• 28/02/2021

Marco Belpoliti, il ritratto della “Pianura” è fatto di storie

Marco Belpoliti, il ritratto della “Pianura” è fatto di storie

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Pianura è un nome che dice tutto e niente. Descrive la sua conformazione geografica. Spiega che si tratta di una distesa piatta dove l’occhio può spaziare, e perdersi, senza trovare un confine reale. Consente di immaginare un moto perpetuo, un andare senza una meta, un avanzare mai impedito dall’improvviso obbligo di arrancare su dislivelli importanti. Ma non chiarisce che dietro quelle sette lettere si nasconde un mondo ancora più largo. Un microcosmo fatto di storie e persone, città e leggende, fiumi e sogni, spaventi e improvvise epifanie di fantastiche intuizioni.

Pianura è l’allargarsi di un orizzonte, davanti agli occhi della mente, che può dare le vertigini. Che può spalancare, davanti a chi si mette in cammino su quelle piatte traiettorie, l’accesso a n formicaio di destini e coincidenze, di rimandi e segrete connessioni, capace di scompaginare l’immagine normale, rassicurante, perfino familiare di quel territorio. Prova ne sia che la Pianura Padana, cuore geografico e produttivo dell’Italia, solcata dalla divinità acquea del Po, è stata sfruttata e brutalizzata, cementificata e stravolta, come se fosse la più scontata tra le ricchezze a portata di mano.

E allora? Per ritrovare il senso della “Pianura” bisogna rimettersi in viaggio. Come ha fatto Marco Belpoliti, scrittore e saggista, docente all’Università dio Bergamo, fondatore della rivista on line “doppiozero”, curatore delle opere di Primo Levi e autore di libri come “L’occhio di Calvino”, “Il tramezzino del dinosauro”, “Pasolini in salsa piccante”, “La strategia della farfalla” e molti altri. Ovvero, seguire il filo delle storie. Intrecciare i fili di un passato che diventa leggenda con le emozioni più profonde di un presente ancora capace di seminare intuizioni, idee, progetti.

Seguendo queste coordinate ha preso forma “Pianura”, il libro di Marco Belpoliti pubblicato da Einaudi (pagg. 284, euro 19,50), strutturato in forma di dialogo immaginario tra l’autore e un interlocutore con cui ha condiviso esperienze, letture, una fitta corrispondenza, idee e tantissime suggestioni. Ed è proprio ripercorrendo le strade, visitando i luoghi, in maniera sghemba, del tutto trasversale, ma con il desiderio preciso in testa di ritrovare la voce dei luoghi, che prende forma l’anima dei paesaggi, la fisionomia di un territorio che forse ha smarrito se stesso. Ma che conserva ancora indelebili le tracce di quello che è stato. E che è pronto a squadernarle davanti agli occhi di chi va a cercarle.

Per orientarsi nella sconfinata distesa piatta, che molto spesso si lascia invadere da una spessa coltre di nebbia, capace di far perdere l’orientamento anche al viaggiare più esperto, Marco Belpoliti, lui stesso narratore delle pianure nato a Reggio Emilia, convoca sul palcoscenico dei ricordi scrittori e amici, fotografi e teatranti, artisti e registi, musicisti e storici. E rivisitare i libri di Gianni Celati o di Piero Camporesi, lasciarsi trasportare dagli “abbagli di memoria” del fotografo Luigi Ghiri, far rivivere i Giganti del Teatro Vagante di Giuliano Scabia, che sarà al fianco di Franco Basaglia nella sua grande, utopistica sfida di smantellare l’istituzione manicomio per riportare la follia la centro della società, gli permette di mettere a fuoco una terra geniale e bizzarra. Fecondissima e ancora tutta da esplorare.

E allora la “Pianura” di Marco Belpoliti diventa una gigantesco ritratto di famiglia in esterno-interno. Un libro-termitaio, un diluvio di suggestioni, dove ogni pagina contiene almeno una decina di spunti, di rimandi, di citazioni, di frammenti di storie che parlano di altre storie. Imbarcando il lettore su un’immaginaria macchina del tempo, lanciata a velocità folle per dimostrare che ieri è ancora oggi, e che oggi non può dirsi domani se non ha fatto posto, dentro di sé, a ieri.

E, allora, come non lasciarsi trasportare dal fascino inquieto, e inquietante, di un personaggio come Opicino de Canistris. Un ecclesiastico, un disegnatore, un miniatore, un teologo dilettante. Un uomo del Trecento che, come scriveva Italo Calvino in “Il viandante della mappa”, il saggio pubblicato nel volume “Collezione di sabbia” (Garzanti 1984), “non fa che disegnare la carta del Mediterraneo, la forma delle coste per dritto e per traverso, talora sovrapponendovi il disegno della stessa carta orientato diversamente, e inseriti in questi tracciati geografici fa apparire figure umane e animali, personaggi della sua vita e allegorie teologiche, compenetrazioni sessuali e apparizioni angeliche, affiancandoli con un fitto commento scritto sulla storia delle sue sventure e vaticinii sul destino del mondo. Caso straordinario di ‘art brut’ e di follia cartografica, Opicinus non fa che proiettare il, proprio mondo interiore sulla carta delle terre e dei mari”. Personaggio che sembra preso di peso dalle pagine de “L’artefice” di Jorge Luis Borges. Dove lo scrittore argentino raccontava di un cartografo che, a forza di disegnare sempre nuove mappe, finiva per tracciare il ritratto di se stesso.

Ma nella “Pianura” di Marco Belpoliti risuonano anche le note di una musica punk dai contenuti alti come quelle dei CCCP-Fedeli alla linea. Dove lo straniamento di stare con i piedi piantati in un tempo che ha smarrito il significato delle cose echeggia i versi di Eugenio Montale nella poesia “Non chiederci la parola” : “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non. siamo, ciò che non vogliamo”). Giovanni Lindo Ferretti, con la sua voce inimitabile, si spinge ancora più in là. Perché prima declama la litania delle negazioni “Come tu mi vuoi”: “Non sono un vuoto a perdere / né uno sporco impossibile / né un marchio registrato / né un prodotto di mercato”. Per poi rovesciare la prospettiva nel finale: “Io sono un vuoto a perdere / uno sporco impossibile”. Lanciando un grido di dolore e rivolta contro un mondo capace di accettare il dritto e il rovescio, salvo poi mettere ai margini chi non rispetta le regole.

Un punk con il magone, verrebbe voglia di definirlo. Come quello che animava i romanzi di Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore di Correggio che ha lasciato un segno profondo nella letteratura italiana. Lui, che da “Altri libertini” a “Rimini”, fino ad arrivare al libro d’addio “Camere separate”, sapeva distillare quella speciale forma di dispiacere, quello spleen tutto emiliano, di pianura, che contiene in sé , dice Marco Belpoliti , il clima della bassura: “Umido e freddo in autunno e in inverno, con quelle lunghe giornale di nebbia; quindi la calura estiva, anch’essa umida e sfinente. Uno stato dell’anima, un nodo alla gola, una predisposizione all’essere umorali che ha dato corpo a un mondo di creazioni artistiche.

Non c’è una fine, in questo vagare alla ricerca della “Pianura”. Non può esserci, nemmeno in un libro prezioso come questo, dove le parole, di tanto in tanto, lasciano spazio ad alcuni disegni dell’autore. Schizzi capaci di fotografare il racconto con pochi tratti di matita. E, allora, non sorprende che Marco Belpoliti abbia voluto concludere il suo lungo percorso tra luoghi e parole con un “eccetera” scritto a penna, a lettere minuscole. Perché il viaggio è appena iniziato.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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