• 21/05/2019

Parlami Tiresia, così il mito non tramonterà mai

Parlami Tiresia, così il mito non tramonterà mai

Parlami Tiresia, così il mito non tramonterà mai 1024 768 alemezlo
Avevano 23 anni, poco più che ragazzi, quando scrissero le canzoni di “Selling England by the pound”. Tutti e quattro i musicisti dei Genesis, Peter Gabriel, Tony Banks, Steve Hackett, Mike Rutherford, erano coetanei. Solo uno, il quinto, Phil Collins il batterista, ne aveva uno in meno: 22. Mentre pensavano a uno dei brani di punta dell’album, “The cinema show”, costruito attorno a una storia d’amore che non tramonterà mai, come quella di Giulietta e Romeo, riandarono con la memoria a una figura del mito greco. Un veggente che non ha mai smesso di esercitare il suo fascino sul nostro immaginario.  L’indovino Tiresia, accecato da una dea, forse Era o forse Atena, e premiato, poi, da Zeus con il dono della divinazione. Della preveggenza. Ma costretto, in seguito, a vivere altri guai. Dato che, per aver ucciso a bastonato la femmina di un serpente, fu condannato lui stesso, sempre dalla bizzosa Era, a vivere per sette anni in un corpo di donna.

Erano giovanissimi, quando mandarono sul mercato uno dei loro album più amati e apprezzati. Eppure, i cinque musicisti della band britannica si erano già lasciati conquistare dall’immortale fascino della mitologia greca. Di quel magmatico, monumentale intreccio di storie che, facendo convivere dei ed eroi, donne dal fascino perturbante e figure leggendarie, per secoli ha incarnato i vizi e le virtù dell’essere uomini. Di quel mastondontico, contraddittorio, patrimonio narrativo nel quale i greci, e poi anche i romani, potevano proiettare sogni e paure, desideri e oscuri richiami, finendo per addomesticare, esorcizzare se stessi. Proprio perché erano quelle creature immaginarie a vivere le pulsioni inconfessabili, non loro.

“Take a little trip back with father Tiresias”, cantavano i Genesis. Chiarendo subito che chi si fosse prestato a fare un corto viaggio in compagnia di Tiresia, ad ascoltare “the old one speak of all he has lived through”, avrebbe scoperto il destino di colui che “una volta ero un uomo, m’infuriavo come il mare, una volta ero una donna, mi concedevo come la terra”. Ed era proprio in quella storia così lontana nei secoli, eppure così vicina a qualunque persona cercasse in qualunque tempo di ricomporre il lato maschile e quello femminile, la luce e l’oscurità, lo yin e lo yang, che si poteva ritrovare il messaggio della Natura. Il senso vero dell’esistenza. “La dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani”, come avrebbe detto Dante.

Erano quattro ragazzi poco più che ventenni negli anni Settanta, i Genesis. Eppure avevano capito che nelle storie del mito si riflette un modo di raccontare la vita allegorico e profondo. Tanto che anche adesso, arrivati agli anni Venti del terzo millennio, non stupisce vedere sempre più scrittori lasciarsi cullare dal pensiero, dalla fantasia, dalla tentazione di inventare nuove varianti di vicende vecchie di secoli. E non va interpretato, questo ripercorrere a ritroso una strada già battuta da fior di intellettuali, come un improvviso deficit di immaginazione. Come un rifugiarsi in un mondo affabulatorio già ben collaudato.

Prendete, ad esempio, Andrea Camilleri. Il papà del Commissario Montalbano non ha certo bisogno di rifugiarsi nel mito greco per ritrovare un po’ d’attenzione. Basti pensare che ogni suo romanzo, anche quello meno felice, schizza in testa alle classifiche di vendita, e ci rimane per settimane, a volte per mesi. Eppure proprio lui, il Re Mida della narrativa italiana contemporanea, ha deciso di calarsi nei panni del vecchio Tiresia. Sentendosi in improvvisa sintonia con il figlio di Udeo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo, quando ha iniziato a perdere la vista, fino a scorgere attorno a sé soltanto ombre.

Ha preso forma, così, un testo andato in scena l’anno scorso al Teatro Greco di Siracusa, nella stagione promossa ogni anno dall’Istituto nazionale del dramma antico. Quella “Conversazione con Tiresia (pagg. 63, euro 8) che la casa editrice Sellerio ha poi pubblicato in un volumetto della collana Il divano, scegliendo come immagine di copertina il particolare di “Tiresia che appare a Odisseo” del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli.

Racconto in forma di monologo, questa “Conversazione” di Andrea Camilleri, che non poteva iniziare in modo migliore: “Chiamatemi Tiresia, per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di Moby Dick. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro”. Evidente, e gigionesca, autocitazione che non poteva non alludere a Montalbano stesso.

