• 16/09/2019

Dave Eggers, il senso della vita è tutto nella “Parata”

Dave Eggers, il senso della vita è tutto nella “Parata”

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Ci vuole coraggio. A immaginare una storia che, all’apparenza, nessuno vorrà leggere. Il viaggio, insomma, di due uomini su una strada in costruzione in un Paese senza nome, fratturato in due parti di territorio ancora dominate dall’incertezza. Uno Stato di quelli inseriti nella fascia detta del Terzo Mondo, dove è da poco finita una cruenta guerra civile. Come dire, un intreccio statico, un incedere lento, un rinunciare fin da bel principio a qualche possibile colpo di scena. Insomma, ci vuole coraggio a scrivere un romanzo che vada contro tutte le regole delle scuole di scrittura, che si faccia beffe delle raccomandazioni che gli editor non smettono di impartire agli scrittori. Come dire, un salto nel buio dell’editoria contemporanea. Un ritorno a un passato dove non si metteva assieme un testo con l’ansia di vendere un gran numero di copie, ma per seguire il proprio istinto di narratore.

Ci vuole coraggio, appunto. E Dave Eggers ne ha avuto, tanto. Perché pensare di pubblicare “La parata”, tradotto da Francesco Pacifico per Feltrinelli (pagg. 140, euro 15), dopo libri di culto come “Il cerchio”, “Ologramma per il re”, “Zeitoun”, significa credere ciecamente nella propria idea. Del resto, non scopriamo adesso che lo scrittore nato a Boston, che vive nel Nord della California, sia pronto a tirare dritto per la propria strada quando è convinto di dover fare qualcosa. Basterebbe ricordare che, anni fa, ha dato vita alla casa editrice McSeeney’s. Ma soprattutto è stato co-fondatore di 826 National, una rete di scuole di scrittura creativa per giovani disagiati. Oltre a ScholarMatch, organizzazione no profit che sostiene i ragazzi non abbienti negli studi universitari.

E poi, in realtà, “La parata” è tutt’altro che un azzardo narrativo. Anzi, Dave Eggers ha saputo costruire una storia che di statico non ha niente. Perché alterna un divenire continuo di micro episodi, di piccoli mutamenti di orizzonte, di progressive messe a fuoco del racconto, che rendono questo libro un piccolo gioiello di tecnica narrativa. I due protagonisti sono pedine di un gigantesco ingranaggio, che finisce per ridurli a livello di intercambiabili comprimari. Numero Quattro è l’incarnazione del perfetto esecutore di ordini. Numero Nove, invece, sembra inventato apposta per far saltare il banco. Per mettere in discussione ogni regola, ogni ordine, ogni protocollo.

Questa strana coppia si trova a dover condividere, in maniera forzata, un viaggio di lavoro. Loro arrivano dal Primo Mondo, sono due contractor, ingaggiati dal nuovo Potere per realizzare in dieci giorni una striscia di asfalto levigatissimo, che attraverserà l’intero Paese.  Dovranno tracciare, cioè, una strada adatta a ospitare la parata di riconciliazione tra le due metà dello Stato. Numero Quattro, il più esperto, deve guidare un’avveniristica macchina asfaltatrice, l’RS-80. Un mezzo di grande livello tecnologico che gli consentirà di portare a termine la missione nel tempo pattuito. È metodico, coscienzioso, non si sognerebbe per nulla al mondo di infrangere il rigido codice di comportamento che gli è stato assegnato. Non accetterebbe per nessun motivo di abbandonare il mezzo che deve guidare. Consuma i suoi tristi pasti preconfezionati, a fine giornata, nella tendina montata al bordo della strada. Non accetta nessun tipo di contatto con le persone che incontra al bordo del sentiero. Non saluta, non parla, evita di entrare in rotta di collisione con eventuali ribelli sparsi lungo il percorso.

Numero Nove è l’esatto contrario. A rispettare le regole dettate dall’azienda che lo ha ingaggiato non ci pensa proprio. Preferisce scorrazzare a bordo del suo quad, con la scusa di controllare che davanti all’RS-80 non ci siano ostacoli, o possibili agguati di sabotatori. In realtà, visita tutti i paesini e gli agglomerati urbani che incontra, flirta con le ragazze che gli si avvicinano, mangia piatti gustosi cucinati nelle case di persone sconosciute. Fino a quando si ammala, gravemente. E, allora, anche l’imperturbabile routine di Numero Quattro, le sue giornate governate da gesti sempre uguali, finiscono per cambiare. Perché, per provare a salvare il suo indisciplinato collega, dovrà scendere a patti con la realtà. Fregarsene delle regole, contrattare un aiuto con misteriosi compagni di viaggio. Infrangere la legge per procurarsi le medicine.

Difficile resistere al fascino de “La parata”. Perché l’andamento lento di questo romanzo che è parente stretto del “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, ma anche di “Aspettando i barbari” di J.M. Coetzee, all’improvviso diventa frenetico, pur restando dentro i confini del suo quieto incedere. Sulla striscia d’asfalto nero e senza grinze prende forma un’allegoria sottile e originalissima della condizione umana. Sospesa tra rispetto delle regole e voglia di trasgressione. Governata dalla precisione inflessibile dell’homo faber, scardinata dalla dirompente creatività e vitalità dell’homo ludens. Dilaniata dall’essere sempre fedele alla linea, ligia alle regole, rispettosa dei protocolli dettati dal Potere, ma anche tentata dalla voglia di stracciare gli ordini, di esplorare il mondo, di saltare tutti gli steccati per vedere che cosa c’è al di là.

In più, Dave Eggers tiene in serbo, per il finale, una zampata ad effetto, da grande scrittore qual è. Perché “La parata” è solo il simbolo di quanto imperscrutabili siano le regole che governano il Potere. E di quanto misero sia il valore della condizione umana davanti alla ragion di Stato. Spesso, non vale la pena nemmeno comunicare agli esseri ininfluenti, ai sudditi, quale sarà il loro destino. “Sarebbe inutile – scriveva Franz Kafka nell’inquieto e magistrale racconto ‘Nella colonia penale’ – visto che dovrà farne conoscenza sulla propria carne”.

<Alessandro Mezzena Lona<

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