Che l’impianto classico del romanzo andasse scardinato, e reinventato, l’hanno sostenuto in molti. E che, poi, nemmeno il modello del primo, o quello del secondo ‘900, risultasse credibile nel momento in cui stavamo per scavalcare il confine con il terzo millennio, è risultato evidente a molti scrittori. Dato che, diceva Walter Benjamin nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, “l’umanità, che un tempo in Omero era uno spettacolo per gli dei dell’Olimpo, ora lo è diventata per se stessa”. E oggi, più che mai, allo scrittore serve individuare un modello di narrazione, un processo creativo che, spiegava Giuseppe Petronio nell’introduzione al volume “Letteratura di massa. Letteratura di consumo. Guida storica e critica”, comunichi la “reazione dell’artista al mondo e ai problemi, la sua volontà di dire in modi metaforici (immaginifici) il mondo quale gli appare”.
Questo non significa, comunque, che gran parte della produzione letteraria contemporanea non continui a usare cliché di romanzo del tutto tradizionali. Oppure, soltanto in parte debitori di quella che è stata la destrutturazione della forma narrativa operata dalle avanguardie del ‘900. Ma, di tanto in tanto, qualche scrittore dimostra di aver capito la lezione sulla necessità di destrutturare le forme del racconto, e di rinnovarle. Magari con un gusto del tutto personale, visto che il tempo delle correnti letterarie, dei manifesti programmatici, di certe roboanti dichiarazioni di poetica, sembrano ormai lontanissimi.
Tra gli autori più interessanti, nella sparuto novero degli innovatori del romanzo contemporaneo, c’è senza dubbio Ilja Leonard Pfeijffer. Olandese di Rijswijk, considerato una delle grandi voci della letteratura neerlandese, dal 2008 vive in Italia, a Genova. Partito dalla poesia, con la raccolta “Van de vierkante man” (Dell’uomo quadrato), pubblicata alla fine degli anni Novanta, ha vinto premi importanti come il Libris Literatuur Prijs e il Quinquennale della Reale Accademia delle Lettere Neerlandesi di Gand con il romanzo “La superba”. Libro che, tradotto in italiano da Claudia Cozzi per la casa editrice Nutrimenti, è stato tra i finalisti dello Strega Europeo nel 2019.
Ma è con il nuovo lavoro che Ilja Leonard Pfeijffer ha raggiunto i livelli più alto della sua produzione letteraria. Tanto che “Grand Hotel Europa”, pubblicato sempre da Nutrimenti nell’ottima traduzione di Claudia Cozzi (pagg. 607, euro 22), non solo in Olanda si è rivelato un successo da 250 mila e più copie vendute, ma si rivela agli occhi di chi legge come uno dei tentativi più interessanti, intelligenti, coraggiosi di ibridare la forma romanzo con un ragionamento lucidissimo, ed eretico, sul tempo che stiamo vivendo. Aggiungendo alla storia d’amore, e di disamore, che fa da filo conduttore al racconto, altre trame parallele, che non sono affatto secondarie. Come quella che porterà i protagonisti, cioè il personaggio alter ego del tutto immaginario dell’autore e la sua compagna esperta d’arte antica Clio, a inseguire in giro per l’Europa le tracce dell’ultimo dipinto di Caravaggio. Una misteriosa Maria Maddalena in estasi di cui la Storia conferma le tracce perdute, senza mai dire quale fine possa avere fatto.
“Grand Hotel Europa” prende il nome da un albergo di lusso. Un maestoso, ma decadente edificio, posto in un non luogo che non viene mai esattamente localizzato, dove approda lo scrittore Ilja Leonard Pfeijffer dopo la fine inaspettata della sua storia d’amore con la giovane, elegante e passionale storica dell’arte italiana Clio. E n quelle immense sale, nelle stanze dove hanno soggiornato ospiti illustri, prova a dare un senso ai ricordi. Partendo dall’inizio del loro rapporto, dalla decisione di prendere casa e trasferirsi insieme a Venezia, fino a ripercorrere le tappe della ricerca folle e appassionante del quadro del Caravaggio. Che, secondo la leggenda, celerebbe sotto le fattezze di Maria Maddalena in estasi un autoritratto del geniale, inquieto e violento pittore, nato a Milano nel 1571 e morto a Porto Ercole nel 1610 inseguito da una condanna a morte.
Il Grand Hotel Europa non è soltanto un posto arcano e spettacolare acquistato da un ricco cinese, che lo vuole rilanciare come punto d’approdo delle nuove orde di turisti in cerca di emozioni da raccontare, poi, sui propri profili dei social network. Quel luogo è la metafora evidente del Vecchio Continente, che si ostina ad aggrapparsi al passato senza rendersi conto di quante cose sono cambiate attorno a lui. È il paradigma di un’Europa che fa fatica a trovare una propria identità, perché si è arresa all’idea di rappresentare il giardino delle delizie e dei desideri per un turismo di massa danaroso. Ma completamente privo di anima e di sensibilità.
Se Malta preferisce fare spazio a masse di turisti dalla pelle chiara, che cercano sull’isola soltanto le tracce di un tempo ormai perduto, nascondendo accuratamente i cadaveri degli africani che sfidano il mare sognando un futuro tutto da costruire, Dubai è disposta a ricoprire la direzione del Louvre di Parigi per ottenere l’autorizzazione a creare tra le sabbie del deserto una traballante copia del leggendario museo parigino. Mentre l’Italia permette, indifferente, che il proprio patrimonio artistico rischi di svanire sotto l’assedio di squadroni di turisti scaricati dalle navi-palazzo che solcano i mari, dagli aerei low cost, dalle gite organizzate per chi sogna soltanto di potersi scattare un selfie accanto ai simboli dell’antico genio creativo.
Torrenziale, animato da un’ironia che non risparmia nessuno, tantomeno la madrepatria di Ilja Leonard Pfeijffer, l’Olanda, che ha consegnato la splendida Amsterdam prigioniera delle orde di turisti degli Airbnb, lucidissimo e pieno di spunti di riflessione su una modernità che ha accettato di farsi travolgere da un consumismo becero, “Grand Hotel Europa” è anche un romanzo d’avventura. Un viaggio, intriso di ironia urticante, nei tanti vizi, e nelle altrettante virtù, del popolo italiano. Un coraggioso modo di usare la memoria per fare ordine nella lettura del presente. E, non ultimo, un irriverente, passionale, personalissimo manuale di decifrazione dei rapporti d’amore tra uomo e donna. Dove il piacere del gioco e della complicità ha un ruolo non secondario.
Dopo aver finito “Grand Hotel Europa”, per i lettori sarà impossibile guardare il mondo senza sentir rimbombare dentro di sé le domande che pone Ilja Leonard Pfeijffer. Prima fra tutte: come farà l’Europa a non rinunciare al suo mastodontico patrimonio di ricordi e di splendide testimonianze del passato senza dimenticarsi di puntare a tutta forza verso il futuro?
<Alessandro Mezzena Lona