• 15/06/2021

Giulia Lombezzi: “Siamo fatti di sostanza instabile”

Giulia Lombezzi: “Siamo fatti di sostanza instabile”

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Non è sempre la letteratura a indicare la via maestra a una storia. E nemmeno la filosofia, o l’arte, o ancora la musica. No, a Giulia Lombezzi è capitato di trovare nel mondo della chimica, tra gas, molecole, elementi stabili e instabili, l’idea giusta per portare il suo romanzo a realizzare la quadratura del cerchio. Visto che lei aveva già costruito un intreccio di personaggi, destini, casualità, causalità, che all’improvviso si trovano a dover gestire una situazione molto più spaventosa dei loro peggiori incubi. E posti di fronte a un’immensa solitudine, pur stando in mezzo a mille altre persone, devono decidere se aggrapparsi alla ragione o lasciarsi spazzare via dall’emotività. Dall’irrazionalità. Dal terrore puro.

Ed è proprio da lì, dalla chimica, che è arrivato a Giulia Lombezzi la geniale intuizione di intitolare il suo romanzo di debutto “La sostanza instabile”. Titolo che, peraltro, è piaciuto molto non solo alla giuria del Premio Calvino, pronta a a inserire la scrittrice e autrice teatrale milanese tra i finalisti dell’edizione 2020, ma anche all’editore Giulio Perrone. Che ha, poi, pubblicato il libro (pagg.269, euro 18) senza voler modificare il titolo.

È un luglio così caldo da far sudare anche chi aspetta in grazia l’estate tutto l’anno, quello che emana le sue vampate tra le pagine de “La sostanza instabile”. Migliaia di persone sono accalcate, sudatissime, in piazza Sempione a Milano davanti a un maxischermo. Tra pochi istanti prenderà il via la sfida decisiva degli Europei di calcio: Italia contro Francia. Una sorta di rivincita della rivincita. Della finale mondiale del 2006, vinta dall’Italia ai rigori, ma anche della finale di Euro 2000 dominata dai cugini d’Oltralpe. E in mezzo ai cori, alle lattine di birra tracannate per darsi coraggio, ai panini mangiati in fretta prima del calcio d’inizio, s’intrecciano le storie di personaggi diversissimi. Le cui strade mai, prima di quella sera, si erano incontrate.

Caterina è lì che caracolla sui suoi tacchi alti. Non ha voluto nemmeno cambiarsi pur di stare accanto al suo Marco, agitatissimo, come se dovesse scendere lui in campo. Serena, come sempre, deve assistere all’adorazione dei maschi per Matilde, la sua migliore amica dai capelli rossi. Che lei, pur senza mai confessarlo apertamente, vorrebbe veder sparire. Perché ha tutto quello che le manca: la bellezza, la simpatia, quel modo di fare che attira i ragazzi a grappoli. La famiglia di Betty, con Sara, Olmo e Marco più il marito, si muove compatta e organizzatissima tra le file degli scalmanati. Sembra una pubblicità del Family Day. Un po’ troppo perfetta, forse, in un tempo in cui stare assieme per più di qualche anno risulta impossibile. Sandro e Flavio sono lì solo per rinsaldare il loro rapporto padre-figlio, anche se al ragazzo il calcio non è che piaccia poi tanto.

Quando la partita inizia, un boato travolge la folla di tifosi. In un lampo i cori da stadio, l’allegria, la speranza di vivere una serata magica, si trasformano in una sguaiata sinfonia di urla di terrore. In un correre all’impazzata per salvarsi da quello che, sicuramente, è un attentato di qualche terrorista fanatico. In un calpestarsi per salvare se stessi. E non importa se sotto le suole delle scarpe rimangono le mani, le facce, le gambe di altre persone ugualmente terrorizzate. La folla non ragiona più, pensa solo a salvarsi. Smarrisce quel senso di altruismo che detta alcune regole elementari del vivere in mezzo agli altri. Ognuno, pur di aprirsi una via di fuga, sembra disposto a valicare di slancio il sottile confine tra il Bene e il Male.

Così, in pochi minuti, tutti i personaggi di trasformano in “Sostanza instabile”. In molecole che perdono la forza dei legami, quella che li fa stare insieme, per trasformarsi velocemente sotto la spinta di eventi inaspettati. E il romanzo di Giulia Lombezzi segue le traiettorie sghembe che, da quel momento, ogni personaggio deciderà di seguire. Sotto la spinta del terrore di morire. Del sospetto che i terroristi, dopo il primo scoppio, entrino in azione ancora.

