Prima faceva la libraia. Lavorava nella prestigiosa Munro’s Book di Victoria. Poi, Deborah Willis ha iniziato a scrivere e pubblicare racconti. Storie brevi che trovavano posto sulle pagine di riviste come “Event”, “Grain”, sulla britannica Bridport Prize Anthology. Fino a quando qualcuno ha capito che quella ragazza dai capelli biondi non era soltanto una delle tante, troppe aspiranti scrittrici che provava a ritagliarsi un angolino di gloria. No, lei ci sapeva fare per davvero. Valeva la pena leggerla, tenerla d’occhio. Tanto da spingere “The Times” ad azzardare una scommessa “da un mucchio di soldi sul suo successo”.
Poi, un giorno, Alice Munro ha deciso che fosse arrivato il momento per dire quanto stimasse Deborah Willis. Sì, proprio lei, la grande scrittrice canadese che ha vinto il Nobel per la letteratura nel 2013. Ed è considerata un autentico punto di riferimento per chi ama l’arte del racconto. Ebbene, l’autrice di “La danza delle ombre felici”, “Chi ti credi di essere?”, “Le lune di Giove”, “Il sogno di mia madre”, ha dichiarato: “La gamma emotiva e la profondità di queste storie, la chiarezza e l’abilità compositiva sono stupefacenti”.
Molto meglio di una benedizione del Papa. Così, a 38 anni, Deborah Willis, che è cresciuta a Calgary, è considerata non solo una delle più interessanti scrittrici canadesi. Ma viene additata come esempio a chi vuole cimentarsi nella scrittura di racconti. In Italia, come spesso accade, c’è voluta la sensibilità e l’intelligenza di un editore come Del Vecchio per poter leggere in traduzione prima quell’autentico gioiello di “Svanire”, nella versione di Anna Baldini e Paola Del Zoppo, una raccolta di 14 storie brevi uscite nel 2012. L’anno scorso, sempre la Del Zoppo, affiancata da Costanza Fusini e Michela Sgammini, ha curato “Il buio e altre storie d’amore” (pagg. 307, euro 18), che contiene altri 11 mini romanzi firmati dall’autrice premiata con il Western Canada Jewish Book Award.
Deborah Willis è convinta che la scrittura sia “quasi come un regalo, per il quale tu devi farti trovare pronto. Devi essere pronto a guadagnartelo, devi essere pronto a scrivere”. E lei, ogni volta che inventa un racconto, sembra davvero attraversare uno stato di grazia. Al punto che, adesso che si sente matura per allungarsi alla forma romanzo, ha smesso di leggere storie brevi. Però, ammette con grande convinzione, non vede “l’ora di poter concludere il romanzo per tornare a leggere ciò che mi pare”.
Undici storie, si diceva, formano “Il buio”. E Deborah Willis assicura di essersi un po’ spaventata quando sha capito che stava prendendo forma un libro sbilanciato “dal lato sentimentale. È sempre una sfida, però ho deciso di andare avanti proprio per questo”. Il racconto in assoluto che non può lasciare indifferenti è “La mia ragazza su Marte”. Racconta di due ragazzi che vivono in una sorta di bolla di felicità anomala. Visto che si guadagnano da vivere dentro una casa trasformata in una serra per piante di marijuana. E anche se loro, tecnicamente, sono due spacciatori di paradisi artificiali, non si può dire che la loro convivenza non assomiglia a qualcosa di molto bello. Fino a quando Amber comunica a Kevin di avere fatto domanda per essere la prima donna che metterà piede sul suolo di Marte. E lui non sa se fare il tifo per la sua ragazza, nelle puntate di un reality a eliminazione diretta che sceglie i candidati al viaggio, e quindi perderla per sempre, oppure sperare che quel progetto vada a rotoli. Così lei tornerà da lui, e tutto ricomincerà come prima.
Ne “Il buio”, due ragazzine, amiche al di là di qualunque discussione, decidono di trasgredire le regole del campo estivo, dove le hanno iscritte i genitori. Una notte, s’imbattono in due ragazzi più grandi di loro, che rappresentano la vera occasione per attraversare il confine tra l’adolescenza e l’età adulta. Ma che saranno anche il punto di non ritorno di quel rapporto profondo, eppure fragilissimo, tra due non più bambine e non ancora donne. Splendido “L’uccello di passo” in cui un’altra ragazzina, Shiri, va alla ricerca di una figura maschile che non sia evanescente come quella del padre. E si imbatte nell’Uomo Falco, un tipo solitario che vive con alcuni rapaci addestrati e che le propone di scoprire insieme a lui la vita che ha sempre sognato. Quella di chi, dall’alto degli alberi, allarga le ali e sfida il cielo infinito in un volo senza fine.
In “Valuta di scambio”, uno scrittore russo che ha fatto fortuna laggiù in America ritorna nel Paese di sua nonna. E prova a ritrovare i luoghi, le atmosfere, i suoni e le parole che sono rimasti sepolti dentro di lui per tanto tempo. Anche se, attorno a sé, vede tutto radicalmente mutato. Ma sarà Lana, una ragazza che ha preso in affitto come puttana, a convincerlo a fare pace con il passato. E a suggerirgli che non sempre i ricordi sono veritieri. In “Welcome to Paradise” ritorna la figura della ragazza inquieta e ribelle, Lielle, che trascina la sua amica a introdursi nelle case altrui quando i proprietari non ci sono. Ma quelle bravate serviranno soltanto a non far emergere l’attrazione che provano l’una per l’altra. Un sentimento (d’amore?) mascherato dietro gesti senza importanza.
Straordinario, nel racconto “Todd”, la sintonia imprevista tra un uomo sbandato e una cornacchia, che si installa in casa sua. E, piano piano, riesce a riempire quel vuoto d’amore che lui ha creato attorno a sé. Combinando solo pasticci con l’ex moglie e la sua bambina. Ma chi non sa tenere d’acconto i sentimenti, è destinato a rovinare anche le storie più belle.
“Il buio e altre storie d’amore” si chiude con un delizioso ritratto di una sintonia che non teme lo scorrere del tempo. Ne “Il sonnellino”, infatti, Steve e Lauren si risvegliano e scoprono di essere precipitati nella parte conclusiva della propria vita. Ma non hanno dimenticato quando andavano a caccia di guai, quando hanno messo la testa a posto e costruito una famiglia. Fino a scoprire che i capelli non hanno più il loro colore originale, e sulla pelle compaiono delle strane macchie. Ma non importa.
Deborah Willis ha il grande dono di raccontare la vita senza partire da uno schema troppo rigido. Non giudica mai i suoi personaggi, non emette mai sentenze inappellabili. Preferisce lasciare che le cose avvengano. Si diverte a pennellare con le parole atmosfere che possono ricordare “L’estate incantata” di Ray Bradbury, lasciando che all’improvviso tutto precipiti in una penombra da incubo. Senza mai rinunciare, però, a un certo humour, alla leggerezza del tocco, anche nelle situazioni più complicate e scabrose. Ogni storia contiene un doppio fondo, un’altra possibilità, una via alternativa alla narrazione. Sempre capace di sorprendere e avvinghiare il lettore in una morsa che allenterà la sua stretta soltanto nelle ultime righe.
Dispiace soltanto dover segnalare i troppi refusi contenuti nei testi.
<Alessandro Mezzena Lona<