• 26/03/2021

Carmen Pellegrino: la “Felicità” è lì, tra le ombre

Carmen Pellegrino: la “Felicità” è lì, tra le ombre

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Non è la trama l’aspetto più importante dei romanzi di Carmen Pellegrino. Non è l’ossessione di raccontare una storia che prenda il lettore per il bavero e lo tenga fermo immobile dalla prima all’ultima pagina, con gli occhi fissi sul libro. No, la scrittrice nata a Postiglione degli Alburni, un paese che sta quasi a cavallo tra la Campania e la Basilicata, nel Parco nazionale del Cilento, e non conta ormai più di duemila abitanti, preferisce prestare la voce ai luoghi che l’hanno persa, alle persone che passano sempre inosservate agli occhi degli altri. Ascolta le ombre, interroga le case abbandonate, insegue il suono leggerissimo di destini che non saranno mai protagonisti. Perché hanno conosciuto troppo bene il dolore, la solitudine, la delusione del tradimento, l’assenza di qualcuno capace di regalare loro una carezza.

Per innamorarsi dei libri di Carmen Pellegrino bisogna uscire dalla grande autostrada del romanzo contemporaneo. Seguire i passi leggeri e forti di una scrittrice che riporta alla ribalta una tradizione appartata di certa letteratura italiana del Novecento. Quella che richiama alla memoria nomi oggi troppo poco ricordati: Corrado Alvaro, il Silvio D’Arzo di un capolavoro come “Casa d’altri”, il Bonaventura Tecchi de “La vedova timida” e “Tre storie d’amore”. Come questi grandi autori, anche lei sa esplorare quel mondo che sembra laterale al nostro, ma che in realtà è soltanto scivolato fuori ai margini dell’orizzonte. Perché non ha saputo adeguarsi al ritmo frenetico di una società che tutto consuma, divora, digerisce e dimentica troppo in fretta.

La critica ha capito subito il valore del progetto letterario di Carmen Pellegrino. Prova ne sia che il suo romanzo di debutto “Cade la terra”, pubblicato da Giunti, nel 2015, ha conquistato subito il Rapallo Carige per l’opera prima e l’ingresso tra i cinque finalisti del Premio Campiello. Al secondo libro, “Se mi tornassi questa sera accanto”  del 2017 (che ricorda nel titolo il verso di una splendida poesia dedicata da Alfonso Gatto a suo padre), è andato invece il Premio Dessì. Ma non basta, perché per definire il suo lavoro di scrittura l’Istituto Treccani ha coniato apposta un neologismo: abbandonologa.

Ma attenzione a non illudersi di liquidare Carmen Pellegrino come una scrittrice che ripropone sempre la stessa storia. Perché lei, di formazione storica della modernità che ha pubblicato saggi sulle lotte studentesche, le condizioni di sfruttamento e il razzismo, riesce sempre a sorprendere.  Pur restando fedele alla voce interiore che le detta sintonie con i vinti, più che con i transitori trionfatori sulla complessità del vivere. E se “Cade la terra” raccontava i fantasmi di un borgo abbandonato ormai arreso all’oblio, con un fortissimo personaggio di donna al centro, Estella, pronta a tenere in vita le anime dei fantasmi, “Se mi tornassi questa sera accanto” tratteggiava la figura di un padre a cui la realtà ha tolto tutto, ma non l’illusione di riportare accanto a sé la figlia, affidando alla corrente del fiume lunghe lettere indirizzate a lei.

Con “La felicità degli altri”, il nuovo romanzo di Carmen Pellegrino pubblicato da La nave di Teseo (pagg. 239, euro 18), cambia ancora il fuoco del racconto. Perché questa volta, al centro della storia, c’è Cloe, una donna ferita dalla vita fin dagli anni dell’infanzia. Tanto da essere allontanata dalla propria famiglia per entrare alla Casa dei Timidi, un rifugio per giovani anime ferite sognato e poi realizzato da due originali guardiani: il Generale, convinto che prima o poi i bambini chiederanno conto a Dio di tutto il dolore che viene loro inflitto, e Madame. Ma sarà un’altra figura marginale, eppure luminosa, ad aprire la strada a Cloe verso il lato oscuro della sua vita: il Professor T., bizzarro e solitario docente di Estetica delle ombre, che la aiuterà a non esorcizzare le voci del passato. Che la condurrà lentamente a ritrovare i propri passi perduti: quelli che portano a incamminarsi verso un confronto drammatico, eppure liberatorio, con le ferite inferte dalla vita.

“Dicono che il corpo sia più vicino all’inconscio di quanto lo sia la coscienza”. Ascoltando la voce della poesia, senza nulla tacere sul dolore di vivere, Carmen Pellegrino costruisce in questo romanzo un ritratto di donna che dovrà imparare a far camminare insieme il dolore e la speranza. Che dovrà convivere con l’ingannevole mutazione dei ricordi e la ricerca di un amore possibile.. Lentamente, lasciando che sia la protagonista a raccontare la sua storia, intrecciata a una miriade di sottostorie, il libro segue la sua deriva con una sensibilità che non sconfina mai nell’abbandonarsi a una facile retorica dei sentimenti. Ed è la lingua esatta, pulita, colta, a dettare il ritmo come un metronomo sintonizzato con il battito del cuore dei luoghi, delle persone.

Cloe diventa, pagina dopo pagina, non soltanto la bambina che cerca di guardare in faccia le ombre del passato. Ma anche la donna capace di non fuggire dalla sua “diaspora interiore”. Da quella casa con il pavimento dissestato, e stanze in cui non vuole entrare più, che si è lasciata alle spalle. Dovrà attraversare l’oscurità, venire a patti con un passato infestato da molesti fantasmi, per ritrovare la propria luce che la aspetta da qualche parte, brillando nel buio. Perché, come scriveva Paul Celan in “Parla anche tu”, la poesia citata da Carmen Pellegrino in esergo alla sua “Felicità degli altri”, “dice il vero, chi parla di ombre”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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