• 23/09/2022

Andrea Pomella, la verità umana del “Dio disarmato”

Andrea Pomella, la verità umana del “Dio disarmato”

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Un istante può durare all’infinito. Ma in quanti miliardi di minuti, di secondi, di battiti di ciglia e di colpi pestati dal cuore dentro il petto,  di pensieri e di assenze da sé, si può frammentare un’ora? L’inizio di una mattina. L’attimo preciso in cui lo scorrere della vita cambierà per sempre, ma nessuno può sapere come andrà a finire. Si sono scritte tonnellate di pagine su quel 16 marzo del 1978. Storici, politologi, giornalisti, narratori, dietrologi e complottisti, hanno provato a smontare e rimontare ogni singolo particolare del rapimento di Aldo Moro. Finendo, però, per lasciarsi ipnotizzare soprattutto dalle incongruenze, che portano a comporre uno sbilenco mosaico della vicenda. Per i troppi silenzi, i depistaggi, le bugie, le connivenze mai ammesse e mai chiarite di quella che viene considerata la più grave ferita emotiva, politica e sociale nell’accidentato divenire della Repubblica italiana.

Pagine di saggi, di romanzi, di inquieti intrecci pronte a collegare tra loro tutte le trame oscure che hanno segnato il secondo dopoguerra italiano. Narrazioni, illazioni, ipotesi, rivelazioni, che ad Andrea Pomella non servivano a mettere a fuoco il punto nodale del suo nuovo libro. Perché lo scrittore romano, che ha vinto il Premio Napoli 2019 e il Wondy 2020 con “L’uomo che trema”, voleva riportare alla luce il lato umano di Aldo Moro. Quel suo essere marito, papà, nonno, pieno di premure, angosce, sogni e delusioni, interessi anche minimi e curiosità, che stava un passo oltre l’onorevole, oltre il professore universitario. Che assomigliava forse assai poco al personaggio pubblico inchiodato ai fumismi parlamentari delle famigerate e sbeffeggiate “convergenze parallele”, formula che peraltro lui rifiutava di avere mai coniato.

Ha preso forma, così, “Il dio disarmato”, l’intenso e perturbante romanzo che Andrea Pomella, insegnante di scrittura autobiografica alla Scuola del Libro di Roma, collaboratore delle riviste culturali “doppiozero” e “minima&moralia”, ha pubblicato da Einaudi (pagg. 243, euro 19,50). Una sfida narrativa estrema e appassionante, visto che tutto il libro è costruito con l’intento di dilatare il tempo di quei tre, interminabili, ma brevissimi minuti in cui un commando delle Brigate Rosse mise a segno uno dei rapimenti politici più clamorosi della Storia. Ammazzando i cinque uomini della scorta di Aldo Moro, caricando il prigioniero prima su una macchina, in seguito su un furgone, e facendo sparire ogni traccia di sé. Nonostante la pronta reazione del ministero degli Interni, guidato dal democristiano Francesco Cossiga, che fece attivare in gran fretta un numero di telefono dedicato. Per invitare tutti i cittadini a individuare dove si fossero nascosti i brigatisti, a segnalare movimenti sospetti.

Delle troppe bugie raccontate sul caso Moro si sa ormai quasi tutto. Del fatto che ci fossero manovre nazionali e internazionali per spingere le Brigate Rosse a uccidere il prigioniero, a non farlo ritornare sano e salvo dalla sua famiglia, anche. Lo stesso Andrea Pomella, in un passaggio del “Dio disarmato”, ricorda che il chiacchierato giornalista Mino Pecorelli aveva raccontato in un articolo, pubblicato sul “Mondo Nuovo d’Oggi” nel 1967, che già quattordici anni prima del clamoroso rapimento brigatista esisteva un piano per ammazzare il presidente della Dc. A metterlo in atto avrebbe dovuto essere il tenente colonnello dei paracadutisti Roberto Podestà. E Giovanni Fasanella, nel “Puzzle Moro”, si era spinto più in là. Rivelando, dopo aver consultato documenti inglesi e americani desecretati, che si erano elaborate diverse ipotesi per fermare la politica morotea. Troppo sbilanciato a favore del leader palestinese Yasser Arafat e imperniata sul progetto di coinvolgere il Partito Comunista di Enrico Berlinguer nella gestione democratica dell’Italia.

