• 10/12/2018

Maria Callas, la divina voce che visse due volte

Maria Callas, la divina voce che visse due volte

Maria Callas, la divina voce che visse due volte 201 251 alemezlo
Due donne abitavano quel corpo. Una era Maria, che tendeva a ingrassare, trascurava il suo aspetto, sognava un amore vero e duraturo, amava la musica e il canto senza farsi troppe illusioni. L’altra era la Callas, una superstar, magra e bellissima, fascinosa e inafferrabile. Una delle più grandi voci della lirica di tutti i tempi. Un’icona, una leggenda, che in un certo senso si rifiutava di essere tale. E che continuava a sognare di poter riunire quei due modi di essere, quelle due presenze femminili apparentemente così diverse, in una sola. Perché lei, in fondo, si sentiva prima di tutto un essere umano.

La vita di Maria Callas, nata Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropulos a New York nel 1923, e morta a Parigi nel 1977, quando aveva appena 54 anni, è stata passata al setaccio mille volte. Libri, film, tonnellate di articoli di quotidiani e rotocalchi, l’hanno raccontata fin nei minimi dettagli. Dimenticando, troppo spesso, che dietro il mito, all’ombra della leggenda, c’era sempre Maria. In tutta la sua fragilità. Con quella voglia di essere amata non per quello che rappresentava nel mondo della musica, dell’arte, ma per quello che era realmente.

E allora, per raccontare di nuovo Maria Callas, senza dimenticare tutto quello che è stato scritto, ma rileggendolo con occhi limpidi e pieni di empatia, ci voleva una persona sensibile e bravissima. Un autrice di romanzi disegnati come Vanna Vinci, che ha dimostrato di saper entrare in punta di piedi, ma con una straordinaria forza visionaria, nelle vite di personaggi come “La Casati, la musa egoista”, “Tamara de Lempicka, icona dell’Art déco” e “Frida Kahlo, operetta amorale a fumetti”. Una scrittrice e disegnatrice che, in Italia, ha vinto premi importanti come lo Yellow Kid, il Romics e il Gran Guinigi seminando nel suo lungo percorso creativo autentici gioielli narrativi e grafici come “Lillian Brown”, “Aida al confine”, una personalissima versione de “Il richiamo di Alma” di Stelio Mattioni. Oltre alla geniale, irresistibile Bambina Filosofica.

Per Vanna Vinci, la vita di Maria Callas porta dentro di sé la forza devastante della tragedia classica. Tanto che l’autrice nata a Cagliari, che da molti anni vive e lavora a Bologna, ha deciso di dare alla sua graphic novel “Callas. Io sono Maria Callas”, pubblicata da Feltrinelli Comics (euro 22), la stessa struttura dei testi classici. Con tanto di Prologo, Parodo, diversi episodi inframmezzati dall’intervento del coro negli Stasimi. Trasformando, insomma, il racconto di un normale percorso di vita nella ricerca della nascita di un mito. Della deificazione di una donna che aveva nel canto la sua unica vera forza. Perché tutto attorno a lei, e dentro di lei, erano i contrasti, le debolezze, le eterne insicurezze, che scandivano il tempo dell’esistenza.

Disegnata come una creatura in cui luce e ombra abitano in costante equilibrio, seguita nel suo evolversi da originale talento canoro chiuso dentro un corpo che se ne fregava delle regole dell’apparire, dell’essere in linea con i modelli femminili più glamour, fino a diventare la femme fatale dell’opera lirica, l’oggetto del desiderio dei più accaniti melomani, e non solo, Maria Callas incarna nel racconto scritto e nelle tavole disegnate da Vanna Vinci un mito dalle ali di carta. Una donna costretta a fronteggiare il successo, sempre più clamoroso, mentre il suo cuore si guarda attorno spaurito e inquieto. Incapace di accontentarsi dell’amore totale, eppure soffocante, in bilico tra il tornaconto economico e la passione vera, dell’industriale Giovanni Battista Meneghini. Illudendosi troppo in fretta che un individuo dalla dubbia fama, ma dalla ricchezza immensa, come Aristotele Onassis potesse metterla al centro dei suoi sogni, dei desideri, per tutta la vita.  Mentre lei era forse una stazione di passaggio nella scalata alla donna più glamour del tempo: Jackie Onassis, la vedova di JFK.

E poi, Maria Callas si ostinava a innamorarsi di uomini che, per le donne, provavano sicuramente una grande ammirazione,  magari anche una certa attrazione, ma non passione, non carnale, totale trasporto come Luchino Visconti. E come il poeta e regista Pier Paolo Pasolini che fece di lei una ieratica Medea al cinema, ma che non riuscì a trovare una duratura sintonia umana e sentimentale con la donna nascosta dietro il mito.

E se dal coro che Vanna Vinci sa ascoltare con attenzione, cogliendo le voci spesso affettuose di colleghi e amici, impresari e ammiratori, emerge un ritratto della Callas nitido e malinconico, professionale eppure pieno di incertezze. Destinato a entrare nelle leggenda con dolore. È lei, Maria, l’anima segreta della divina cantante, che detta il ritmo di un racconto affascinante e, al tempo stesso, capace di sintonizzarsi con il suono rauco, costante, della sofferenza. Della delusione di una donna costretta ad accorgersi quanto traballante e intermittente sia l’ammirazione dei fan nel momento in cui la voce comincia a dare segnali di stanchezza. Perché non si può modellare il proprio corpo seguendo diete rigidissime, non è possibile moltiplicare gli impegni di lavoro, le ansie, i ritmi folli per stare al passo con la vita, e pretendere di rimanere al vertici mondiali della lirica per un periodo lunghissimo.

“Nessuno si preoccupa di come mi sento dentro”, mormora Maria Callas quando il mondo le sta crollando addosso. Lei, che è stata una donna da palcoscenico arcana e magica, lei che ha stregato i più importanti teatri del mondo, lei che ha portato il canto a contenere in sé un fascino esoterico e, al tempo stesso, tremendamente pop, doveva morire da sola. Per non togliere nemmeno un briciolo di romantica teatralità alla leggenda. Perché, dietro la maschera, c’era una donna indifesa. Un essere umano che nessuno ha mai provato a capire. Nemmeno quelli che si sono illusi, per pochi giorni o per anni interi, di possedere le chiavi del suo cuore.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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