Non è mai mancato il coraggio a Mary Gaitskill. Di raccontare la propria vita senza abbellirla con inutili bugie. Perché sì, a ventun anno ha fatto la spogliarellista: “Nessuno ti toccava, era striptease all’antica. Salivamo sul palcoscenico con dei costumi di cui certe ragazze andavano orgogliose, e ci toglievamo il perizoma soltanto alla fine”. E per mantenersi a New York lei, ragazza fuggita dalla casa di famiglia a Lexington, Kentucky, papà professore universitario e mamma casalinga, ha dovuto anche prostituirsi: “Ero scappata dai miei a 16 anni, avevo bisogno di soldi”. E adesso che negli States la critica la idolatra, ha pensato che è arrivato il momento di sottrarsi al coro del #metoo. Scrivendo un romanzo breve bellissimo, destinato a innalzare attorno a lei un muro di polemiche.
Intendiamoci, a volte le polemiche possono giovare alla letteratura. Perché forse leggendo “Questo è il piacere”, tradotto splendidamente da Maurizia Balmelli per Einaudi (pagg. 85, euro 15), qualche lettore in più scoprirà questa grande voce della letteratura contemporanea che è Mary Gaitskill. E magari andrà a cercare la sua folgorante antologia di racconti “Oggi sono tua” (Einaudi 2012), oppure i romanzi “Due donne, grassa e magra” (Mondadori 1992), “Veronica” (Nutrimenti 2012), “Velvet” (Einaudi 2017). Opere che hanno imposto la scrittrice di Lexington per l’originalità e la sincerità di storie che il Premio Nobel per la letteratura Alice Munro ha definito “di irriducibile genialità per il ritmo e la folgorante bellezza di certi attimi che ti colgono alla sprovvista”.
Leggendo “Questo è il piacere” ritorna alla memoria la lettera scritta nel 2018 al quotidiano francese “Le Monde” da cento donne, tra cui l’attrice Catherine Deneuve, che prendevano le distanze dalla furia del movimento #metoo, innescato dalla clamorosa serie di denunce di molestie sessuali contro il produttore americano Harvey Weinstein. In quello scritto dicevano ad alta voce che “lo stupro è un crimine, ma le avance insistenti e goffe non lo sono, né la galanteria è un aggressione maschilista. Per questo difendevano “la libertà di importunarci, indispensabile alla libertà sessuale”. E prendevano le distanze da “un tipo di femminismo che esprime odio verso gli uomini”.
Mary Gaitskill inventa, nel suo romanzo breve “Questo è il piacere”, due personaggi che non rispondono alla troppo facile suddivisione manichea in buoni e cattivi. E non sorprende, visto che lei è l’autrice del celebrato racconto “Segretaria”, da cui ha tratto il discusso film “Secretary” il regista Steven Shainberg nel 2003, Golden Globe per la migliore attrice a Maggie Gyllenhaal. Torbida storia di una giovane donna che si lascia manipolare dal proprio datore di lavoro fino a scoprire che le molestie subite portano a galla le sue fantasie più buie e inconfessabili.
Ed è sempre Mary Gaitskill che ha saputo raccontare, con spregiudicata crudeltà e altrettanta empatica tenerezza, la storia di donne ossessionate dalla bellezza, dal richiamo dell’erotismo, dall’obbligo di essere sempre in forma, dall’attrazione dei finti miti creati dalla società dei consumi. Dai complessi di amore e odio, di dipendenza e costrizione, che si creano all’interno delle famiglie.
In “Questo è il piacere”, Mary Gaitskill sembra avere ascoltato il suggerimento di Theodor Adorno, il filosofo e musicologo della Scuola di Francoforte,, quando vedeva “l’arte come magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Sì, perché la scrittrice americana immagina due editor di successo, entrambi sposati, riescano a intessere tra loro un rapporto di profonda amicizia. Fin da quando l’inglese Quin ha avviato l’americana Margot nel complicato mondo dei libri. E, mentre si complimentava, per il suo intrepido gusto letterario, ha tentato di cacciarle una mano in mezzo alle gambe. Con la scusa che “il tuoi clitoride non le manda a dire”. E si è beccato, come risposta, un secco “no!”. Accompagnato, da una mano spalancata dalla ragazza proprio davanti alla faccia. Perché “perfino un cavallo, di norma, ubbidisce” a un gesto così forte. “Eppure pesa mezza tonnellata più di un essere umano”.
