• 02/05/2018

Olivier Guez, così è vissuto l’angelo della Morte

Olivier Guez, così è vissuto l’angelo della Morte

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Dicono che fischiettasse qualche nota della “Tosca”, mentre un sorriso enigmatico gli illuminava il volto. Si preparava sempre così a palpare corpi, misurarli, salassarli, riempirli di strane sostanze mediante iniezione. Gli altri, no, non pensavano certo a sorridere o mugolare melodie musicali, quando compariva lui: il custode della purezza della razza. L’alchimista dell’uomo nuovo. L’angelo della Morte. Il dottor Josef Mengele. Qualcuno pregava, qualcuno implorava, altri si chiudevano in un silenzio pieno di terrore. Perfino i suoi camerati, gli uomini con le divise dell’ordine nero, avevano paura di quel dandy cannibale. Sempre perfetto nella sua uniforme impeccabile, gli stivali lucidi, il berretto leggermente inclinato sul volto che si allargava sotto una fronte ampia. Perché quello era il signore di Auschwitz. Un suo cenno poteva spedire i malcapitati ebrei, gli omosessuali, qualsiasi prigioniero considerato inutile per il Terzo Reich, nelle camere a gas. Oppure nel suo laboratorio. Regno dell’orrore, teatro di esperimenti inutili e feroci.

Chi l’ha incontrato, visto da vicino, racconta che Josef Mengele non si abbandonava mai ai sentimenti. Non sapeva che cosa fosse la compassione. Anzi, fino alla fine dei suoi giorni era rimasto fermamente convinto che il mondo non fosse riuscito a capire la sua missione. Perché lui, ad Auschwitz, non aveva torturato nani e giganti, non aveva ammazzato coppie di gemelli in gran quantità, non aveva sottoposto storpi e malaticci agli esperimenti più turpi. No, lui era lì nel nome della Scienza. Un giorno avrebbe contribuiti a generare superuomini. Una razza perfetta, un popolo di semidei. E allora perché non lo lasciavano vivere in pace? Perché la Germania, il suo Paese che dopo la fine della guerra si era consegnata nelle mani di traditori e mezze figure, voleva trovarlo, arrestarlo, mandarlo a morte o farlo marcire in una prigione?

Josef Mengele voleva vivere. Aspettando che un giorno venissero a onorarlo, a offrirgli una cattedra nelle più importanti università. La sua famiglia era ricca, gestiva un’azienda importante, poteva pagare, coprire la sua fuga in America Latina. Non avrebbe dovuto comparire tra gli imputati di Norimberga, sarebbe scappato alla morte per impiccagione, oppure a una lunghissima agonia in prigione. Infatti, l’angelo della Morte si era rifatto una vita. Prima in Argentina, poi in Paraguay, infine in Brasile. Senza mai pentirsi, senza rinnegare nemmeno un secondo della sua vita scellerata. Nemmeno l’ombra di uno di quegli esperimenti folli che trasformavano le persone in povere cavie consegnate al suo ludibrio.

A ricostruire questa storia tenebrosa, e in gran parte ancora avvolta nel mistero, ci ha pensato uno scrittore, giornalista e sceneggiatore francese: Olivier Guez. Prima documentandosi, andando a leggere tonnellate di documenti, di libri su Josef Mengele, sul Terzo Reich, sulle criminali connivenze dell’America, del Vaticano, di una Germania pentita in ritardo dei disastri compiuti da Adolf Hitler e soci, dell’Argentina di Juan Domingo Peron. E poi lavorando, con grande attenzione e precisione, questa terribile vicenda con stile narrativo. Costruendo, insomma, un romanzo che allunga le sue radici nella Storia.

Ha preso forma, così, un libro che ha conquistato subito l’attenzione dei lettori francesi, tanto da portarlo alla vittoria del Prix Renaudot 2017: “La scomparsa di Josef Mengele”, tradotto adesso da Margherita Botto per una delle migliori case editrici italiane, Neri Pozza (pagg. 203, euro 16,50).

