• 02/10/2017

Le anonime, inquiete giornate della “Bella burocrate”

Le anonime, inquiete giornate della “Bella burocrate”

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A raccontarlo in due parole potrebbe sembrare la solita zuppa distopica. E sì, perché “La bella burocrate” di Helen Phillips, tradotto da Cristina Pascotto per la casa editrice Safarà (pagg. 174, euro 16), assomiglia a uno dei tanti romanzi sbucati dalle infinite realtà parallele inventate dalla letteratura. In una città americana assai simile a New York, anche se il nome non viene mai pronunciato, una ragazza riesce a trovare il tanto sospirato lavoro. Non la spaventa minimamente il fatto che ad assumerla sia un tipo così anonimo da risultare quasi invisibile. E che, in più, è dotato di un alito pestilenziale. Non la intristisce scoprire che il suo ufficio è incastonato in un palazzo senza finestre alla periferia estrema della megalopoli. La incuriosisce soltanto il compito che le viene assegnato: ovvero, inserire infinite stringhe di numeri in un programma conosciuto come Database.

Ma anche quello è un dettaglio. Perché Josephine Anne Newbury ha bisogno di lavoro, dopo tanti mesi di disoccupazione. Un bisogno dannato. Non può vivere pensando che continuerà ad abitare, insieme al marito, squallide stanze in subaffitto. Non può tollerare che la sua vita naufraghi davanti a una teoria infinita di cene preparate senza fantasia, notti d’amore minate da una disperazione latente, oggetti presi e lasciati in giro per gli appartamenti che ha occupato per poche settimane. Così prova a silenziare la sua inquietudine. A non farsi troppe domande davanti a quel lavoro assurdo.
Eppure, in una serie di giornate tutte uguali, scandite dalle visite periodiche della Persona con l’Alito Cattivo, Josephine non può fare a meno di continuare a chiedersi che senso abbia passare ore e ore davanti al computer a digitare sigle e numeri senza un senso logico apparente. E non la aiuta nemmeno conoscere colleghi come Thrishiffany, una sorta di bambolina sempre inappuntabile nei suoi abiti da pin up formato ufficio, che sprizza amicizia e disponibilità fino a dove le è concesso simularle. E che, comunque, preferisce parlare di amori sfortunati e di diversi tipi di mascara, piuttosto di addentrarsi nel groviglio numerico delle stringhe che ognuno dei dipendenti deve riversare quotidianamente nel Database.

Qui non siamo nel “Processo” di Franz Kafka. E nemmeno in “1Q84” di Murakami Haruki. Helen Phillips, che insegna al Brooklyn College, è sposata con l’artista Adam Douglas Thompson e ha vinto numerosi premi, tra cui l’Italo Calvino Prize in Fabulist Fiction, non si accontenta nemmeno di riproporre le atmosfere di “1984” di George Orwell.

No, la scrittrice di Brooklyn, che ha pubblicato “La bella burocrate” nel 2015, porta la sua Josephine fin dentro il cuore di questo mistero. Le fornisce una pista all’inizio fuorviante, cioè le misteriose sparizioni del marito. La spinge a imbattersi in una serie di coincidenze apparentemente di nessuna importanza. Fino a fornire la chiave per capire a che cosa serve realmente il Database.
A chi, seguendo il solito malvezzo di voler spiegare ogni singolo dettaglio di un libro, ha chiesto a Helen Phillips a che cosa pensasse mentre scriveva “La bella burocrate”, la scrittrice ha risposto: “I dati sono una fonte di ricchezza, ma anche di terrore nel libro e questo rappresenta il modo in cui mi pongo davanti a organizzazioni come Facebook. Certo, è utile poter contattare i propri amici, ma al tempo stesso è spaventoso pensare di essere tutti schedati”.

Ma il terrore di essere burattini nelle mani di un Grande Fratello elettronico è soltanto uno dei tanti temi di questo gelido, originalissimo romanzo che si legge come un thriller. Perché nel dipanarsi del mistero entrano in gioco i silenzi invalicabili di una coppia che deve ancora costruire il proprio futuro. Ma anche l’impossibilità di essere davvero se stessi sul posto di lavoro. E l’estrema difficoltà a trasformare i rapporti di conoscenza, di amicizia, in qualcosa che non sia una desolante sequenza di frasi fatte. Non manca poi, in tutta la storia, una latente inquietudine per il ruolo delle donne all’interno del mondo del lavoro. Indimenticabili sono le domande che la Persona con l’Alito Cattivo spara in rapida sequenza a Josephine: “Lei è sposata?”, “Le dà fastidio che suo marito abbia un nome così comune?”, e per ultima la più sconcertante “Lei ha intenzione di procreare?”.
A chi ama i libri, non solo come oggetti usa-e-getta, segnaliamo il formato particolare di questa traduzione pubblicata con grande coraggio e intelligenza dalla piccola cosa editrice Safarà di Pordenone. Il taglio inclinato delle pagine sembra un ulteriore invito a lasciarsi trascinare dentro la vertigine della “Bella burocrate”.

Alessandro Mezzena Lona

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