Quello è stato soltanto uno degli episodi che raccontano i goffi, e spesso sgradevoli, corteggiamenti di cui è costellata la carriera dell’infernale Quin. Il pervertito, come lo chiamano affettuosamente Margot e suo marito Todd, che ci prova con Caitlin, Hortense, Sharona, e con chissà quante altre ragazze passate per il suo ufficio. Però è anche vero che lui, le donne, le sa ascoltare, le spalleggia, le ama. Anche se loro si ribellano al suo insistito corteggiamento. Anche se, poi, non perde occasione per toccarle, manipolarle, trattarle male. E allora? Semplice, arriva il momento in cui loro non ci stanno più. Lo denunciano, gli fanno perdere il lavoro. Lo spingono verso una catastrofica, pubblica gogna, che lo porterà a perdere il lavoro. Spingerà il suo matrimonio sull’orlo del fallimento.
Mary Gaitskill non giustifica Quin. Non nasconde il suo comportamento spregevole. Non fa nulla perché risulti simpoatico al lettore. Però non può sottrarsi al dovere di porre delle domande. Come quando rivela che una delle accusatrice dell’editor ha firmato la denuncia contro di lui sull’onda dei tanti nomi di amiche e conoscenti che l’avevano già sottoscritta. E, poi, si è pentita. Al punto di scusarsi cvon un: Penso a luii e alla moglie ogni giorno”. Perché spesso, come scriveva nel suo racconto “Cose”, “in poesia come nella vita, era meschino e imprudente formulare giudizi perentori sulla base di una così scarsa informazione”.
Costruito su un alternarsi veloci di voci, con il continuo sovrapporsi dei punti di vista di Margot e di Quin, “Questo è il piacere” si rivela un romanzo capace di sottrarsi al rombo della rissa mediatica. Mary Gaitskill affida, infatti, nelle mani del lettore una storia dove il clamore del caso viene trattato con grande delicatezza, intelligenza e sensibilità. Dove c’è ancora posto per prestare attenzione alle sfumature di una vicenda scandalosa. Dove certo facile furore inquisitoriale, che ha ritrovato cittadinanza nel nostro tempo, viene ridimensionato dalla totale certezza che non saranno i moralisti a cambiare il mondo. E nemmeno chi spara nel mucchio, senza ascoltare la voce della ragione.
Ma forse è proprio questa la strada giusta per ristabilire un equilibrio. Per farsi un’idea un po’ meno stereotipata della realtà. Anche quando mette in scena le sue storie più perturbanti. Lo stesso percorso che ha seguito un altro talento della letteratura americana: quella Emma Cline che si era fatta acclamare dalla critica e dai lettori nel 2016 con il suo romanzo di debutto “Le ragazze”. Sguardo urticante e liberissimo sul coinvolgimento di un’adolescente in un gruppo di sbandati assai simile alla Famiglia di Charles Manson. Nel suo ra conto lungo “Harvey” (Einaudi, pagg. 91, euro 12), l’autrice californiana ha provato a raccontare l’orribile Weinstein da un altro punto di vista. Immaginandolo prigioniero di una vita noiosa, vissuta con goffa normalità, con viziata inettitudine. Che lo porta a confondere il vicino di casa con il Grande Don DeLillo e a gestire la visita della figlia e della nipotina con malcelata inadeguatezza. Mentre tutti i giornali del mondo lo descrivono come il feroce predatore sessuale di aspiranti attrici.
Spesso, ha scritto Mary Gaitskill in un altro suo strepitoso racconto, “Pezzo folk”, non ci accorgiamo di trasformare certi episodi di cronaca nera, già sufficientemente complessi e sgradevoli, in puro intrattenimento. Dove i ruoli devono essere ben definiti. Bianco o nero, buono o cattivo. E non resta mai spazio per le sfumature. Tanto che del mostro non sapremo mai nulla di più di quello che è scontato raccontare. I suoi misfatti, il buio che lo domina. Ma cosa c’è al di là dello stereotipo?
Ed è lì, oltre l’orizzonte del già detto, scrutando dietro il ghigno tremendo della maschera, che la letteratura può diventare straordinario punto d’osservazione sulla realtà. Se riesce a liberarsi dalla menzogna di essere verità.
<Alessandro Mezzena Lona