• 12/12/2020

Cristò, l’inquieto fascino de “La carne”

Cristò, l’inquieto fascino de “La carne”

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Il ricordo del passato, troppo spesso, regala illusioni. Delinea storie che, forse, sono frutto soltanto dell’immaginazione. Ma che servono come esorcismo nei confronti di un presente difficile da riconoscere, da decifrare. E se vi imbattete in una voce narrante che ripete all’infinito “nel mondo com’era quando avevo otto anni”, allora è arrivato il momento di concentrarsi per davvero. Perché dietro la nostalgia, nascosto nell’ombra di un mito costruito sulle rassicuranti fondamenta di un tempo che non tornerà più, si nasconde il racconto di qualcosa di davvero strano. Che vale la pena ascoltare.

Una storia di zombie, per esempio. Di persone che si svegliano un giorno, dopo sonni e sogni inquieti, e finiscono per fare la fila davanti a giganteschi centri raccolta, dove distribuiscono carne cruda senza che le scorte si esauriscano mai. Una storia di misteriose visioni notturne in cui uno che dice di essere Averroè, il più influente filosofo musulmano insieme ad Avicenna, detta enigmatiche rivelazioni. Una storia, ancora, in cui il tempo assume una forma circolare. E tutto ritorna, esattamente nel momento in cui le cose rischiano di perdere il proprio significato.

Un storia, insomma, come quella che racconta Cristò nel suo romanzo “La carne”, pubblicato da Neo Edizioni (pagg. 166, euro 14). Un libro, è giusto dirlo subito, capace di attirare l’attenzione su un autore che di mestiere fa il libraio a Bari, suona il pianoforte, ha pubblicato altri cinque opere narrative, di cognome fa Chiapparino. E si rivela, fin dalle prime pagine, come una delle voci più originali e fuori dal coro dell’attuale panorama della letteratura italiana.

Dire zombie può generare strane idee. Perché “La carne” non è affatto un romanzo di genere. Niente a che vedere con “La notte dei morti viventi” o “The Walking Dead”, tanto per capirci. Se proprio vogliamo trovare una legame, seppur sottile, con qualche opera narrativa contemporanea potremmo tirare in ballo “Carnaio” di Giulio Cavalli, il romanzo selezionati tra i finalisti del Premio Campiello 2019. Ma se nel libro dell’autore, attore e drammaturgo milanese (che, a proposito, ha pubblicato da poco con Fandango il suo nuovo lavoro intitolato “Disperanza”) si poteva leggere un forte intento di denuncia per l’atteggiamento di criminale indifferenza e fastidio provato da molti in Italia, e in Europa, nei confronti degli immigrati che arrivano a ondate dai Paesi dell’Africa, nel romanzo di Cristò l’orizzonte si presenta assai più largo.

Perché è il concetto stesso di umanità, di empatia nei confronti degli altri, di sentirsi esseri dotati di un’etica, che mostra tutte le sue ferite profonde, nella storia raccontata da Cristò. Anche perché gli zombie non sono i tradizionali morti viventi sempre a caccia di qualcuno da mordere e sbranare. No, sono dei disperati che non capiscono che cosa sia successo loro. Quale maledetto sortilegio li abbia sradicati dalle proprie case, dalla prevedibile, ma rassicurante, routine quotidiana, per trasformarli in rifiuti della società. In esseri ripugnanti, e perturbanti, che hanno smesso all’improvviso di essere mamme, figli, padri, amici, per diventare bersagli contro cui chiunque si può scagliare. Anche perché, per soddisfare la loro infinita fame di carne, rimane una sola possibilità: sguinzagliare per le strade squadre di cittadini, autorizzarli a massacrare di botte gli esseri mostruosi, e poi riciclare i loro corpi stessi come cibo. Scaricando tutte le teste in giganteschi depositi, dove andranno a formare una sorta di mastodontica creatura di Frankenstein fatta di occhi, bocche, nasi, orecchie.

La storia de “La carne” è innescata da una strana rivelazione. Quella di un paziente che si presenta nell’ambulatorio di un medico e gli dice di essere molto preoccupato. Perché ha trovato sul tavolo della cucina, appena sveglio, un foglietto scritto a mano. Con la sua calligrafia. In casa non c’era nessun altro, e lui non ricorda di essersi svegliato nel cuore della notte per annotarsi quelle frasi. In quel momento, come in un cortocircuito temporale, iniziano a fluire i ricordi di un ottantenne, che va spesso a vedere al cinema film porno soprattutto perché in sala può fumare tranquillamente. Sarà lui, sempre pronto a criticare il presente con i suoi ricordi di “quando avevo otto anni”, ad attraversare un tempo dove l’immobilità ha fagocitato tutto. Cancellando pure quel momento netto di separazione tra la vita e la morte.

Un tempo in cui le persone possono sentirsi davvero sole, emarginate, irrecuperabili, se all’improvviso si impossessa di loro un’inspiegabile, tremenda fame di carne. Perché non è una malattia da poter curare, quella che è venuta a stravolgere le loro vite. È più un disagio profondo che riesce a trovare forma soltanto nei sogni. E da lì dilaga lentamente, come certi virus informatici che in poco tempo avviluppano e poi si impossessano dei sistemi operativi delle macchine,

“La carne” è un libro che inquieta e affascina. Proprio perché evoca il sussurro delle tenebre, anche se racconta una storia in piena luce. Perché porta il lettore ad ammirare lo stile preciso e limpido, la lingua esatta, la costruzione narrativa fatta di rivelazioni e segreti, di epifanie e verità taciute. Il coraggio, insomma, di Cristò di costruire un romanzo assolutamente diverso da tutti quelli che tufrano in ballo gli zombie, dal momento che non accetta mai di scivolare verso i toni dello splatter, di concedersi troppo facili effetti horror.

Quando capita la fortuna di leggere un romanzo di uno scrittore che non ha paura di essere diverso dagli altri, bisogna concedersi un piccolo soprassalto di gioia. E leggerlo quel libro. Anche se gli zombie non vi appassionano. Perché “La carne” di Cristò è un’altra cosa.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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