• 15/10/2022

Luca D’Andrea, un “Girotondo delle iene” nell’isola felice

Luca D’Andrea, un “Girotondo delle iene” nell’isola felice

Luca D’Andrea, un “Girotondo delle iene” nell’isola felice 610 431 alemezlo
Tre donne ammazzate in otto mesi. Tre storie di prostituzione, droga, solitudine, in una città come Bolzano, che fa fatica a rinunciare al la propria immagine leggendaria di osai felice. Renate Rauch, 24 anni viene uccisa a coltellate il 7 gennaio del 1992. Nella borsetta c’è il laccio emostatico che le serve quando deve trovare la vena per iniettarsi una dose di eroina. Renate Troger viene massacrata il 21 marzo del 1992. Dicono sia una ribelle, una figlia della notte: la abbandonano ormai cadavere in un piazzale, come fosse un sacco di immondizie. Marika Zorzi ha 18 anni, incontra il suo carnefice il 6 agosto del 1992. A spegnere la sua vita sono ventisei coltellate. Poi, chi ha infierito su di lei la scarica sul ciglio di una strada. Poche ore più tardi, una Seat Ibiza rossa viene fermata da una pattuglia. Al volante c’è un giovane con i baffi, indossa una polo azzurrina e un paio di calzoncini corti color marrone. Patente e libretto dicono che risponde al nome di Marco Bergamo. Incensurato, vive con i genitori. È lui il serial killer delle lucciole che ha fatto scatenato una gigantesca caccia all’uomo?

Dal momento in cui lo avevano fermato, impedendogli di allontanarsi da Bolzano, Marco Bergamo aveva perso troppo tempo a rivelare di essere proprio lui il mostro di Bolzano. La confessione era arrivata un po’ così, a rate, tra mille titubanze: eppure, sì, era sicuro di avere ammazzato le tre giovani donne. E ancora non bastava. Perché, pressato dagli interrogatori, aveva arrogato a sé pure la paternità di due vecchi delitti, mai risolti. Quello di Marcella Casagrande, 15 anni, studentessa al primo anno dell’Istituto magistrale di Bolzano, uccisa a coltellate mentre era sola in casa il 3 gennaio del 1985. E quello di Annamaria Cipolletti, 41 anni, insegnante di scuola media che arrotondava lo stipendio prostituendosi, accoltellata il 26 giugno del 1985 e poi abbandonata in un parcheggio. Normale, insomma, che l’8 marzo del 1994 la Corte d’Assise di Bolzano lo condannasse all’ergastolo, con obbligo di isolamento di tre anni e una pena aggiuntiva di trent’anni di reclusione.

Tutto chiaro, insomma? Sì, se non fosse che un giornalista della redazione del quotidiano “Alto Adige” di Bolzano non avesse deciso di scrivere una lettera in carcere a Marco Bergamo. Paolo Cagnan, che aveva seguito tutta la vicenda, la spedì il 30 novembre del 1993. Gli chiedeva di aiutarlo a capire alcuni aspetti della sua personalità e di quella tragica storia. Ottenne risposta soltanto molti mesi più tardi, all’inizio del 1994, a causa dei frequenti spostamenti di carcere che il detenuto aveva dovuto affrontare. Con un linguaggio pieno di attenzioni formali, e di oculate furbizie (“Sono stato contattato da un periodico di Milano il quale, in cambio di un compenso, mi ha chiesto di rilasciargli un’intervista in esclusiva”), l’assassino riservava alla parte finale dello scritto il suo colpo di teatro. Sottolineando, rigidamente a lettere maiuscole: “IO SOTTOSCRITTO BERGAMO MARCO HO COMMESSO SOLO TRE OMICIDI E LI HO CONFESSATI”. Poi, passando al minuscolo, precisava che “gli omicidi Troger e Cipolletti li ha commessi una seconda persona potenzialmente più pericolosa di me ed io mi dichiaro totalmente innocente e continuerò a dichiararmi innocente fino alla morte”.

Insomma: c’era un altro serial killer in giro per le strade di Bolzano? Era libero e pronto a uccidere ancora, scannando povere donne segnate dall’unica colpa di vendere il loro corpo e di essersi lasciate sedurre dalla droga? Secondo gli investigatori e la magistratura, no: Marco Bergamo era l’unico assassino di quelle cinque sfortunate.

Inutile dire che le parole della lettera del serial killer, riportate da Paolo Cagnan (diventato nel frattempo condirettore e digital content manager dei quotidiani veneti del Gruppo Gedi) nel suo libro “Marco Bergamo. Tutta la verità sui delitti di Bolzano”, pubblicato da I Libri Neri, hanno aperto molti interrogativi sull’esito delle indagini. Nessuno ha mai messo in dubbio che il responsabile di tre omicidi fosse quel goffo e inquietante ragazzo con i baffi. Così introverso e inibito da ammazzare una donna quando gli girava la luna storta. Ma gli altri due delitti? Era davvero giusto attribuirli a lui, o rientravano in un teorema investigativo creato dalla polizia e dalla magistratura per impedire che il serial killer avesse il seppur minimo sconto di pena? Visto che una delle prove cardine era stata, poi, smontata dal perito del tribunale.

