Prima o poi qualcuno doveva decidersi a fare i conti con il sogno americano. Uno scrittore, per intenderci, arrivato da lontano con la valigia piena di illusioni, miti e luoghi comuni. Un italiano, per esempio, magari cresciuto in una famiglia dal cognome illustre. Dove convivono, senza bisticciare troppo, il fastidio “di sinistra” per la culla del consumismo capitalistico e l’ansia sfrenata di trovare un proprio posticino ben visibile. Magari con vista su Hollywood, nell’immenso cosmo a stelle e strisce.
Il coraggio di raccontare il sogno americano, che diventa in fretta incubo, l’ha trovato Chiara Barzini. Sceneggiatrice italiana dal cognome a diciotto carati (visto che suo nonno Luigi era il famoso giornalista e scrittore giramondo che raccontò “The italians” al mondo, e che sua zia Benedetta viene annoverata tra le modelle più richieste degli anni ’60 e ‘7o tanto da essere ammessa alla corte di Andy Warhol), ci ha messo cinque anni per scrivere il suo “Terremoto”. E, nel frattempo, ha fatto due figli con lo sceneggiatore Luca Infascelli.
Ma valeva la pena lavorare tanto sulla scrittura di “Things that happened before the earthquake”, perché il romanzo è stato prima adottato da Gerry Howard, l’editore americano di David Foster Wallace, e poi lanciato in grande stile da Mondadori (pagg. 342, euro 19) con il titolo “Terremoto”, nella traduzione curata dalla stessa autrice insieme a Francesco Pacifico.
La scrittrice ha scelto di scrivere in inglese non per la solita forma di esterofilia che affligge da tempo molti intellettuali nostrani .Ma perché Chiara Barzini ha vissuto per davvero gli anni della sua formazione adolescenziale negli States. Catapultata a Los Angeles dalla famiglia due anni dopo la rivolta razziale di Rodney King.
Ed è proprio da lì, da quel turbolento 1992, che inizia la storia di Eugenia, la ragazzina portata in America da due genitori un po’ hippy e un po’ rivoluzionari “de noantri”. Accecati, soprattutto il padre, dal miraggio di poter realizzare un film nella mecca del cinema. Illusi da un sedicente produttore che si vanta di avere scritto una canzone per Phil Collins.
Ma i sogni spesso nascondono dentro di loro un copione assai complicato. Così, molto in fretta, quella famiglia “che non fa mai le cose come si deve”, e finisce per circondarsi di un’autentica corte dei miracoli, piano piano scopre il vero volto dell’America. Trovandosi immersa fino al collo in una palude fatta di bugiardi e frichettoni, millantatori e paranoiche anime candide. Scoprendo che le droghe circolano tra gli adolescenti come fossero innocenti lecca-lecca. Toccando con mano il potere di una società completamente ipnotizzata dal consumismo, capace di ingoiare, digerire e risputare, dopo averla depotenziata, qualunque idea originale, alternativa, fuori rotta.
I turbamenti di Eugenia, il suo dover fare i conti molto presto con il lato oscuro della vita, passano sotto gli occhi del lettore come fotogrammi di un film iper-realista dove la quotidianità è ben più folle della più sfrenata fantasia. E dove i ritmi e i riti del Vecchio Continente, della Roma “caput mundi”, visti da oltre oceano, sembrano oggetti di modernariato. Pezzi ormai ammuffiti di un mondo che si ostina a mettere in vetrina cianfrusaglie, illudendosi ancora che siano i pezzi buoni del tesoretto di famiglia.
Fino a quando arriva il terremoto. La scossa, reale e al tempo stesso metaforica, capace di mettere in ginocchio quel gigantesco luna-park che è Los Angeles. Per squadernare davanti agli occhi dell’ormai disillusa Eugenia il frantumarsi del mito americano in una girandola di sequenze sempre più folli. Di psichedelici tentativi di esorcizzare la realtà. Perché l’America è quella che taglia e non ripara, che promette e non mantiene. Ma conserva, con grande astuzia, l’immagine forte di Paese delle meraviglie. Di territorio franco dove ogni fantasia si può realizzare. Anche se, spostando il sipario, finirà per rivelare un fondale fatto di macerie, promesse mai mantenute. E cumuli di sogni infranti.
Accolto con grande interesse dalla critica e dai lettori in America, “Terremoto” è senza dubbio un debutto narrativo di tutto rispetto. Perché Chiara Barzini ha saputo trasformare il suo vissuto in un magma narrativo di grande forza. Rinunciando a mettere in primo piano se stessa, come troppi scrittori usano fare di questi tempi. E lasciando che a impossessarsi della storia fosse Eugenia, un alter ego autonomo e credibile. Un personaggio forte, tridimensionale, non un burattino di carta.
Alessandro Mezzena Lona