• 02/09/2020

Patrizia Cavalli: “Lo splendore sta dentro le parole”

Patrizia Cavalli: “Lo splendore sta dentro le parole”

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Le parole, per lei, sono tutto. Non solo perché Patrizia Cavalli, una delle grandi voci poetiche della letteratura italiana, è abituata da sempre a maneggiarle con cura. A farle risuonare, nei versi che scrive, con l’attenzione, la precisione, la sensibilità di chi compone una partitura musicale. Ma perché la scrittrice nata a Todi, che vive a Roma da molto tempo, sa bene quanto le parole riescano a definire, cesellare, far decollare e portare in quota le pagine in prosa che per anni ha tenuto nascoste.

Ecco, proprio quelle pagine sono la spina dorsale di un libro che non finisce di stupire, racconto dopo racconto. Sì, perché “Con passi giapponesi” (Einaudi, pagg. 163, euro 17,50) finalmente fa scoprire un lato della creatività di Patrizia Cavalli rimasto finora in ombra. Svela, cioè, agli occhi dei lettori la sua straordinaria bravura a mettere assieme una collezione di pagine d’autore. Pezzi brevi, prose d’arte. Schegge di diario e folgoranti divagazioni, riflessioni e occasionali narrazioni. Piccoli gioielli letterari che fanno riandare la memoria a certe pagine di Goffredo Parise, o di Tommaso Landolfi.

Un libro così bello non poteva non attirare lo sguardo della giuria di un premio letterario importante. Infatti, Patrizia Cavalli è entrata nella cinquina dei finalisti del Campiello 2020. E sabato 5 settembre, nello splendore di Piazza San Marco a Venezia, sfiderà gli altri quattro scrittori selezionati dalla Giuria dei Letterati per contendersi la vittoria: Francesco Guccini con “Tralummescuro” (Giunti), Sandro Frizziero con “Sommersione” (Fazi Editore), Ade Zeno con “L’incanto del pesce luna” (Bollati Boringhieri), Remo Rapino con “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” (minimum fax).

Il rispetto per le parole, il gusto raffinato per una prosa limpida ed efficace, non tolgono a Patrizia Cavalli la voglia di farsi trasportare dal racconto, di commentare, confessare, rivelare. E allora, nel primo pezzo di bravura che apre il libro “Con passi giapponesi”, prende forma un ritratto di donna che fa della propria vita un palcoscenico, e dell’amore un sottile, tormentoso gioco di potere. Più in là, si fanno avanti inquiete incursioni nella vita di personaggi come “Il ladro di lenzuola”, che non sa proprio rinunciare all’inimitabile odore lasciato dai propri sogni nei letti dove ha dormito.

Nel libro, ci si diverte a seguire le peripezie di chi eredita una cospicua somma di denaro e si caccia in un sacco di guai intestardendosi nel volerla dividere con alcuni amici e conoscenti. Si ammirano le pagine perturbanti dei “Ricordi di infanzia e di adolescenza”, quelle beffarde di “Colonna di porfido” e “Scarpe da ballo”. Folgoranti i ritratti di “Gattare”, tra le quali spunta un Elsa Morante che festeggia il capodanno distribuendo cinque chili di carne ai mici di strada, urlando “Potere ai gatti! Potere ai gatti!”. E poi, ci sono gli intensi frammenti della sezione “Varietà”, che chiude il libro. Brevi pezzi di bravura da leggere a rotta di collo per gustare il fascino di un serie di confessioni lucide, coinvolgenti, fatte a cuore aperto.

“Si può parlare in tanti modi – scrive Patrizia Cavalli in ‘Immobilità e disordine’ -, a seconda della situazione o della persona la parola detta può avere molte sfumature, il suo significato non è rigido e univoco, ha le attenuanti dell’intonazione. Nella parola scritta, invece, ci si rivela agli altri, ci si mette nelle mani degli altri. È un pensiero che manifestandosi non ti appartiene più. Il pensiero pensato comprende il tutto, quello scritto solo il particolare. Scrivo poesie perché nella poesia c’è più ambiguità che nella prosa (NON È VERO), ma nella poesia resta sempre un mistero grande e piccolo, resta cioè una zona oscura che si sottrae al giudizio logico. Per questo non metto titoli alle mie poesie, per sottrarmi a una definizione”.

Le prose pubblicate nel suo libro sono disseminate nel tempo. Perché aspettare tanto a raccoglierle in volume?

“Perché non gli ho mai dato grande attenzione, ho sempre prediletto i versi e le poesie. Ho scritto la maggior parte dei racconti, negli anni, quasi in stato di insonnia, senza accorgermene. A un certo punto, poiché sono molto disordinata e me li trovavo sempre tra i piedi, mi sono resa conto che non erano male e che se ne poteva fare un libro”.

La poesia sembra essere per lei una partitura musicale. Quando scrive brani di narrativa che cadenza assumono le parole, le frasi, nella struttura del racconto?

“Anche la prosa ha una sua musicalità, ma di tipo diverso, meno rigido ed esigente di quello della poesia. Ma nella mia esperienza, non direi che c’è una differenza sostanziale tra lo scrivere in prosa o in poesia. Entrambe nascono dal desiderio della lingua di sorprendere, da uno splendore involontario che si rivela improvvisamente nelle parole. La differenza è soltanto nei tempi: la poesia arriva già bell’e pronta, e io la devo solo registrare. La prosa invece richiede un lavoro e uno sforzo che, in certi casi, può durare dei mesi”.

Il comico e il tragico sono in perfetta sintonia nelle sue prose. Più facile trovare questo equilibrio nella letteratura che nella vita?

“Nella vita non si dà equilibrio. L’equilibrio perfetto è la morte. Il comico e il tragico nascono e vivono insieme, tutto dipende dallo sguardo e dalla capacità di esprimere, di volta in volta, il comico o il tragico negli eventi”.

La parola amore ricorre spesso nel libro. Per lei è conoscenza, esperienza o condizione stessa del vivere?

“Sì, l’amore ha a che fare con la conoscenza, senz’altro, ma non saprei bene dire con la conoscenza di che cosa. Certo non di chi si ama, dello sfortunato oggetto d’amore, che appare in quei momenti massimamente opaco e inconoscibile. Forse è l’esperienza del fatto stesso di conoscere, al di là di che cosa si conosca e di chi lo conosca. ‘Solo chi ama conosce’, diceva una poesia di Elsa Morante”.

Il ricordo di Elisa Morante ritorna in un brano bellissimo: “Gattare”. Anche lei subisce il fascino di queste esseri meravigliosi?

“Ho ospitato spesso alcuni gatti, che erano l’oggetto della mia più sfrenata ammirazione. Il mio secondo libro di poesie, ‘Il cielo’, è dedicato a una gatta che ho amato molto, Okapi Bandierina”.

Entrare tra i cinque finalisti del Premio Campiello le ha regalato più soddisfazione, stupore o ansia?

“Direi tutti e tre, in una miscela perfetta: soddisfazione, stupore e ansia”.

<Alessandro Mezzena Lona

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