• 15/09/2022

William Dalrymple: “La Compagnia delle Indie, una storia tenebrosa”

William Dalrymple: “La Compagnia delle Indie, una storia tenebrosa”

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Il terzo millennio ha regalato agli Stati nazione un pensiero tenebroso in più con cui confrontarsi. Quello che li mette in guardia sul fatto che alcune grandi corporation, da Facebook a Google, da Amazon a Microsoft, potrebbero decidere di infischiarsene delle regole dettate dai governi. E varare una sorta di oligarchia economico-affaristica supernazionale, pronta a dribblare, per non dire ridicolizzare, le regole varate dai governi per la tutela dei lavoratori, per il trattamento dei dati personali, per la creazione di apparati di sicurezza privati, per la regolamentazione del flusso delle merce.

Spettro, quello delle aziende fuori controllo, che ha un’antenata rimasta per troppo tempo confinata in un buco nero della memoria. Ma che uno scrittore dalla prosa nitida, coinvolgente come il britannico William Dalrymple, ha tolto dalla polvere. Raccontando questa tenebrosa vicenda in alcuni saggi narrativi di grandissimo fascino. Il più recente si intitola “Anarchia”, lo ha tradotto Svevo D’Onofrio per Adelphi (pagg. 633, euro 34). Libro che va a completare una quadrilogia pubblicata negli ultimi vent’anni, frutto di una ricerca minuziosa, esplosiva, curata con la passione e la precisione dello storico, ma anche con la felicità di racconto del narratore di razza.

“Anarchia” è una bomba ponta a esplodere a ogni pagina. Perché William Dalrymple racconta, documenti alla mano, come circa 400 anni fa un avventuroso gruppo formato da trentacinque sudditi della corona britannica diede vita a una società per azioni (o se preferite, con un termine più vicino al nostro linguaggio, una start-up). Nasceva così la Compagnia delle Indie Orientali che riuscì a ottenere una patente costitutiva da parte della corona inglese per consentirle di “muovere guerra” a quello che era uno dei Paesi più ricchi ed evoluti del mondo: l’India. Così, nel tempo, riuscì a mettere assieme un esercito privato di quasi duecentomila uomini capace di decretare la fine del regno dei Moghul con un uso astutissimo, spregiudicato e ferocemente sanguinario della diplomazia e della forza bellica.

Ma l’aspetto dirompente della storia della Compagnia, come scrive William Dalrymple, e che non furono gli inglesi a conquistare l’India. Perché dietro questa frase si cela una realtà più sinistra: “Non fu il governo britannico che iniziò a dilaniare l’India, un pezzo alla volta, a metà del diciottesimo secolo, ma una società privata pericolosamente non regolamentata, basata in un piccolo ufficio di sole cinque finestre a Londra e gestita in India da un predatore aziendale violento, assolutamente spietato e, a tratti, mentalmente instabile: Robert Clive. La transizione dell’India al colonialismo avvenne per mano di una società a scopo di lucro, che operava al solo fine di arricchire i suoi investitori”.

Il bottino depredato all’India andò a riempire le casse della Compagnia con banconote, gioielli preziosissimi, ricchezze di ogni tipo conquistate al prezzo di massacri, angherie, metodi di gestione del potere che andavano al di là di ogni legittimazione democratica e costituzionale. “Il forte di Power Castle – scrive William Dalrymple – è semplicemente stracolmo di bottino indiano: le sue stanze traboccano di spoglie imperiali estorte nel diciottesimo secolo dalla Compagnia delle Indie Orientali. Vi sono più manufatti moghul accatastati in quella villa privata nella campagna gallese che esposti in qualsiasi luogo dell’India – incluso il National Museum di Delhi”.

Questo spregiudicato sistema di conquista di terre lontane portò gli uomini della Compagnia delle Indie Orientali a pensare che fosse possibile infiltrarsi con la stessa tecnica anche in madrepatria. Destabilizzando il fragile potere democratico di Londra con l’uso massiccio della corruzione, dei conflitti di interesse, delle influenze operate in maniera assai torbida.

“Questo è il quarto libro che scrivo raccontando la storia della Compagnia delle Indie Orientali – spiega William Dalrymple, ospite di Pordenonelegge 2022 -. Il mio lavoro di ricerca è iniziato nel 1999, ‘Anarchia’ è stato pubblicato in Gran Bretagna nel 2019, in Italia nel 2022. Quindi posso dire di avere dedicato vent’anni della mia vita a consultare fonti e documenti, e poi a scrivere questa storia. Non ho seguito un ordine cronologico. Infatti, a essere pignolo, questo non sarebbe il quarto ma il primo dei volumi. In Inghilterra, infatti, hanno riunito tutti e quattro in un box, in modo che il lettore possa avere una visione più ordinata della mia opera”.

Da dove è partito?

“Dalla fondazione della Compagnia delle Indie Orientali in ‘Anarchia’. Il libro copre un periodo che va dal 1599 e il 1803. Tra l’altro, c’è una coincidenza interessante: il 1599 è l’anno in cui William Shakespeare scrisse ‘Amleto’ e ‘Giulio Cesare’. Poi arriva ‘Nella terra dei Moghul Bianchi’ che va dal 1798 al 1806, quindi si sovrappone per una parte al volume precedente. Il terzo capitolo è ‘Il ritorno di un re’ che documenta il tentativo fallito della Compagnia di sfondare in Afghanistan, nel periodo tra il 1839 e il 1842. Infine c’è ‘The last Moghul’, tradotto in italiano con il titolo ‘L’assedio di Delhi’, dove non parlo solo della fine della Compagnia, ma anche nel crollo dell’impero dei Moghul nel 1857. In quella guerra che gli inglesi chiamano ammutinamento indiano, ma che per gli indiani è la prima guerra d’indipendenza. Perché, in realtà, si tratta della più grande rivolta anticoloniale della Storia”.

Come mai questa storia viene a galla dopo tantissimo tempo?

“Vent’anni fa questa era una vicenda del tutto trascurata, o forse è meglio dire assolutamente marginale. Adesso, invece, viene considerata come un passaggio della Storia molto importante. Io credo che la nostra prospettiva su quel tempo lontano sia cambiata per diversi motivi. Intanto, c’è stata una grande rivisitazione, un revival del periodo coloniale. Forse solo adesso siamo in grado di capire quali terribili atrocità la Compagnia delle Indie Orientali mise in atto. La presa di coscienza del nostro tempo ha ritrovato la sua espressione più chiara nelle reazioni che ci sono state in India e in Africa alla morte della regina Elisabetta II. Distantissime da quelle dell’Occidente, molto più critiche e niente affatto disposte ad accettare l’immagine della regina buona. Reazioni che stanno lì a dimostrare quanto complicata sia l’eredità del colonialismo britannico per il nostro tempo”.

Possiamo dire che la Compagnia è stata l’antenata terribile di Facebook, Amazon, Google?

“La Compagnia delle Indie Orientali è stata, di fatto, la prima multinazionale della Storia. E adesso il tema è all’ordine del giorno, perché lo Stato nazione sembra sempre meno importante nei confronti di alcune grandi corporation. Vent’anni Google, Facebook, non erano così forti e spregiudicate. Microsoft ancora meno, Amazon era appena agli inizi. Adesso, invece, ci rendiamo conto che queste aziende stanno diventando più forti degli Stati stesso. Tra un po’ potrebbero tirare dritto per la propria strada, curando il loro vertiginoso giro di affari al di sopra e al di là delle leggi e dei regolamenti varati dai diversi governi”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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