• 04/03/2021

Annie Ernaux, la libertà di non essere una “Donna gelata”

Annie Ernaux, la libertà di non essere una “Donna gelata”

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La scrittura come bisturi. Come una lama affilata che incide la carne proprio lì, nel punto preciso in cui il chirurgo deve intervenire. La scrittura come messa a fuoco implacabile e irresistibile della realtà. Per portare in piena luce tutto quello che, di solito, è preferibile seppellire nell’angolo più appartato dei proprio ricordi. La scrittura come strumento di denuncia di una condizione. Come ragionamento a voce alta sul ruolo delle donne, educate alla sottomissione. Istruite a essere creature leggiadre e fragili, capaci di portare la bellezza al centro della vita degli uomini dimenticando se stesse. Annullandosi nei silenzi della casa, nei profumi della cucina, nei paesaggi sempre uguali delle stanze da spolverare, riassettare, tirare a lucido. Prima che rientri lui.

Da quando ha iniziato il suo percorso letterario, Annie Ernaux ha trovato nella scrittura il proprio bisturi, la propria macchina fotografica, o macchina da presa. Lo strumento perfetto per ragionare a voce alta sulla realtà. Sulla propria infanzia, sull’adolescenza, sulla vita che è venuta dopo. Senza mai dimenticare che la letteratura riesce a dare forma ai desideri, al vissuto mai raccontato, ma non per questo diventa un saggio di sociologia. Perché nel momento stesso in cui le parole prendono in carico la realtà, cominciano a rimodellarla. A reinventarla. Trasformandola in un altro-da-sé assai simile al modello originale, eppure del tutto diverso.

Era il 1981 quando Gallimard mandava nelle librerie francesi “La femme gelée”. Anni in cui, ricorda Annie Ernaux, “si voleva che le donne fossero delle seduttrici, dove si credeva che il femminismo fosse finito”. E allora lei, la scrittrice di “Una donna”, “Memorie di ragazza”, “Gli anni”, ha voluto riandare con il pensiero al periodo dell’adolescenza, dell’adolescenza. Con il tentativo di liberarsi da una storia familiare del tutto anomala. Dove il padre lavava i piatti, cucinava, mentre la madre era indaffaratissima a mandare avanti la bottega di famiglia. Un caffè-drogheria che era un po’ il punto di riferimento per la gente di quella cittadina di provincia.

Parte da lì, da quello sguardo sulle “donne fragili e vaporose, fate dalle mani dolci, aliti leggiadri della casa che in silenzio fanno nascere l’ordine e la bellezza” il viaggio di Annie Ernaux nel mondo femminile del suo passato. Alla ricerca della “Donna gelata”, il suo intenso, lucido, impietoso e ferocemente coraggioso romanzo tradotto per la prima volta in italiano, con la consueta bravura e passione da Lorenzo Flabbi, e pubblicato da L’Orma (pagg. 188, euro 17). La casa editrice che sta riproponendo, da tempo, le opere della scrittrice francese di Lillebonne, attirando finalmente l’attenzione e l’amore della critica e dei lettori d’Italia su una delle più importanti voci della letteratura contemporanea.

La donna gelata di Annie Ernaux è quella che sogna di apparire come un essere fragile e vaporoso, sempre pronto a donare felicità e bellezza. Anche se nella memoria della scrittrice è più facile ritrovare modelli inferiori, meno raffinati, “tutto stracci e olio di gomito”. Mogli, insomma, che strofinano il lavello, tanto per intendersi, “finché ci si può specchiare, capaci di preparare pranzi e cene con gli avanzi”.

Per tutta l’adolescenza, la voce narrante della “Donna gelata” ha dovuto fare i conti con ben altri scenari familiari. Perché la madre, deus ex machina di moltissimi romanzi di Annie Ernaux, non è mai stata la proiezione della fatina che fa brillare la propria casa. Anzi, ha sempre voluto far crescere la figlia in un sorta di culto anomalo, per quei tempi, della libertà. Limitata da un solo tabù: quello del sesso. Che si trascinava dietro il terrore di vedere la propria figlia lasciarsi stregare da un amore sbagliato. Dalla nascita di un figlio non voluto.

Dall’altra parte, però, la protagonista della “Donna gelata” non è mai riuscita a sottrarsi al confronto con le amiche coetanee. Ribelli al ruolo predefinito di donne angelicate, sottomesse al proprio compagno, soltanto in apparenza. Ma prontissime, in realtà, a sognare un futuro fatto di un normalissimo rapporto di coppia, della nascita dei figli, della rinuncia sistematica a qualunque soddisfazione professionale, ma anche umana, da trovare al di là dell’angusto perimetro delle mura domestiche.

E allora, nelle pagine di questo libro che andrebbe letto al rallentatore per gustare fino in fondo la scrittura precisa, tagliente, lucidissima di Annie Ernaux, il percorso di una ragazza che vorrebbe liberarsi dalla minaccia di diventare una donna gelata, mummificata nel ruolo di evanescente presenza dolce e adorabile, diventa il lungo viaggio verso il traguardo della propria liberazione. Percorso che passa per gli anni confusi e elettrizzanti dell’infanzia, per quelli più complessi dell’adolescenza. Per arrivare al periodo tanto atteso del distacco dalla famiglia, dei primi amori e dei macroscopici dubbi sul futuro vissuti al tempo dell’università. Fino ad arrivare alla prima storia importante. A un rapporto di coppia che proverà a sfuggire alla tagliola dei ruoli prestabiliti.

Straordinario racconto su una donna che, in qualche modi si è salvata, dopo aver rischiato di restare sommersa a quello che la società chiede e impone a ogni “buona moglie”, “La donna gelata” è uno dei più limpidi e inquieti romanzi sulla disparità di genere. Perché racconta la realtà, senza niente nascondere, con gli occhi di una donna che per davvero non sa, e non vuole, rassegnarsi alla prigione pronta ad accoglierla. Ma il libro non si trasforma mai in un manifesto. Non si lascia tentare dalla facile scorciatoia di procedere per slogan. Non scivola nel pittoresco, non si aggrappa alle parole della retorica. No, Annie Ernaux ricorda, osserva, racconta. Trasforma la realtà in letteratura.

La dedica del romanzo sta lì a testimoniare quanto Annie Ernaux sia una scrittrice onesta. Dice “A Philippe”. Chiama in scena il suo primo marito, dal quale si è separata molto presto. Perché non ha mai capito quanto fosse pesante per una giovane donna, lasciata sola a occuparsi della casa e dei figli, rassegnarsi a recitare la parte della “Donna gelata”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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