Monologo dal linguaggio assai disinvolto, e dalla citazione frequente, che dimostra subito quanto Andrea Camilleri lettore si sia nutrito di testi dedicati ai miti greci. Dal momento che spazia dalla “Morte della Pizia” di Friedrich Dürrenmatt ai “Cantos” di Ezra Pound, dai “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese” a “Edipo e la Sfinge” di Hugo von Hofmannsthal. Senza dimenticare un testo troppe volte trascurato, ma che lo scrittore di Porto Empedocle consiglia vivamente “perché, credetemi, un film di Dario Argento fa meno paura”, che è il poema “La Tebaide” di Stazio. Peccato solo che il papà di Montalbano si limiti a galleggiare in un mare grande di erudizione senza provare a leggere la storia di Tiresia, del suo controverso rapporto con gli dei e della cieca capacità di leggere la realtà al di là dei fatti, in maniera più originale. Visionaria.

Tutt’altra strada, invece, ha scelto Marta Morazzoni per accostarsi al gran calderone dei miti greci. Scrittrice di lungo corso., premiata con il Campiello nel 1977 per il romanzo “Il caso Courrier”, e poi l’anno scorso richiamata di nuovo alla ribalta dalla giuria veneziana per il riconoscimento alla carriera, la scrittrice milanese si è concentrata su alcuni personaggi, sugli attimi decisivi della loro esistenza. Per portarli in primo piano, guardarli con un attenzione da entomologo. Quasi vivisezionarli. E riconsegnarli al lettore in forma di racconto. Ma senza seguire lo schema proposto già da tanti autori della letteratura classica. Divertendosi, piuttosto, a seguire traiettorie sghembe, difformi. Interessanti nella loro originalità.

Affascinata dal mito fin dalla sua infanzia di lettrice, Marta Morazzoni, che ha disseminato la sua carriera di romanzi belli e originali come “L’estuario”, “La ragazza col turbante”, “Casa materna”, ha scelto di battere le strade del mito dimenticandosi la sua lunga carriera di insegnante di scuola superiore. E lasciando che, dentro di lei, prendesse forma la voce del racconto nel libro “Il dono di Arianna” (Guanda, pagg 205, euro 16,50). Mettendo faccia a faccia Agamennone, che rientra dopo lunghi anni dalla guerra vittoriosa contro Troia, e Clitemnestra, che in quel periodo di solitudine ha imbastito una precaria storia di sesso e complicità con il cognato Egisto. Immaginando il dolore della famiglia del Minotauro quando Teseo riesce a eliminare dentro il labirinto quello che per tutti è un mostro, nutrito a suon di sacrifici umani. Ma che per la madre rimane pur sempre un figlio segnato dagli dei. Seguendo, ancora, i passi della splendente Elena, che non riuscirà a evitare che la sua ppiritecnica bellezza trascini con sé un’altrettanto evidente seguito di sciagure.

Ma se Marta Morazzoni dimostra, nei suoi racconti, di rispettare troppo le storie del mito per allontanarsi da uno stile di scrittura dotto, raffinato, preciso, eppure privo del guizzo necessario a reinventare un patrimonio narrativo dalla ricchezza prorompente, Stephen Fry imbocca esattamente la strada contraria. Laureato in Lettere a Cambridge, diventato attore ammiratissimo in film come “Un pesce di nome Wanda” di Charles Crichton, “V for Vendetta” di James McTeigue, “Sherlock Holmes. Gioco di ombre” di Guy Ritchie”, “Lo Hobbit” di Peter Jackson, oltre che lo splendido “Wilde” dedicato al poeta Oscar Wilde, si è cimentato con il “Mythos” in un libro che non si fa fatica a definire travolgente e divertentissimo. E che è consigliato leggere nella traduzione di Guido Calza per Salani Editore (pagg.470, euro 19,80).

Pur senza sfiorare mai la pochade, né trasformare le storie del mito greco in grottesche commediole, Stephen Fry, che ha dato voce a tutti i romanzi del ciclo di Harry Potter in una serie di sette leggendari audiolibri in inglese, si è inventato una vera e propria storia del mondo leggendaria per il suo “Mythos”. Partendo dal caos delle origini, seguendo poi l’arrivo di Zeus, la sua lotta titanica per ristabilire un ordine e insediare un gruppo di divinità assai simili agli uomini sul Monte Olimpo, raccontando poi le disubbidienze e gli aspetti nobili, i colpi di testa e le trovate geniali di personaggi come Persefone e Sisifo, Cadmo e Poseidone, Atena e Cupido, Psiche e Narciso, Aracne e Cassandra, Ermete e le Erinni, che diventeranno in seguito le più rassicuranti  Eumenidi.

Se c’è ancore qualcuno che trova noiosi, inavvicinabili, complicati da ricordare e astrusi da riconoscere i protagonisti dell’epopea mitologica greca, sarà costretto a cambiare idea dopo appena una decina di pagine di “Mythos”. E via via che si addentrerà nella lettura, dovrà arrendersi alla bravura, alla spigliatezza affabulatoria di Stephen Fry.
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<Alessandro Mezzena Lona

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