• 19/07/2021

Simone Marchesi e Roberto Abbiati, far di Dante poesia visiva

Simone Marchesi e Roberto Abbiati, far di Dante poesia visiva

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Si può partire dalla A, come è logico. E citare, in ordine alfabetico, la grande poetessa russa Anna Achmatova, e Ludovico Ariosto dell’Orlando furioso, W.H. Auden. Se, poi, si vuole proseguire con la B, allora è impossibile non fare riferimento a Charles Baudelaire e ai suoi “Fiori del male”, ma anche a Samuel Beckett, e così avanti. Passando da Michail Bulgakov a Jorge Luis Borges, da Primo Levi a Giacomo Leopardi, da Osip Mandelš’tam a Ezra Pound, da James Joyce a Franz Kafka, da Pier Paolo Pasolini a Aleksandr Solženicyn. Fino a scendere agli ultimi della lista: Derek Walcott e W.B. Yeats. Per tutti loro, la Commedia di Dante è stata un’opera a cui non hanno potuto sottrarsi. Anche se, poi, nelle loro opere il riferimento al capolavoro dantesco è spesso simile a una voce sommersa.

Scrittori, poeti, ma soprattutto saggisti. Da secoli, su Dante e sulla sua Divina Commedia si è scritto tutto e di tutto. Leggendo l’opera e la vita del poeta nelle maniere più differenti. Ma allora, a settecento anni dalla morte dell’Alighieri, che cosa rimane ancora da dire? Tanto, tantissimo. Per far capire ai lettori non specialisti quanto quel capolavoro così apparentemente lontano nel tempo abiti il nostro presente. Basta immergersi tra le pagine di un libro originalissimo, straordinario. Si intitola “A proposito di Dante. Cento passi nella Commedia con disegni” (euro 25). Lo pubblica uno degli editori “piccoli” più coraggiosi e visionari: Keller di Rovereto. Nasce dalla collaborazione tra due persone che abitano mondi apparentemente molto distanti: Simone Marchesi è professore associato nel Dipartimento di Francese e Italiano all’Università di Princeton, dove studia e insegna Dante da più di vent’anni; Roberto Abbiati, disegnatore, autore di spettacoli teatrali in cui la recitazione e il mondo dei segni convivono in armonia, ha pubblicato libri bellissimi come “Moby Dick o la Balena”, in cui ha saputo reinventare in maniera visiva il capolavoro di Herman Melville.

Il progetto “A proposito di Dante” ha preso forma in tre anni di lavoro. Sfidando lo scetticismo di qualche prestigioso, e troppo prudente, dantista come Robert Hollander. Che in uno scambio di mail con gli autori, quando il libro era ancora un pallido miraggio, diceva senza troppi giri di parole: “Devo confessare che non mi sono mai piaciute le illustrazioni dei libri di poesia, che sono oggetti per loro natura esteticamente autosufficienti. E questo mi sembra vero nella maniera più assoluta per Dante: mi posso immaginare che cosa potrebbe dire di un progetto come questo”.

E allora, meglio lasciar perdere? Neanche per sogno. Simone Marchesi e Roberto Abbiati ci credevano troppo nel loro progetto, tanto da decidere di pubblicare a mo’ di prefazione proprio lo scambio di mail con Robert Hollander. Partendo da una convinzione incrollabile. Ovvero, che la Commedia sia poesia visiva. E che, proprio per questo, loro non si sarebbero mai azzardati a illustrare il capolavoro dantesco. Anzi, erano decisi fin dall’inizio a seguire la traiettoria opposta. Lasciando che fosse Simone Marchesi a scegliere alcune terzine chiave per i 34 canti dell’Inferno, i 33 del Purgatorio e del Paradiso. Per metterle, poi, in forma di frammentato racconto sulla pagina, creando una sorta di percorso narrativo capace di suggestionare la creatività artistica di Roberto Abbiati.

Marchesi e Abbiati hanno capito, fin dall’inizio, che “il diritto di immaginare che Dante impone ai lettori come un dovere è infatti la norma che delimita lo spazio delle immagini che accompagnano il testo. Come la libertà di ciascuno deve terminare dove inizia quella di un altro, così la libertà dell’illustratore si è estesa fino a quella, più essenziale, dei lettori e non oltre. Non lasciando, cioè, mai che le sue immagini si sostituissero al loro immaginare”.

E allora, mentre il professore passa di terzina in terzina, svelando i segreti del lavoro di Dante, spiegando al lettore che “è l’imperfezione della realtà che crea la poesia” nella Commedia, perché la fantasia sfrenata dello scrittore è abitata da una precisa corporeità, il disegnatore ascolta la voce del dotto commentatore e lascia che sia la sua mente a creare un percorso di segni, disegni, frammenti di parole agglomerarsi di figure, capaci di dare forma ai tormenti delle anime dell’Inferno, al tempo sospeso di quelle del Purgatorio, alla gioia luminosa di chi è già in Paradiso. Senza mai azzardarsi a sottolineare il testo, senza mai provare a imitarlo. Ma, al contrario, rendendo un capolavoro di un tempo lontanissimo dal nostro specchio di quelle che sono molte contraddizioni del secolo che stiamo vivendo.

Così, può capitare che la famosa terzina che inizia con “Tu proverai sì come sa di sale” si specchi nell’immagine di Primo Levi, lo scrittore diventato simbolo dell’orrore dei lager nazisti e della tragedia della Shoah. Oppure, l’assenza di pietas per il corpo di Manfredi, figlio dell’imperatore Federico II di Svevia, disseppellito e gettato fuori dai confini del regno della Chiesa per ordine del vescovo di Cosenza, faccia tornare alla mente del disegnatore uno degli episodi di più crudele insensibilità del nostro tempo: l’immagine di un bimbetto annegato su una spiaggia in Turchia, senza che il mondo provasse vergogna. Perché, diceva il poeta londinese John Donne: “La morte di ciascuno mi rende più povero perché l’umanità mi fascia e coinvolge. Perciò non mandare qualcuno a chiedere per chi suoni la campana. Suona per te”.

Ogni pagina porta il lettore a fermarsi sulle parole, a interpretare i segni. A ragionare su quale sia stato il passaggio del testimone tra la Commedia di Dante, il commento di Simone Marchesi e la fantasia di Roberto Abbiati. Uno, tra tanti, l’esempio su cui ci si può soffermare più a lungo. Quello che parte dalla terzina “Quell’uno e due e tre che sempre vive / e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno, / non circunscritto, e tutto circunscrive”. Dove i due autori sanno far coabitare, nell’interpretazione dei versi danteschi, il mistero cristiano della Trinità, il fascino letterario della macchina narrativa della Commedia costruita sulle terzine. Ma anche un più ampio sguardo sulla simbologia dei numeri, sul mistero dei segni. Sull’arcano potere del verbo che si fa carne, del logos che trova espressione nei movimenti del corpo.

“A proposito di Dante” diventa così, pagina dopo pagina, il libro che con grande forza e umiltà riesce a dare voce, a dare corpo, al “trasumanar” dantesco. Al “significar per verba” quello che, ai lettori inchiodati a sbirciare “sotto il velame de li versi strani”, rischia di sfuggire. Ovvero, la bellezza narrativa, umana e filosofica di un’opera che non smette di affascinare e turbare. Proprio perché, raccontando quello che supera l’immanente e diventa trascendente, sa dare voce all’essere uomini in tutta la sua complessa e affascinante realtà.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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