• 28/02/2018

Cosmo, continua a pensare e inizia a ballare

Cosmo, continua a pensare e inizia a ballare

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Possiamo dirlo, a Cosmo manca la barba. Una di quelle belle scure, fluenti, ieratiche. Una barba da intellettuale, da poeta della musica. Se ci avesse pensato, se l’avesse fatta crescere prima che uscisse il suo disco nuovo, adesso sì che fioccherebbero le lodi. Qualche critico scriverebbe,  di sicuro, che il suo “Cosmotronic” è la sintesi perfetta tra la malinconica bravura di Lucio Battisti e l’audacia creativa di Franco Battiato. Direbbero, insomma, che loro quel talentaccio di Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo, lo avevano fiutato fin dal primo album. Da quando il suo “Disordine” era entrato nella cinquina dei finalisti alla Targa Tenco, categoria Opera prima di cantautore. Anche se, poi, aveva vinto Appino con “Il testamento”.

Il problema è che non solo Cosmo non si è fatto crescere la barba. Evitando, così, la deriva intellettualistica, e un po’ profetica, del suo vecchio compagno di scuola Diego Fusaro. Ma, in più, ha deciso di dare ascolto, e voce, a quel ritmo indiavolato che gli pulsa dentro. Un tambureggiare di bassi e fraseggi ripetuti che fanno tanto “Around the world” dei Daft Punk e “Born slippy” degli Underworld. Ma che rimandano anche a Steve Reich, il guru  della musica minimalista al quale Marco Jacopo Bianchi ha dedicato la tesi di laurea.

Un viaggio, insomma, alla ricerca delle atmosfere “clubbing”, una via di mezzo tra i Prodigy e il pop d’autore, senza mai rinunciare alla voglia di tenere gli occhi ben spalancati sulla realtà. Di raccontare il mondo dalla parte delle radici, degli eventi minimi che entrano in rotta di collisione con quelli massimi.

Con l’anima da sempre divisa in due, fin da quando suonava in trio con i Drink to Me, Cosmo ha deciso di fare del suo “Cosmotronic” un lungo viaggio in equilibrio instabile tra poesia e musica elettronica. Tra divertimento sfrenato e malinconia esistenziale. Ha preso forma, così, un doppio album formato da 15 brani e inciso per la 42 Records. Un’ora e 14 minuti in cui l’ex professore di liceo prova a fare un po’ dottor Jekyll e un po’ mister Hyde. Dove mette sul piatto i pensieri più segreti che gli frullano in testa, e poi quel piatto lo fa girare a velocità supersonica, come sanno fare i dj più bravi. Con tanta ironia, quella che serve a un “un intellettuale travestito da scemo”.

Due anni fa, Cosmo aveva stregato tutti con “L’ultima festa”. Tanto da convincere la redazione italiana della rivista “Rolling Stone” a mettere il suo album, e l’omonima canzone che riempiva le piste da ballo dei club, in cima alla classifica dei migliori dischi usciti nel 2016. Adesso, il musicista prova ad azzeccare il singolo perfetto sparando una bellissima “Turbo”, con quell’incipit intrigante e sinuoso che dice “Toc toc c’è la realtà che mi bussa alla porta, non so se aprire o se nascondermi”. Ma il disco, che dal secondo brano diventa una giostra di ritmi pulsanti, parte da un pezzo etereo e pensoso: “Bentornato”. Dove Cosmo avverte subito che “a San Valentino mi sento un cretino, non sono romantico, non sono sdolcinato”. Per lasciare, poi, che il “Cosmodromo” invada la scena martellando una dance contagiosa, mentre la voce detta versi bellissimi: “Parla un po’ con me e dimmi come fai a prenderti sul serio, a farlo davvero, a credere di contare qualcosa e di essere qualcuno”.

Il punto è proprio questo: la giuria della Targa Tenco non aveva preso un abbaglio, ai tempi di “Disordine”. Perché Cosmo è davvero uno dei musicisti italiani più bravi a scrivere testi. Basta ascoltare “Sei la mia città”, che Marco Jacopo Bianchi ha voluto scrivere per spiegare l’amore forte e controverso che lo lega a Ivrea: “Me ne vado lontano, non scrivo e non chiamo”. Al punto da trasfigurarla in una donna a lungo desiderata, a lungo corteggiata, fino a possederla in maniera anche carnale, sfacciata, con quel “ti vengo dentro” che gli detta il cuore.

Fare musica, scrivere canzoni, portare i suoi suoni in giro per l’Italia, non significa per Cosmo soltanto puntare alla notorietà. Sperare in ottime vendite dei dischi. Basta ascoltare la sua “Tristan Zarra”, geniale, ibrido omaggio a uno dei fondatori del  movimento Dada che, al tempo stesso, richiama alla memoria le canzoni di Paola e Chiara, campiona la voce della baby sitter dei suoi bambini, fino a concedersi un finale simil new age sussurrato da Francesca Michielin. Oppure “Tutto bene”, dove il musicista, guardandosi attorno e constatando che “nulla è per sempre”, conclude che almeno “potremmo amarci senza farci male”.

E non è finita qui, perché il primo disco prosegue a tutta velocità con “L’amore”, l’adrenalinica “Animali”, la delicata “Quando ho incontrato te” e “Ho vinto”, perfetta sintesi danzante dell’intero progetto: “Mi concentro sul suono di una cassa che pesta quello che resta di me… Ho lottato contro me stesso e ho vinto”

Sorprendente il secondo album di “Cosmotronic”. Perché lì Cosmo decide di rompere completamente gli argini, piazzando sei brani uno in fila all’altro in cui le parole evaporano. Resta il suono, il ritmo, i campionamenti, le suggestioni elettroniche, dall’orientaleggiante “Ivrea Bangkok” a una “Attraverso lo specchio” dove danzano in perfetto equilibrio martellate trance e industrial. Per proseguire con “Barbara”, la minimale “La notte farà il resto”, “5 antimeridiane” e “Tu non sei tu”.

Schegge di un progetto musicale che diventeranno lava incandescente nel nuovo tour di Cosmo, in programma nei prossimi mesi in giro per l’Italia. Un serie di “live” da non lasciarsi sfuggire, per divertirsi e pensare. Visto che lui ha già fatto sapere che “non saranno dei semplici concerti, ma dei grandi party, dove si balla per tutta la notte”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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