Da ottima autrice di testi teatrali, ma anche di apprezzate storie brevi (con “La vita in gioco” ha vinto una borsa di studio della Scuola di scrittura Belleville, con “Fuga in fa maggiore” il concorso Il titolo e altri racconti), Giulia Lombezzi costruisce una trama adrenalinica, appassionante, irrobustita da dialoghi spesso scheletrici ed efficaci. Senza dimenticare mai di ipnotizzare il lettore con alcune invenzioni linguistiche assai efficaci. Come quando, proprio nell’incipit de “La sostanza instabile”, definisce l’estate “un imbroglio, una sciocca sospensione dell’esistenza, un re Mida mitomane che trasforma il tangibile in allucinazioni con le sue giornate gommose, il dilatarsi invisibile dell’aria, le canzoni che si infilano e non vanno più via”.

“Il titolo del libro è arrivato dopo. Quando mi sono messa a studiare, a documentarmi, proprio per dare più forza alla storia che mi girava in testa – spiega Giulia Lombezzi, le cui opere teatrali sono andate in scena in Italia, in Svezia, in Polonia e in Iran -. Non basta usare la fantasia, bisogna essere sicuri di conoscere bene gli argomenti di cui si vuole parlare. Io, per esempio, dovevo capire tutti i passaggi di un’esplosione. Visto che è da lì che parte tutto. Così, mi sono fatta spiegare da alcuni esperti la questione delle sostanze instabili. Quelle, insomma, che in chimica presentano il legame più debole tra i loro atomi. E tendono a mutare su sollecitazione di alcuni fattori esterni”.

Come i suoi personaggi?

“Certo: potrebbe sembrare lontana questa spiegazione chimica dalle questioni letterarie e poetiche di un romanzo. Ma non è così Perché la metafora è perfetta: tutti noi siamo sostanze instabili. Produciamo reazioni inaspettate in determinate situazioni. Io volevo raccontare proprio questo: quanto sia difficile essere fedeli a se stessi nei momenti di crisi. Perché è impossibile conoscersi fino a quando non veniamo messi alla prova”.

C’è un fatto di cronaca che le ha suggerito la storia dello scoppio?

“Sì, è stata suggerita dalla tragica notte di Torino. Quando il 3 giugno del 2017, in piazza San Carlo durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, un gruppo di persone seminò il panico tra la gente spruzzando spray urticanti. Ci furono 1500 feriti e diversi morti. Le prime voci, però, parlavano di un attentato. Da lì. ho iniziato a pensare che cosa sarebbe successo a me se fossi stata in piazza tra la gente. Mi sarei ritrovata tra chi calpesta o viene calpestato? Cerca di salvarsi oppure annega tra i piedi della folla terrorizzata? In realtà, non sono riuscita a trovare una risposta. Però mi sono messa a immaginare il destino di alcuni personaggi, confluiti nel romanzo”.

Non c’è un confine tra il Bene e il Male ne “La sostanza instabile”?

“Non credo nella rigida separazione tra buoni e cattivi. Trovo molto più appassionante, per uno scrittore, esplorare i perché una persona considerata normale, tranquilla, buona, possa trasformarsi in qualcosa di completamente diverso. In questo senso, mi piace il lavoro che stanno facendo autori come Emmanuel Carrère, Nicola Lagioia, senza dimenticare un classico come ‘Delitto e castigo’ di Fedor Dostoevskij. Non volevo emettere un giudizio morale su nessuno dei protagonisti de ‘La sostanza instabile’. Ma, piuttosto, seguire il loro agire ambiguo”.

Scrivere per il teatro aiuta a ideare un romanzo?

“Sì, soprattutto quando si impostano i dialoghi. Perché i personaggi devono parlare in maniera credibile, reale, non seguendo certi arzigogoli mentali dell’autore. Anche il mio amore per il monologo teatrale è entrato in una narrazione corale. Dove, però, c’è spazio per diverse messe a fuoco dedicate a ogni personaggio. Quello che un romanziere non deve fare è scambiare la scrittura drammaturgica, fatta per essere detta con la voce e mutare negli interventi degli attori, con quella della letteratura, obbligata a contenere già tutto. Anche perché il lettore non può intervenire sul testo. Deve lasciarsi conquistare da quello che trova sulla pagina”.

Scuola di scrittura: sì o no?

“La scuola Belleville, per me, è stata importantissima. Perché ha integrato il mio percorso di scrittura teatrale con quello puntato proprio sulla narrativa. Mi ha permesso di affinare la mia voce di scrittrice. E di capire quali sono gli errori da non fare”.

Il Premio Calvino: un fucina di futuri talenti?

“È una straordinaria opportunità per un autore non ancora conosciuto. Un’occasione per spalancare gli occhi sul mondo letterario, e farsi scoprire. E poi, permette di confrontarsi con autori davvero bravi: Nadia Terranova, Helena Janeczek, Omar Di Monopoli e tanti altri che fanno parte della giuria. Nell’ambiente artistico non è facile farsi ascoltare, o leggere, perché sono tantissimi quelli che ci provano. C’è più offerta che domanda. Nessuno ti vuole male, ma devi renderti conto di quanti autori interessanti, e sconosciuti, ci sono in giro. Non sempre trovi qualcuno che apprezzi il tuo lavoro”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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