C’è una materia esplosiva che si nasconde nella vita di tutti i giorni. Ed è fatta di inezie. Piccole faccende, obblighi, sogni accantonati in fretta, attese deluse, spostamenti, incontri casuali, parole dette senza riflettere troppo.Proprio lì, in quella zona grigia, nascono i personaggi di Yasmina Reza. Nei momenti più distanti dalla grandezza dell’eroismo, dalla ridondanza del mito, trovano voce i suoi testi per il teatro. Ma anche i romanzi, come “Felici i felici” e “Babilonia”.
È questo essere ridotti alla sola dimensione umana, senza possibilità di fuga, che affascina Yasmina Reza quando scrive. Così, i suoi testi non sono mai prevedibili. Scavano nella realtà come una lama che si crea un pertugio. Camminano su una corda tesa nel vuoto, da cui si può precipitare in ogni momento. Perché basta mettere un piede al posto sbagliato. In Francia, ma anche in giro per il mondo, ogni sua pièce è salutata come un evento. Anche perché la scrittrice nata a Parigi, da un ingegnere iraniano e una violinista ungherese, non è affetta dalla bulimia della scrittura. Scrive quando ha davvero una storia che le frulla per la testa. In Italia, dei suoi testi per il teatro, finora sono usciti nelle edizioni Adelphi l’apprezzatissimo “Il dio del massacro”, “Arte” e “Bella figura”.
Ma adesso, ogni lettore che ami l’intelligenza, lo sguardo tagliente, l’arguzia e la capacità che ha Yasmina Reza di raccontare il destino delle persone concentrandosi sui dettagli delle loro vite, non può lasciarsi sfuggire “Anne-Marie la beltà”. il monologo tradotto da Ena Marchi e Donatella Punturo per Adelphi, che lo pubblica nella Piccola Biblioteca (pagg. 70, euro 10).
La Anne-Marie del titolo è una donna arrivata ormai vicino al capolinea della vita. Tanto da scherzarci sopra: “Metteranno la protesi in titanio nell’urna dopo la mia cremazione?”. Non è mai stata famosa, è riuscita a “scendere” a Parigi dalla provincia e a calcare i palcoscenici dei teatri. Ma sempre recitando ruoli di seconda o terza fila.
Arriva da Saint-Surd-en Ger, un posto dove “la gente non se ne sta mica a pancia all’aria”. Un microcosmo dove, un tempo, c’erano la miniera di carbone e la Compagnia teatrale di Prosper Ginot. Onesti mestieranti che, ai suoi occhi sognanti, apparivano come vere star delle scene. Tanto da ricordare, e snocciolare senza tentennamenti, i loro nomi e cognomi.
Questa vecchia signora, che deve fare i conti con le protesi all’anca e al ginocchio, non può rinunciare a inventarsi un’intervista immaginaria. Perché, nonostante tutto, a volte in palcoscenico è stata “Anne-Marie la beltà”. Ha conosciuto i suoi microscopici momenti di popolarità. E pensa sia giusto raccontarli a qualche giornalista che si materializza davanti a lei, con una raffica di domande, soltanto grazie alla sua fantasia.
E, allora, Yasmina Reza trasforma l’intervista immaginaria in un lungo monologo fatto di ricordi e rimpianti, amaro e comico al tempo stesso. Dove Anne-Marie non può fare a meno di rivivere momenti gloriosi vissuti all’ombra di Giselle Fayolle, una collega attrice arrivata, lei sì, al successo: “Avevo dimenticato quanto fosse brava a fare la languida”. E grazie alle emozioni provate accanto a Gigi, la bambina triste, che ritagliava le foto di Brigitte Bardot poteva vedersi bella soltanto usando la fantasia, riesce a costruire un elogio di chi è destinato a restare sempre un passo indietro.
Può capitare, così, che un giorno Anne-Marie vada a vedere Giselle che recita al “Métropole” la pièce “Partage de midi”. E che aspetti, poi, la diva all’apice del successo in una sala, mescolata a tanti altri cacciatori di autografi. Fino a quando la vede, la riconosce: “Mi ha abbracciata come non aveva fatto con nessun altro lì dentro”. Rievocare i vecchio tempi, però, non servirà a creare una sintonia di pari grado tra loro: “Ho detto a mio marito: hai visto come sembrava contenta di vedermi? Ha risposto, forse era contenta ma non ha chiesto di rivederti. Che c’entra? Neanch’io. Facciamo vite diverse adesso!”.
Ma, in fondo, Anne-Marie sa bene che il punto d’arrivo è per tutti uguale. non a caso, mentre lei grazie all’intervento al ginocchio riesce a camminare senza più il bastone, scopre al cimitero una tomba con dei fiori freschi. Guarda il nome sulla lapide. C’è scritto: Prosper Ginot, attore. uno dei miti della sua giovinezza in periferia. Uno dei titani del teatro di Saint-Surd-en-Ger che ha già saldato il suo conto con la vita. E anche Gigi se n’è andata senza grandi clamori. Mentre lei, Anne-Marie la beltà, può prendersi quegli ultimi scampoli di vita. E di attenzione da parte di una platea che batte le mani senza fermarsi, soltanto nel perimetro della sua immaginazione.
Davanti al nulla che la interroga, lei non esita ad affermare con orgoglio: “A volte, sul palcoscenico, sono stata Anne-Marie la beltà“.
Messo in scena a marzo per sei giorni al Théâtre de la Colline, prima che i teatri fossero chiusi contenere la diffusione della pandemia, proponendo André Marcon, l’attore-feticcio di Yasmina Reza, nei panni femminili di Anne Marie Mille, questo primo monologo scritto dall’autrice parigina è un sottile, coinvolgente, lucido monumento a una vita del tutto normale. A una carriera fatta più di delusioni e amarezze che di gioia. Un inno all’oscura umanità. Al divenire anonimo di chi non ha mai visto brillare, per sé, la stella del successo. Ma ha saputo godere dei suoi giorni per quello che offrivano.
<Alessandro Mezzena Lona