Certo che gli alieni devono essersi fatti una strana idea di noi terrestri. Sempre ammesso che abbiano dato un’occhiata dentro la sonda spaziale Pioneer. Quella spedita a zonzo per l’universo nel 1972 con una sorta di targa-riassunto della vita sul Pianeta Terra. Se ricordate bene, in mezzo a vari simboli, c’erano disegnati anche un uomo e una donna. E mentre il maschio aveva i genitali bene in evidenza, in mezzo alle gambe della femmina appariva il grande nulla. Uno spazio bianco delimitato da due linee che partivano dal ventre. E basta.
Come dire che anche lì, in quel messaggio di fratellanza universale, si continuava a esorcizzare l’essere donna. O, meglio, il non essere uomo. E allora Liv Strömquist, una delle più note autrice di graphic novel in Svezia, dj radiofonica con una laurea in Scienze Politiche e un bel po’ di storie disegnate alle spalle, mai viste finora in Italia, ha voluto ripercorrere il lungo e tortuoso divenire di questo esorcismo della femminilità. O, se preferite, di tutto quello che ruota attorno all’immagine, al concetto dell’organo sessuale femminile. E come poteva farlo se non usando matite e pennelli, gli strumenti del suo lavoro?
Ha preso forma così una graphic novel che fa pensare e ridere, che sconcerta e indigna. Si intitola “Il frutto della conoscenza”, è disegnata con la felice scelta cromatica del bianco e nero, la pubblica Fandango Libri (euro 18). L’ha tradotta Samanta K. Milton Knowles. Ed è non soltanto un viaggio sconcertante nella storia dei pregiudizi maschili, ma anche una sorta di beffardo manifesto dedicato a tutti quelli che ancora oggi fingono di non accorgersi quanto sessista e escludente, nei confronti delle donne, sia stata e sia ancora certa cultura.
Con un movimento di macchina che rende la graphic novel capace di costruire un termitaio di storie tutte poco conosciute, e tutte talmente vere e documentate da sembrare surreali, Liv Strömquist porta i lettori a scoprire che personaggi del calibro di Sant’Agostino, il filosofo cristiano delle “Confessioni”, dopo aver apprezzato non poco il corpo femminile da giovane, si era convinto fosse meglio seppellire ogni tentazione sotto un esorcismo grande come un grattacielo. Al punto da sentenziare che “il corpo della donna è fetido e impuro, un sacco sudicio pieno di feci e urina”.
Non basta. Un americano rimasto nella memoria di molti mangiatori di cereali, come John Harvey Kellogg, si era convinto che la masturbazione femminile fosse quanto di più dannoso si possa immaginare. E allora? Semplice: proponeva frequenti applicazioni di fenolo direttamente sulla clitoride. perché “è un ottimo metodo per mitigare un’eccitazione abnorme”. Peccato soltanto che l’uso di un acido corrosivo sulle parti intime delle donne non si può proprio definire un antidoto perfetto alle tentazioni carnali. O forse sì, se l’intento è quello di distruggere l’intero apparato sessuale.
E che dire del filosofo e scrittore Jean Paul Sartre, convinto che la donna sia tormentata da un basso tasso di autostima perché non ha un sesso? “È bucata – sosteneva l’autore della ‘Nausea’ – e sente il richiamo di un pene che tappi le sue mancanze”. Si potrebbe continuare chiamando in campo Sigmund Freud o i padri della Chiesa che, ai tempi dell’Inquisizione, andavano cercando, con morbosa ossessione, sulla pelle delle donne il marchio del diavolo. Ma è giusto fermarsi qui e invitare tutti quelli che sono rimasti incuriositi da questo parzialissimo riassunto del “Frutto della conoscenza” a leggere la graphic novel. Per provare a frantumare, con qualche sonora risata e una dose grande di incredulità, tutte le stralunate teorie messe in campo da fior di intellettuali per evitare di ammettere la loro grande, tormentosa fissazione: il corpo delle donne.
Alessandro Mezzena Lona