• 16/09/2021

Kader Abdolah: “Tutta la mia storia (reinventata) in un romanzo”

Kader Abdolah: “Tutta la mia storia (reinventata) in un romanzo”

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Non esiste un futuro che faccia finta di non conoscere il passato. E non si può diventare uomini diversi, forse migliori, magari lontano dal proprio Paese d’origine, se non si riesce a creare un incontro, una sintonia, una fusione tra il vecchio e il nuovo mondo. Kader Abdolah lo sa bene. Tanto che lui, arrivato nei Paesi Bassi nel 1988 come rifugiato politico, ha cercato di fare in fretta il passaggio vitale dalla lingua dei suoi persecutori, ma anche della sua adolescenza e di chi gli voleva bene, a quella del Paese che lo ha accolto. Permettendogli di sentirsi di nuovo libero.

Autore amatissimo della letteratura neerlandese, con un grande seguito di lettori anche in Italia, Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani è diventato Kader Abdolah nel momento stesso in cui ha iniziato a scrivere romanzi impadronendosi della lingua dei Paese Bassi. E dopo aver pubblicato libri bellissimi come “La casa della moschea”, “Il viaggio delle bottiglie vuote”, “Uno scià alla corte d’Europa”, con “Il sentiero delle babbucce gialle” (tradotto da Elisabetta Svaluto Moreolo per Iperborea, pagg. 416, euro 19,50) è riuscito a dare forma alla storia più personale mai immaginata.

E sì, perché Kader Abdolah, ritornato in Italia come ospite di Pordenonelegge 2021, ha voluto ripercorrere i momenti più difficili del suo Paese d’origine attraverso gli occhi di un regista immaginario. Facendo vivere a Sultan Farahangi, protagonista delle “Babbucce gialle”, prima i tempi del faraonico impero filo-americano dello scià Reza Pahlavi, poi la restaurazione cupa e violenta dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni. Costruendo, al tempo stesso, un romanzo godibilissimo, pieno di personaggi e di storie, in cui la cultura, la tradizione, il gusto per il narrare e l’immaginare di tipica impronta persiana si sono lasciati modellare dalla libertà di narrazione del canone letterario europeo.

Così, il lettore si trova a seguire le tracce del del bambino Sultan che vive il suo divenire tra i contrasti della tradizione musulmana e i tentativi di modernizzazione filo-americana dello scià. Passando per i primi turbamenti amorosi, la scoperta del pianeta femminile, i tremori legati al violenti riti tribali, il fascino di un mondo popolato da presenze inafferrabili e bizzarre come gli jinn. Sorta di dáimon capaci di condizionare il presente come ombre invisibili, eppure necessarie. E poi, l’amore per la fotografia, il desiderio di raccontare la realtà con una cinepresa. Fino ad arrivare dalla fuga dall’Iran, all’approdo in un Paese del tutto diverso e lontanissimo: l’Olanda. Alla scoperta che si può immaginare una nuova vita, un mondo anche migliore, impossessandosi delle parole di una lingua che non è quella parlata fin da bambini.

“Avevo iniziato a scrivere un altro libro – spiega Kader Abdolah, seduto a un tavolino del Caffè Municipio di Pordenone, mentre alle sue spalle si prepara a scatenarsi un acquazzone -. Ma poi, all’improvviso, mi sono tornati alla memoria tanti ricordi dell’infanzia e della giovinezza. Sono stati loro a suggerirmi di scrivere questo romanzo, in cui ho inserito tante cose del mondo che ho vissuto”.

Ha dovuto inventarsi un regista per raccontare molte storie sue?

“Ho nascosto me stesso dietro il personaggio del regista Sultan Farahangi. Nella mia penna ho messo la sua cinepresa, molte delle storie che racconta lui sono le mie. Potrei dire che lo scrittore, cioè io stesso reinventato attraverso il filmmaker sono diventati una persona sola. il protagonista del romanzo”.

Il romanzo è l’incontro perfetto tra la cultura persiana e quella europea?

“Se non fossi emigrato dal mio Paese, se non avessi imparato la lingua olandese partendo da zero, studiando la letteratura della mia nuova patria, non sarei mai riuscito a scrivere questo romanzo. Perché, in realtà, è un mix tra la mia esperienza umana e la cultura del Paese d’origine. Una gran parte della storia è ambientata in Europa, nei Paesi Bassi, in Francia. Molto, però, proviene dalla Persia, dove sono nato, dai suoi capolavori, dalle tradizioni, dalle superstizioni”.

La Storia ha un ruolo centrale nel suo libro?

“Ho vissuto tutti e due i momenti cruciali della storia dell’Iran: sia quello dominato dallo scià Mohammad Reza Pahlavi sia quello dell’ayatollah Khomeyni. Grazie a queste esperienze, fatte sulla mia pelle, sono riuscito a scrivere un romanzo come ‘Il sentiero delle babbucce gialle’. Frutto della fantasia, ma attento alla Storia”.

Sensibilità persiana e libertà europea?

“Come scrittore persiano posso decidere di raccontare una storia in un certo modo. Se mi sento, invece, un narratore europeo adotterò altre soluzioni. Il mio tentativo è sempre stato quello di trovare una via personale che riesca a conciliare i due mondi. Altrimenti resterebbero sempre due modi di fare letteratura diversi. Addirittura inconciliabili. Io mi sforzo di superare l’ostacolo”.

Lei scrive libero da autocensure?

“Se penso di scrivere una storia come questa rivolgendomi a un pubblico persiano, sarei costretto ad adottare registri del tutto diversi quando parlo dell’amore, del sesso, anche della politica. Ma io, ormai, ho interiorizzato la sensibilità europea, assai differente da quella del mio Paese d’origine. Quindi, costruisco le mie trame in maniera del tutto personale”.

Si è divertito a incontrare grandi personaggi, fingendosi regista?

“La cosa più divertente è che il regista, nella mia storia, riesce a entrare in contatto con il re, con l’ayatollah, conosce i partigiani. Tutto questo, da scrittore, mi è sempre stato negato. Ma con la mia camera da presa, nelle ‘Babbucce gialle’, ho potuto farlo. Mostrando ai lettori quelli che sono i lati belli dell’ìmmigrazione in Europa. Perché il cinema, in questo senso, è come una grande magia. Riesce a mostrare l’aspetto affascinante della realtà. Anche quando racconta storie complesse”.

Kader Abdolah pensa nella sua lingua madre e scrive in neerlandese?

“Per lungo tempo non sarei riuscito a rispondere. Ma dopo avere scritto tanti libri posso dire che i tempi sono molto cambiati. La Storia è andata avanti. Io stesso non sono più lo stesso. Se fossi immigrato in Europa 50 anni fa nessuno avrebbe sentito il desiderio di leggere uno scrittore come Kader Abdolah. Adesso è tutto diverso. C’è bisogno di uno come me, che dimostri come si possa imparare a scrivere in una nuova lingua. Diversissima da quella delle proprie origini. Io sono convinto che ci si possa sentire a casa pur vivendo lontanissimo dal proprio luogo di nascita”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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