• 07/02/2021

Anna Kańtoch, il richiamo del “Buio” è perturbante

Anna Kańtoch, il richiamo del “Buio” è perturbante

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Si può provare a definirla una scrittrice di romanzi fantastici. Ma subito Anna Kańtoch sfugge, scivola via, per sottrarsi alla stupida moda di ingabbiare ogni autore che compare nel nostro orizzonte. La sua nota biografica la descrive come una delle autrici fantasy polacche più influenti e originali. Esponente di punta del gruppo Harda Horda. Ma lei, nelle interviste, dice che tra le tante storie pubblicate, alcune possono tranquillamente essere definite realistiche. E allora? Non resta che affidarsi al testo, L’unico, per il momento, pubblicato in Italia.

Il titolo originale del romanzo di Anna Kańtoch è “Czarne”, ovvero: nero. Ma l’ottima traduzione di Francesco Annichiarico propone, con felice intuizione,  la variante “Buio” (pagg.186, euro 16). A pubblicare il libro è una delle case editrici italiane che sta mettendo assieme uno dei migliori cataloghi in circolazione. E sì, perché Carbonio Editore può già contare sulla riscoperta di autori come Colin Wilson, come i fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Quelli, per intendersi, che con il loro “Picnic sul ciglio della strada” hanno fornito al grande regista Andrej Tarkovskij le suggestive visioni contenute in uno dei suoi capolavori: “Stalker”. Senza dimenticare altri nomi, che l’Italia letteraria ignorava, come Jill Dawson, Sarah Blau, Jurij Oleša, Jenni Fagan. Non si possono non segnalare, inoltre, i testi di saggistica proposti negli ultimi anni: uno tra tutti, quello del filosofo sudafricano David Benatar, autore dello spiazzante e lucidissimo “Meglio non essere mai nati” (leggi l’intervista pubblicata da Arcane Storie il 20 marzo del 2019: “La vera tragedia dell’essere uomini? È nascere”).

Sono gli anni maledetti delle leggi di Norimberga, in Germania. Quando, nel 1935, gli ebrei vennero ridotti alla condizione di “soggetti”, razza inferiore a cui era negato ogni tipo di relazione con i tedeschi ariani. Una donna senza nome, dimessa da un sanatorio per malati di nervi sul Baltico, arriva a Varsavia insieme al fratello Franciszek. Ma fin da quando insieme a lui rievoca l’infanzia, l’adolescenza, il passato insomma, capisce che tutte le cure del dottor Krepiński non sono servite a fare chiarezza dentro di lei. Soprattutto, non hanno saputo esorcizzare tutte le storie legate a Buio, l’amata casa di campagna dove trascorrevano lunghi periodi con tutta la famiglia.

Non sono solo i ricordi di un padre, medico oculista, che portava a Buio le amanti di turno, fingendo che fossero muse ispiratrici delle tele che andava dipingendo da pittore dilettante, e neanche la malinconia legata al disagio della madre, costretta ad accettare quell’andirivieni di donne in casa. Ma, soprattutto, la morte misteriosa di Jadwiga Rathe. La bella attrice che era arrivata a Buio nell’estate del 1914. E che non s’era mai andata, perché era rimasta uccisa in un misterioso incidente.

Ritornare a Buio, per la protagonista, significa dover risolvere quell’enigma del proprio passato. Attorno a cui ruota tutta la sua storia di donna. E allora sarà il contatto con una veggente, Malgorzata Lenhort, e con i componenti dell’Associazione spiritistica di Varsavia, a suggerirle di immergersi nel mondo delle ombre. Per trovare una risposta, evitata per troppo tempo, ai dubbi che la tormentano.

Delusa dagli spiritisti, la donna di “Buio” sarà costretta a trovare da sola la strada per rileggere il passato. Senza fermarsi davanti all’oscurità del suo inconscio dove “i ricordi si sparpagliano in frammenti disgregati”. Perché proprio lì, nella perdita di un centro di gravità, nell’incamminarsi su traiettorie sempre più incerte e perturbanti, la protagonista riuscirà a vivere una sorta di regressione. Vedendo se stessa bambina con gli occhi dell’adulta. Scambiando il proprio io con quello di Jadwiga Rathe. Finendo per subire il corteggiamento del suo stesso papà, mentre lei in qualche modo si muove dentro il corpo dell’attrice uccisa. Senza smettere di osservare il tutto come se la casa di Buio fosse una gigantesca macchina del tempo che le consente di muoversi liberamente tra un susseguirsi di piani temporali frammentati, eppure intrecciati tra loro.

Romanzo potente sui tranelli e la necessità della memoria, sui suoi disvelamenti inaspettati, “Buio” è un noir dai forti richiami psicanalitici, uno straordinario sguardo sull’intricato scambio di amore e veleni tra genitori e figli, una coraggiosa immersione nelle pulsioni sessuali della prima metà del ‘900,, ancora terribilmente ingabbiate in un reticolo di divieti e pregiudizi. Nelle pagine di questo romanzo, Anna Kańtoch, laureata in Lingua e letteratura araba all’Università di Cracovia, dimostra tutta la sua bravura nel costruire personaggi complessi, intrecci delicati, fragili eppure estremamente articolati, scenari sospesi tra la nostalgia e il rifiuto di una sintonia con certe convenzioni sociali dettate dall’ipocrisia.

Così, “Buio” scorre sotto gli occhi del lettore come una storia elettrizzante nel suo artificio narrativo. Capace di turbare per la sua discesa profonda nel maelstrom della psiche umana. Per lo straniante coraggio di non farsi intimidire dal lato oscuro dei personaggi, dei fatti, della vita che non smette mai di raccontare bugie.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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