• 25/08/2021

Daniela Gambaro, luci-ombre di famiglia in “Dieci storie quasi vere”

Daniela Gambaro, luci-ombre di famiglia in “Dieci storie quasi vere”

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Mai smettere di leggere un libro prima di essere arrivati all’ultima pagina. Non solo per rispetto nei confronti dell’autore, che ha il diritto di essere giudicato soltanto al termine della sua opera. Ma soprattutto perché, spesso, nelle note finali di un romanzo, di una raccolta di racconti, ci si può imbattere in suggestioni molto interessanti. Piccole spiegazioni dello scrittore, ringraziamenti particolarmente significativi che hanno segnato il divenire del libro stesso. Insomma, dettagli disseminati non sempre con un intento didascalico. Eppure, importanti per una lettura più approfondita del testo letterario in questione.

Se il libro è una raccolta di racconti, poi, qualunque tipo di indicazione sul percorso seguito dallo scrittore è importantissima. Prendiamo “Dieci storie quasi vere” (Nutrimenti, pagg. 133, euro 15). Con questo debutto letterario, Daniela Gambaro ha vinto il Premio Campiello Opera Prima, che riceverà sabato 4 Settembre all’Arsenale di Venezia. Nel corso della serata finale verrà proclamato anche il vincitore della 59.edizione del riconoscimento voluto dagli industriali veneti. I cinque finalisti sono: Andrea Bajani con “Il libro delle case” (Feltrinelli); Giulia Caminito con. “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani); Paolo Malaguti con “Se l’acqua ride” (Einaudi); Paolo Nori con “Sanguina ancora” (Mondadori); Carmen Pellegrino con “La felicità degli altri” (La nave di Teseo).

Dopo aver snocciolato le sue “Dieci storie quasi vere”, Daniela Gambaro, veneta di Adria, laureata in Scienza della comunicazione a Padova, sceneggiatrice per il cinema e la tivù dopo aver frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, scrive un ringraziamento ai genitori che potrebbe passare inosservato. Perché dice: “Ringrazio i miei genitori, che non si sono mai opposti al mio desiderio di fare dello scrivere un mestiere”. Che cosa risuona di così significativo in queste poche parole? Semplice, il fatto che la scrittrice riconosce alla sua famiglia di non averla mai ostacolata nel realizzare il suo sogno.

E allora? Beh, non è poco, dal momento che la famiglia, la vita di coppia, il complicato rapporto tra genitori e figli, il desiderio spesso frustrato della maternità, con tutte le conseguenze e i problemi che si porta appresso se è realizzato, sono proprio il punto nodale delle “Dieci storie quasi vere”. Un libro che finisce per sorprendere anche il lettore più diffidente nei confronti della forma racconto. Perché Daniela Gambaro non soltanto racconta storie diversissime tra loro, anche se legate dal filo rosso della quotidianità, dallo sguardo attento sulla vita possibile, ma trova per ognuna delle dieci narrazioni una voce, una lingua, uno stile del tutto consono a quello che si sta svolgendo sulla pagina.

Le “Dieci storie quasi vere” partono da un racconto che dichiara subito la provenienza di Daniela Gambaro. Perché “Giavasco”, questo il titolo, è quel luogo che a Adria, la città etrusca in provincia di Rovigo, o non-luogo dove il centro abitato si fa campagna. Dove, tra l’erba alta e le ortiche, si possono fare i giochi che è meglio non far vedere ai grandi. Si può sognare un futuro, colorato da un ingenuo erotismo, cha forse non si realizzerà mai. Ma perché impedirsi di seguire la fantasia, soprattutto quando la vita è ancora lontana da presentarti il conto? Ecco, la prima e l’ultima storia, “Mia sorella si illumina”, sono quelle che alzano di più lo sguardo oltre il filo dell’orizzonte. Si concedono qualche piccolo slittamento al di là della realtà: tutto sembra più facile quando, in una famiglia qualunque, arriva una bambina che emana luce, senza per questo essere trattata come se fosse un piccolo fenomeno paranormale.

Ma dal secondo racconto in poi, “Il signor Avezzù pensava”, Daniela Gambaro tiene gli occhi ben fissi sul mondo che vuole mettere in scena. Dalla famiglia che non può traslocare se non fa ribaltare il giardino di casa per trovare la tartaruga del figlio, che è andata in letargo, al rapporto complesso di una giovane mamma con il suo bambino (che forse finirà per assomigliare alla nonna, a cui ha fatto il primo sorriso), da sempre aggrappata al mito dei nativi americani per dare un senso alla propria vita (“L’ultima dei Mohicani”). Dalla protagonista de “La Llorona”, che dimentica la figlia in automobile per andare a lavorare. e per sempre ritornerà con il pensiero a quegli attimi deviati della propria vita, alla coppia che si sforza di parlare un inglese immaginario per non farsi capire dai figli (“We should – Ballata della lingua inglese”). Passando per le vicende di una babysitter con il sogno di diventare suora di clausura (“Aderenze”), di una coppia che progetta un anniversario di nozze molto erotico, ma finirà per trascorrerlo con i propri bambini (“La piccola metà”), di un musicista che rischia di far crollare la propria casa, e il matrimonio, installando una pesantissima saletta prove dove suonare in santa pace (“La stanza in più”).

Menzionata dalla giuria del Premio Calvino nel 2019, selezionata per il Flaiano e premiata con il Campiello Opera Prima nel 2021, Daniela Gambaro si annuncia come una voce del tutto originale della narrativa italiana del terzo millennio. Capace di costruire storie precise, coinvolgenti, mai banali, scritte con una lingua ricca eppure priva di sbavature. Dove il disagio, il dolore, il senso di inadeguatezza provato da uomini e donne davanti alla vita spesso si specchia nello stesso male di vivere riflesso nella Natura. Come quando la protagonista de “La Llorona” scopre che le tartarughe emettono un suono simile al pianto nel momento di deporre le uova, che si schiuderanno senza la presenza delle madri.

Come dire che, dopo queste “Dieci storie quasi vere”, ci aspettiamo altre sorprese da Daniela Gambaro. Senza metterle troppa fretta, perché è giusto che arrivi a confrontarsi con il romanzo soltanto quando si sentirà pronta. E se lo vorrà fare. In fondo, ci sono grandissimi scrittori, citiamo la Premio Nobel canadese Alice Munro per tutti, che hanno sempre continuato a scrivere magnifici racconti senza curarsi di quello che pensano gli editor e i critici. Con grande gioia dei lettori.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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