavorato con Martin Scorsese alla realizzazione di “Vinyl”, serie tv della Hbo, e firmato pellicole come “Ivanhoe, “The expolrers guild”, “Filth”, è andato a ritroso nel tempo per raccontare gli anni difficili di Stan Laurel e Oliver Hardy. Quelli in cui i produttori cinematografici non si facevano trovare al telefono, inventavano riunioni infinite per non incontrarli. Svicolavano davanti alla loro proposta di girare una versione del “Robin Hood” totalmente dissacrante e folle. Quel tempo, insomma, in cui sembrava che la gente avesse smesso di ridere per le loro gag.

Il cinema, in quel momento, era pronto a uccidere (dal punto di vista artistico, s’intende) due attori che avevano rivoluzionato la comicità. E John S. Baird ha voluto raccontare proprio quegli anni difficili. Partendo dal 1937, dal momento in cui Stanlio e Ollio sono all’apice del successo dopo aver girato “I fanciulli del West”, con l’indimenticabile balletto, il regista ha costruito il suo film “Stanlio & Ollio” ritrovando le tracce del loro “British Tour”. Ovvero della serie di spettacoli teatrali che portarono la formidabile coppia in Inghilterra e in Europa. Prima in malinconici teatrini di periferia semivuoti, poi con un sempre crescete successo. Perché il pubblico non li aveva dimenticati, anche se ormai si stavano affermando nuovi comici: gente come Abbott e Costello, ribattezzati in Italia Gianni e Pinotto. Che ricalcavano, con rimodernata capacità recitativa, gli schemi comici di Laurel e Hardy.

Nel film, proiettato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nel 2018, Stanlio e Ollio sono una coppia pronta a scoppiare. Perché tra loro, oltre alle troppe mogli, ai debiti, si è messo anche un episodio mai chiarito. Il tradimento di Hardy, che aveva continuato a recitare senza Laurel dopo che il magrolino aveva rotto in maniera clamorosa con il produttore Hal Roach a causa della sua imbarazzante simpatia per Benito Mussolini. E, se non bastasse, anche per i compensi del tutto inadeguati che continuava a offrire alla premiata ditta.

Ma a legare la coppia più comica di sempre era un affetto sincero. un’amicizia che andava al di là delle cattiverie sussurrate nei momenti di difficoltà, di malinconia e frustrazione. Reduci entrambi da problemi di alcolismo, incapaci di gestire i loro matrimoni con un pizzico di lucidità e distacco, Oliver e Hardy si ritrovano di nuovo insieme 16 anni dopo la loro clamorosa, e mai spiegata, separazione. Ormai vecchi, affaticati, con evidenti problemi di salute, ma una capacità di stare in scena e di inventare situazioni comiche, surreali, irresistibili, unica al mondo, raggranellano i soldi della tournée europea aspettando che il produttore Harold J. Miffin (che Ollio si ostina a chiamare Muffin) rompa il suo silenzio. E accetti di finanziare il “Robin Hood” a cui la coppia continua a lavorare con incrollabile ottimismo e impegno.

Quando a Londra, dove si prepara un successo trionfale, arrivano le rispettive “ragazze”, le mogli Ida e Lucille, l’una così egocentrica eppure solida e insostituibile, l’altra estremamente ansiosa e possessiva, le vecchie incomprensioni ritornano a galla. E la coppia rischia di separarsi per sempre. Se un principio di infarto, che costringe Oliver a una temporanea sospensione del tour, non rimettesse bene a fuoco l’incredibile sintonia, il profondo affetto che ha sempre legato i due più grandi mattacchioni della storia del cinema.

Girato evitando sapientemente i tranelli della retorica, divertente e commovente, malinconico e narrativamente ineccepibile, “Stanlio & Ollio” può contare sulla precisa, misurata, ammirevole recitazione di Steve Coogan nei panni del magrolino Stan Laurel e di John C. Reilly in quelli del ciccione Oliver Hardy  (lo si può vedere adesso al cinema anche nei “Fratelli Ststers” di Jacques Audiard). Ad affiancarli sono alcune spalle di lusso come Danny Huston che recita la parte del “fascista” Hal Roach, la splendida Nina Arianda fumatrice incallita e signora Ida Kitaeva Laurel, Shirley Henderson ansiosa e fragile Lucille Hardy. E poi un untuoso, imprescindibile Rufus Jones nel ruolo dell’ambiguo manager Bernard Delfont.

Commuoversi, soprattutto nel finale, è facile. Pensando, soprattutto, che alla morte di Hardy, Laurel ha continuato per anni a scrivere scene e battute da recitare in coppia. Come se il ciccione, un giorno, potesse ritornare in scena confessando: “Era tutto uno scherzo”. E poi, ridere, ridere, ridere per le intramontabile gag di Stanlio e Ollio, che non stancano mai.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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