Ma tutto questo, nel libro di Andrea Pomella rimane come un brusio di sottofondo. Perché “Il dio disarmato”, che non è un saggio ma un romanzo dalla precisione storica inoppugnabile, segue la lezione della letteratura. Racconta gli stati d’animo, ascolta i silenzi, dà voce alle inconfessate incertezze, immagina le parole dette. Guarda da vicino la vita dell’Aldo Moro papà e marito. Lo coglie ansioso insonne, la notte prima del rapimento, mentre ascolta una canzone alpina del Coro della Sat e prova a leggiucchiare un libro mentre aspetta che il figlio Giovanni rientri a casa. Lo porta a ripensare al suo percorso politico, alla fortuna di avere accanto una donna pragmatica e forte come Noretta, sempre pronta a tenere alla larga dalla propria casa l’invadenza delle beghe di partito. Lo spinge a ricordare il rapporto complicato con Maria Fida, la sua primogenita. Al rischio di mettere in pericolo Anna, che aspetta il suo primo bambino, se dovesse andare a trovarla con il codazzo della scorta da onorevole al seguito. Lo costringe a sforzarsi di rimettere a fuoco un sogno, cancellato troppo in fretta dalla memoria: forse un’enigmatica epifania del destino che lo attende. Lo fa intenerire ogni volta che compare sulla scena dei suoi giorni il nipotino Luca.

“Il dio disarmato” si rivela, pagina dopo pagina, una macchina del tempo ossessivamente perfetta. Che ondeggia in maniera maniacale tra il prima e il dopo di quei tre minuti dell’assalto brigatista. Inquadrando in maniera alternata tutti quelli che vivono la sequenza in prima persona. Ma anche gli altri, che si trovano a passare da via Mario Fani per caso. Senza riuscire a capire, sul momento, che lì si sta consumando una delle tragedie capaci di cambiare il corso dell’Italia futura. Con l’effetto di uno slow motion capace di elencare i minimi dettagli della storia,

Andrea Pomella, mentre costruisce “Il dio disarmato”, non si lascia intrappolare dalla preoccupazione di restare rigidamente dentro il canone del romanzo. Perché il suo libro vuole essere una riflessione profonda sulla storia di quel momento politico e sociale. Sulla vicenda umana di un uomo potentissimo, che all’improvviso si ritrova inerme tra le mani dei suoi carcerieri. Senza più strumenti per liberare se stesso, per salvarsi la vita. In più, lo scrittore non può evitare di analizzare il significato di una violenza bestiale, come quella dell’assalto brigatista, nel momento stesso in cui assume il sapore di una rivincita sulle prevaricazioni e la dispotica gestione del Potere da parte degli uomini dello Stato.

A ogni capitolo, nel “Dio disarmato”, il gomitolo del tempo si srotola e si riavvolge. Come dentro un sogno zavorrato da inquieti pensieri, Andrea Pomella convoca sotto gli occhi del lettore i diversi protagonisti della storia. E li spinge a ricordare, a rivivere il prima, il durante e il dopo. Per provare a raggiungere non la verità storica, e nemmeno quella giudiziaria. Ma qualcosa di più sfuggente, come dice lo scrittore in una nota finale. La sola che può provare a “penetrare con lo sguardo nelle invisibili smagliature che rendono ogni fatto, come diceva Galileo, ‘una sensata esperienza’: raggiungere, cioè, oltre la cronaca e la storia, l’umano”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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