• 09/02/2021

Don DeLillo, l’apocalisse arriva in “Silenzio”

Don DeLillo, l’apocalisse arriva in “Silenzio”

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Uno schermo che, all’improvviso, diventa buio. Mandando all’aria la diretta tivù del Super Bowl del 2022. Il solito blackout? Niente affatto. Perché, a quella momentanea assenza di collegamento, si aggiunge anche il silenzio di tutti gli altri apparecchi tecnologici. Ammutoliscono i computer, rimangono inerti i telefoni cellulari, spariscono i suoni collegati ai messaggi che arrivano dai social network. Si oscurano le luci dalle strade, Manhattan galleggia nelle tenebre. E nel resto degli Stati Uniti, in tutta quella enorme parte di mondo che sta al di là dell’Oceano, che cosa sta accadendo?

Parte da questa suggestione inquieta il nuovo romanzo di Don DeLillo. Un libro secco, breve,  “Il silenzio”, che ha tradotto Federica Aceto per Einaudi (pagg. 103, euro 14). Un testo pubblicato a quattro anni da “Zero K”, il perturbante viaggio nel futuristico sogno di sconfiggere la morte, che ha colto in contropiede la critica e i lettori. Anche quelli abituati a esplorare il mondo delilliano sulla scorta di capolavori come “Rumore bianco”, “Underworld, “L’uomo che cade”.

Don DeLillo, come sempre, non fornisce chiavi di lettura. E tanto meno rassicuranti messaggi. Il suo “Silenzio” parte dalla descrizione minuziosa, a tratti ossessiva, del viaggio di ritorno in aereo verso New York di una coppia che si è concessa una breve vacanza, dopo la pandemia da Covid 19, in Europa: a Parigi. Lui è Jim Kripps, che per tutta la durata del volo si ostina a stare con gli occhi puntati su uno dei monitor per leggere i dati della temperatura esterna, di quanto manchi all’atterraggio. Lei è Tessa Berens, la moglie, un misto di ascendenze caraibiche, europee e asiatiche, autrice di poesie “che spesso venivano pubblicate su riviste letterarie”.

Ad attenderli in un appartamento nell’East Side, per guardare assieme la finale del Super Bowl, ci sono una professoressa di fisica in pensione, suo marito, e un ex studente di lei che galleggia tra la realtà e le suggestioni prese delle teorie di Albert Einstein. E da tutto quello che si è materializzato nel pensiero della modernità grazie alla teoria della relatività. Prima che il silenzio e il buio degli schermi porti il loro aereo a fracassarsi a terra, in un disperato quanto riuscito tentativo di atterraggio di fortuna, Jim e Tessa continuano a dedicare il loro tempo a un dialogo del tutto futile. Come spesso accade nelle giornate sempre uguali di tutti noi.

Quello che è successo, sembra chiaro fin dal primo istante, ha il sapore di un sabotaggio ai danni dell’intero sistema tecnologico. Il problema è che senza tivù, computer, riscaldamento, forni e fornelli, illuminazione e mezzi di trasporto, i protagonisti di questa storia cominciano a interrogarsi anche su quanto sia insicuro il loro stesso sistema di vita. “Dov’è la fede nell’autorità dei nostri device sicuri, delle nostre capacità di criptaggio, dei nostri tweet, dei troll e dei bot. Ogni cosa nella datasfera è soggetta a distorsione o furti? E a noi non resta che starcene seduti qui a piangere per il nostro destino?”.

Se perfino il vigile digitale, piazzato al centro di un ampio incrocio a Manhattan, rimane lì inerte, “con un braccio meccanico appena sollevato”, allora è chiaro che i personaggi del “Silenzio” devono aggrapparsi a qualcosa. Non certo alla fede cieca nella tecnologia, e nemmeno alle maledette pastiglie, calmanti, nutrienti, che scandiscono, con rassicurante puntualità, la giornata di ognuno di loro. Perché è soltanto nei gesti più elementari, quelli che riportano alla corporalità, all’animalità dell’essere umano, che possono trovare una delle vie di salvezza. Per non sentirsi come naufraghi di un viaggio interstellare proiettati verso il buio infinito.

Così, Jim e Tessa dentro un gabinetto vuoto dell’ospedale dove aspettano di essere medicati dopo il precario atterraggio del loro aereo, decidono di riappropriarsi del loro desiderio di toccarsi, di penetrarsi. Unica certezza che hanno in quel preciso momento.

“Descrivevano quello che facevano – scrive Don DeLillo – man mano che lo facevano, come, dove, quando, avanzando proposte, consigli, cercando di non ridere. Il corpo di lei scivolò lentamente lungo la parete e lui puntò le ginocchia per mantenere distanza e ritmo”. Tentazione che coglierà anche l’ex professoressa quando penserà che potrebbe consumare, con il suo ex studente, “una dimenticabilissima sveltila sulla spinta propulsiva del momento”.

Con “Il silenzio”, Don DeLillo si addentra in un mondo, il nostro mondo, che si è illuso di imbrigliare e dominare la realtà affidandosi alla traballante certezza di una pletora di strumenti tecnologici. E che reagisce, poi, davanti alle impreviste e improvvise difficoltà con una sequela di pensieri apocalittici e del tutto irrazionali. “Ci sono droni sopra di noi… La loro arma è una forma di lingua isolata. Una lingua che solo i droni conoscono”. O ancora: “E se il mondo che conosciamo venisse sottoposto a un nuovo assetto davanti ai nostri occhi mentre stiamo fermi a guardare, oppure mentre stiamo seduti a parlare?”. Per spingersi ancora più in là nell’immaginare scenari del tutto fuori controllo: “Forse il tempo ha fatto un balzo in avanti, come dice il nostro giovane amico? Oppure è collassato?”.

Comode scorciatoie che permettono di non guardare negli occhi la realtà. Perché sarebbe scomodo confessare che stiamo seppellendo dentro di noi il pensiero di una possibile, probabile, apocalisse futura. E che ogni giorno lo esorcizziamo, quel maldetto tormento, come bambini che cacciano la testa sotto il cuscino se sentono il pavimento che scricchiola.

Come in ogni suo romanzo, Don DeLillo non fornisce risposte. Indica la via, invita a pensare, scardina le illusioni, traccia nuove rotte all’immaginazione. “Il silenzio” diventa, così, un viaggio in una realtà distorta, che assomiglia molto alla nostra. Una cronaca credibile, spietata, lucidissima, di quello che potrebbe accadere senza che, per noi, sia realistico non soltanto prevederlo, ma tantomeno affrontarlo.

A tracciare la rotta del “Silenzio”, scritto con glaciale, efficacissima precisione stilistica, Don DeLillo pone una previsione fatta da Albert Einstein: “Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta guerra mondiale si combatterà con pietre e bastoni”. Se aspetteremo che sugli schermi dei nostri apparecchi elettronici scenda il buio, per iniziare a riflettere, sarà troppo tardi.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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