Per raccontare Mengele, per ritrovare i passai perduti del Dottor Morte, Guez (che nel 2016 ha ricevuto il Premio per il cinema tedesco come sceneggiatore di “The people vs. Fritz Bauer” e che collabora con “Le Monde”, “Le Point” e “New York Times”) ha dovuto scendere nei corridoi più bui della mente di un uomo inquietante, perverso. Un assassino vestito da medico che, dopo il crollo del Terzo Reich, riuscì a scappare in America Latina grazie a un documento di viaggio della Croce Rossa internazionale. Un tipoo a prima vista insignificante: alto un metro e 74, occhi castani verdi, professione meccanico. Cambiata la data di nascita, mutata la nazionalità, che risultava italiana data la fasulla provenienza da Termeno in Alto Adige, il signor Helmut Gregor era pronto a iniziare una nuova vita. Lui, i suoi libri, i dischi di musica classica che si portava in valigia. Oggetti di un uomo qualunque, quasi banale, non certo di un sadico inguaribile.

Un solo brivido aveva colto il falso Helmut Gregor al controllo della dogana. Perché il bagaglio piccolo conteneva siringhe, quaderni di appunti e di schizzi anatomici, campioni di sangue, vetrini di cellule. Raggelante bottino raggranellato negli anni di Auschwitz. Però, che ci faceva un meccanico con quell’armamentario? Il medico del porto avrebbe dovuto indagare, chiedere, prendere tempo. Ma era maggiore la  maledetta fretta di andarsene a pranzo. E allora? Semplice, si era accontentato delle bislacche giustificazioni dell’italiano, che sosteneva di essere un biologo dilettante.

Si spalancava, così, la porta per la libertà. Da quel momento, il terrore di Auschwitz avrebbe cominciato una nuova vita. Cercando di non attirare mai l’attenzione, cambiando generalità, casa e luogo di residenza diverse volte. Schivando la caccia sfrenata degli agenti del Mossad, che finiranno per catturare Adolf Eichmann, uno dei cardini dell’Olocausto, e lo consegneranno alla giustizia di Israele. Perché in realtà lui, Josef Mengele, aspettava sempre un cenno dal suo Paese, dalla Germania di Konrad Adenauer, che riconoscesse i meriti scientifici, il suo prodigarsi come medico per scoprire i segreti della vita, il suo aver eseguito alla lettera ordini superiori.

Olivier Guez è bravissima a raccontare la nuova vita di Josef Mengele senza trascurare i dettagli. I piccoli tic e l’insofferenza per il disordine, il suo maligno attaccamento alla vita, la nostalgia per un Reich che incarnava alla perfezione il suo feroce razzismo e la voglia di affermarsi, i giudizi taglienti su chi come Peron si illudeva di diventare uno dei punti di forza del nuovo ordine mondiale, creando ad arte il santino-icona di sua moglie Evita per coprire i suoi misfatti con un pizzico di glamour pauperista. E poi, i contatti con la rete internazionale che proteggeva i criminali nazisti, l’amore infelice per la prima moglie Irene che gli aveva preferito un commerciante di scarpe, la rivincita con Martha, rimasta vedova del suo odiato fratello. Fino all’incontro decisivo, necessario, attesissimo, con il suo unico figlio Rolf. Un ragazzo ansioso soprattutto di scrollarsi di dosso l’etichetta di “progenie di Satana”. Implacabile nell’interrogarlo su Auschwitz, nel chiedergli conto degli orrori che gli avevano macchiato le mani e l’anima. Incapace di strappare a quell’uomo un seppur minimo cenno di pentimento. Perché lui, l’angelo della Morte, continuerà a ripetere implacabile “ho fatto il mio dovere di soldato della scienza tedesca: proteggere la comunità biologica, purificare il sangue, sbarazzarlo dai corpi estranei”.

Tanto che il ragazzo, dopo qualche anno in Germania, deciderà di rinunciare a chiamarsi Mengele. E, ormai lanciato nella professione di avvocato, sceglierà di rifugiarsi nel cognome della moglie. Confermando ai giornalisti, non nel 1979, ma appena nel 1985, che il padre era morto in Brasile e che lui voleva esprimere la sua più profonda solidarietà alle vittime dell’Olocausto e ai loro parenti. Perché il medico assassino era riuscito a sfuggire alla giustizia, chiudendo i conti con la vita da uomo libero.

Rolf deciderà di lasciare le ossa di quel padre senza scrupoli, “dall’anima blindata, che ha risposto alle sollecitazioni di un’ideologia mortifera in una società sconvolta dall’irrompere della modernità”, come scrive Guez, ai medici brasiliani e ai loro allievi che le studieranno. Senza mai trovare l’oscuro segreto di un medico ambizioso, vanitoso, sedotto dal Verbo nazista “fino a commettere crimini abietti e a giustificarli”. Un uomo la cui ombra vagherà per sempre inquieta e maledetta.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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