È  proprio lì, dentro quel dubbio che nessuno riuscirà mai a fugare (men che meno lo stesso Marco Bergamo, morto il 17 ottobre del 2017 per un’infezione polmonare mentre scontava la sua pena nel carcere di Bollate), che ha preso forma un romanzo inquieto, fluviale, costruito seguendo passo dopo passo il divenire della tenebrosa storia. Lo ha scritto un autore che conosce bene Bolzano e l’Alto Adige perché ci vive: Luca D’Andrea. Uno che con i romanzi noir e crime ci sa fare: lo ha scoperto nel 2016 la casa editrice Einaudi con la sua opera d’esordio “La sostanza del male”, poi si è fatto conoscere e apprezzare anche per “Lissy”, Premio Scerbanenco nel 2017, “Il respiro del sangue”, “L’animale più pericoloso”.

Il romanzo che si ispira al serial killer dell’Alto Adige si intitola “Il girotondo delle iene”, lo pubblica Feltrinelli (pagg. 638, euro 22). E fin dalle prime pagine, Luca D’Andrea fa capire di volersi muovere liberamente dentro i confini della vicenda. Dal momento che cambia i nomi dei personaggi, rimescola i dettagli dei singoli passaggi della storia, tratteggia una Bolzano del tutto inedita, prigioniera del traffico della droga e delle armi. Indifferente a chi non se la passa troppo bene, sempre disposta a dare addosso agli immigrati, trincerata dietro la sua falsissima maschera di oasi felice. Dove nessuno può dire ad alta voce di essere innocente. Dove la polizia fa il suo gioco sporchissimo, usando anche metodi non leciti pur di risolvere un caso che inquieta l’opinione pubblica. Dove i giornalisti ( “scribacchini”, come vengono volgarmente dipinti da chi non ama la loro ansia di sparare in prima pagina notizie gonfiate, e spesso vere solo in parte) devono barcamenarsi tra un’obbligatoria sudditanza nei confronti delle fonti d’informazione (quasi sempre ufficiali e pronte a smerciare la versione dei fatti che fa loro più comodo) e un’inestinguibile voglia di stare dalla parte dei poveracci: puttane, tossici, sbandati, che finiscono quasi sempre per rimetterci la pelle.

Scritto con le parole taglienti della strada, raccontato senza la minima intenzione di regalare illusioni e sogni fasulli, “Il girotondo delle iene” pone al centro della storia due personaggi forti, tormentati, diversi eppure tra loro simili: un giovane aspirante giornalista, Alex Milla, che alla “Voce delle Alpi” viene costretto a “spalare ghiaia”, occupandosi delle notizie marginali. Quelle che nessuno vuole seguire. Ma quando si trova tra le mani una bomba a orologeria come quella degli omicidio delle lucciole è costretto a silenziare il suo cuore troppo tenero, a mettere da parte le molte riserve su un mestiere che non fa sconti a nessuno, costringendosi ad avanzare nella fetida palude di una vicenda che non finirà mai di stupirlo. A fargli da contraltare è il commissario Luther Krupp, un poliziotto troppo ligio alle regole e al rispetto delle persone, che dovrà lottare contro le troppo ombre che si allungano sui suoi colleghi della Questura prima di incastrato il killer delle lucciole.

Costruito come una ricostruzione precisa e angosciante dei delitti di Bolzano, irrobustito da una forza narrativa capace di trasformare anche la più minuziosa e pedante delle ricerche di un assassino in un’inchiesta romanzesca serrata e appassionante, “Il girotondo delle iene” riserva ai lettori un finale sorprendente e tenebroso. Immaginario, eppure possibile. Un testacoda tra realtà e invenzione che rende il libro di Luca D’Andrea uno dei migliori prodotti letterari del genere noir, costruiti su fatti veri con la liberissima licenza di tradirli. Di interpretarli. Per fornire una soluzione plausibile ai troppi punti interrogativi rimasti senza risposta.

Luca D’Andrea è bravo a muoversi in un mondo dove la crudeltà è riuscita a silenziare la compassione verso gli altri. Dove l’ansia di fermare un assassino può spingere la giustizia a essere giusta solo in parte. Dove “Il girotondo delle iene” lo ballano tutti: buoni e cattivi, fortunati e sfortunati, emarginati e integrati. Perché interrompere il cerchio di quella danza sfrenata significa trovare il coraggio di nuotare controcorrente. Completamente da soli.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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