• 12/01/2018

Ilaria Tuti, dal Friuli con orrore

Ilaria Tuti, dal Friuli con orrore

Ilaria Tuti, dal Friuli con orrore 982 540 alemezlo
Per troppo tempo gli scrittori italiani si sono schermiti. E scherniti. Dal momento che si erano convinti (o fatti suggestionare?) dal fatto di non essere assolutamente bravi a scrivere thriller. Come se una storia poliziesca ambientata a Milwaukee o nel Devonshire fosse più credibile di un’altra dispersa tra le nebbie della Pianura Padana e l’assolata bellezza della Puglia. Da anni, però, anche i nostri narratiori si sono resi conto che questa stupida insicurezza nasceva solo da un complesso di inferiorità nei confronti dei colleghi inglesi e americani. E che sono gli intrecci che contano, non la posizione geografica. Basterebbe ricordare l’improvvisa, e fortunatissima, ondata di gialli in arrivo dal Nord dell’Europa. Territorio quasi del tutto ignorato, dal punto di vista letterario, almeno fino all’esplosione del caso Stieg Larsson.

Capita così che, accanto ad autori già affermati e capaci di sfornare sempre nuovi, ottimi romanzi come Massimo Carlotto, Roberto Costantini, Donato Carrisi, Roberto Riccardi e molti altri, sempre nuovi scrittori vengano ad arricchire la scuola italiana del giallo. Come Ilaria Tuti, friulana di Gemona, appassionata di fotografia iscritta alla facoltà di Economia, che debutta con un romanzo forte e bello intitolato “Fiori sopra l’inferno” (Longanesi, pagg.366, euro 16,90). Libro che, come strilla la fascetta gialla di copertina, è stato tra i più contesi all’ultima Buchmesse di Francoforte. E che uscirà in traduzione in moltissimi Paesi dell’Europa.

E qui bisogna fare un piccolo appello agli “anti fascettisti” incalliti. Ovvero quei lettori che, ormai per principio, evitano come la peste i romanzi accompagnati da fascette sempre più roboanti. Strisce colorate, poste a ornamento delle copertine, che trasudano superlativi, sparano lodi a raffica, scambiano qualunque libro per un capolavoro assoluto. Ecco, in questo caso lo strillo proposto da Longanesi non racconta frottole. Perché questo romanzo di debutto di Ilaria Tuti va trattato con cura. Va letto non come il solito thriller usa e getta.

Prima di tutto, la giovane scrittrice friulana, che dichiara di amare i romanzi di Donato Carrisi e nel tempo libero ha fatto l’illustratrice per una piccola casa editrice, non è proprio una sconosciuta. Nel 2014 ha vinto il Premio Gran Giallo Città di Cattolica per i suoi “corti narrativi”. E poi, bisogna ricordare che ha conquistato lo staff di Longanesi non solo con l’originalità della storia, che ha sottoposto loro nell’estate dell’anno scorso, ma soprattutto con il personaggio dell’investigatore attorno a cui ruota la storia.

Questa volta non si tratta del solito tipo strano, alcolista o tossico, sbadato incallito a avanzo di galera. No, Teresa Battaglia è prima di tutto una donna sulla quarantina che deve alzare ogni giorni un muro tra lei e i suoi colleghi per difendere le sue fragilità. Per non far pesare il suo essere ammalata di diabete, per tenere distante dal suo complicato lavoro il fardello di ricordi pesanti e sgradevoli che si porta dentro. Appare come “completamente asessuata. Un’entità superiore” che potrebbe rendere la vita molto, ma molto dura ai suoi collaboratori. In realtà, dietro quell’apparenza da mastino ringhiante, si nasconde un essere sensibile e intelligente, che solo nel dipanarsi della storia lascerà intravedere i suoi punti deboli.

In questa prima avventura (perché c’è da scommettere che la carriera di Teresa Battaglia non finirà qui), la commissaria deve trasferirsi in un villaggio di montagna. Un luogo pieno di neve che assomiglia molto a certe zone splendide e ignorate del Friuli, al confine con l’Austria. Però Ilaria Tuti ha deciso di mascherare un po’ il paese che si trova travolto da una serie di bizzarri e sconvolgenti delitti ribattezzandolo Travenì.

In giro per le strade di quel borgo, e dei sentieri che si intrecciano nell’immensa foresta tutto attorno, gira un’ombra che lascia dietro sé tracce di sangue. E cadaveri, come quello dell’ingegnere civile Roberto Valent. Chi l’ha ucciso non si è accontentato di strappargli la vita, gli ha portato via pure gli occhi. Ma che senso ha sfregiare così un cadavere e perché quello che, ben presto, si rivelerà un serial killer priva le sue vittime degli organi sensoriali?

Attorno al mistero, e a indagini che procedono con grande fatica tra l’irritata indifferenza dei montanari di Travenì, si addensa un segreto che nessuno nella valle ha mai avuto il coraggio di confessare. Una storia vecchia, eppure non ancora tanto antica da avere perso tutta la sua morbosa, sconvolgente forza. Se non bastasse, a inquietare le anime dei valligiani c’è lo scontro tra chi vorrebbe preservare la montagna da ulteriori speculazioni commerciali, da nuovi, mastodontici impianti di risalita per gli sciatori, e chi, come il sindaco, vede la sua terra soltanto come un limone da spremere fino all’ultima goccia. Per dimenticare gli anni durissimi della miseria, della fame. Tempi in cui funzionava ancora, nel convento delle monache, la ruota dove venivano abbandonati i figli non desiderati..

La forza di “Fiori sopra l’inferno”, che dal punto di vista narrativo è costruito come un congegno a orologeria perfettamente registrato, sta tutta nel suo sapersi sottrarre ai troppo frequentati luoghi comuni del thriller. Perché dietro la catena di delitti si nasconde una colpa mai pagata, che ha dato forma alla rabbia assassina. Una mostruosa idea coperta dal perbenismo e dalla paura, cullata dal silenzio, nutrita dall’omertà. Tanto che il colpevole, l’ombra che terrorizza il paese, si rivelerà lui stesso vittima di un esperimento che nessuno ha potuto, o voluto, fermare.

E allora, Teresa Battaglia, fragile incarnazione della legge, per risolvere il mistero dovrà vivere nella propria carne i tormenti che ha provato l’assassino. Creando con lui un legame mentale che dovrà per forza abbattere il confine tra il Bene e il Male. Perché troppo spesso, è in quella zona grigia che sta esattamente a metà tra la colpa e l’innocenza che si nasconde la verità.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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