• 13/03/2022

Katie Kitamura, parole tra la catastrofe e la vita

Katie Kitamura, parole tra la catastrofe e la vita

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La Storia siamo noi, cantava Francesco De Gregori. Anche quando, tutto attorno, il mondo crolla. Anche se la catastrofe passa a un soffio dal nostro io. Anche se il caos rischia di spazzare via le nostre microscopiche preoccupazioni quotidiane. Siamo sempre noi il centro di gravità, l’omphalos degli antichi greci, l’ombelico dell’universo. Perché è la nostra felicità, la nostra serenità, il sistemare i piccoli tormenti che ci portiamo appresso, che detta il finale della storia. Che definisce il senso di ciò che stiamo vivendo.

E sono le parole della Storia, e della nostra storia privata, a indicare la traiettoria. A tracciare la via da seguire. Anche se, spesso, il loro cuore è buio, il significato sfugge, muta, si ingarbuglia, e finisce per raccontare verità interlocutorie, contraddittorie. Che, spesso, diventano misere bugie. Esattamente come avviene nel nuovo romanzo di Katie Kitamura: “Tra le nostre parole”, tradotto da Costanza Prinetti per Bollati Boringhieri (pagg. 170, euro 17).

Americana di origine giapponese, moglie di uno scrittore di grande talento come Hare Kunzru (“L’imitatore”, “Le mie rivoluzioni”, “Lacrime bianche”), autrice di un romanzo intenso e bello come “Una separazione”, Katie Kitamura costruisce il suo libro “Tra le nostre parole” su un doppio registro umano, sociale, linguistico e sentimentale. La donna al centro della storia, di cui non conosciamo il nome, è una giovane interprete nata a Singapore, cresciuta in Francia e poi negli Stati Uniti, che si ritrova a lavorare per la Corte penale internazionale dell’Aja. Quasi subito, le viene affidato un caso molto delicato: dovrà tradurre per un ex capo di Stato, accusato di terribili vendette nei confronti degli avversari e di sfrenato abuso di potere nel suo Paese, le parole della corte, dell’accusa e dei suoi stessi avvocati difensori.

Il perturbante incontro con l’uomo politico, che fa di tutto per salvarsi dalla condanna e per smantellare il castello delle accuse mostrandosi educato, gentile, del tutto ragionevole, si sovrappone all’inquieto incontro della protagonista con Adriaan. Separato dalla moglie, bellissima, scappata in Portogallo con un altro e con i due figli, l’uomo la coinvolge subito proponendole di andare a vivere nel suo appartamento. Lui, nel frattempo, dovrà assentarsi per qualche giorno e cercare di convincere Gaby, la sua ex, a concedergli il divorzio, a sistemare in maniera amichevole il futuro dei bambini. Prima di partire (“vado via per una settimana, forse di più”), quando il loro rapporto è ancora interlocutorio e niente affatto definito, le dice: “Ho pensato che ti farebbe piacere stare da me, mentre sono via. Saresti più vicina al lavoro, e il pensiero mi renderebbe felice”.

Sembra l’inizio di una storia a lieto fine. E invece no, perché la giovane interprete si trova da subito a fronteggiare un doppio stato di profonda inquietudine. Se da una parte, infatti, l’ex presidente comincia a mostrare la sua vera natura di uomo dispotico, di manipolatore, coinvolgendo anche la giovane interprete nella sua recita che ha come scopo soltanto quello di farla franca, di strappare un’assoluzione, ingannando tutti, dall’altra Adriaan si volatilizza. Non risponde ai messaggi, non dà più notizie di sé. Non fa sapere nemmeno quando ritornerà. Lasciando che prenda forma un dubbio atroce: il viaggio in Portogallo è servito soltanto a riavvicinarlo a Gaby, a rimettere assieme un matrimonio che sembrava fallito?

Nato da un’esperienza che Katie Kitamura ha vissuto in prima persona (“Ho trascorso un po’ di tempo alla Corte Penale Internazionale, alla quale mi sono ispirata per il romanzo. Ero lì mentre si svolgeva il processo a Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio”, ha spiegato la scrittrice in un’intervista), “Tra le nostre parole” è una delicata, fluida ma potente discesa nel contraddittorio modo di gestire la vita. Dal momento che la condizione umana può continuare a seguire le proprie personali, futili preoccupazione mentre, tutto attorno, il mondo è prigioniero dell’emergenza e costretto a confrontarsi con il possibile avvento di una catastrofe.

Finalista al National Book Award e al Joyce Carol Oates Prize nel 2021, “Tra le nostre parole”, che ha la forza di un’inquieta analisi dell’essere uomini, di galleggiare tra la ricerca della felicità e il confrontarsi con i lati oscuri della realtà, dimostra quanto Katie Kitamura faccia parte di quella categoria di scrittori che considerano la letteratura come un punto di osservazione privilegiato sul qui e ora. “Credo che gli scrittori siano un po’ come gli squali – dice lei -. Devono continuare a muoversi, altrimenti rischiano di morire sulla pagina”.

Infatti, le pagine dei suoi romanzi riescono sempre a imprigionare l’attenzione di chi legge. Perché varcano sempre la soglia del prevedibile, ondeggiano, spiazzano, sorprendono, anche non ci sono mai eventi clamorosi, nelle storie che scrive Katie Kitamura, e nemmeno folgoranti colpi di scena. Piuttosto, è il suo inesorabile, profondo lavoro di messa a fuoco dei personaggi in primo piano, la costruzione di vicende che sembrano pronte a deflagrare come congegni a orologeria, che rendono la narrazione originale e sorprendente.

La forza di libri come “Tra le nostre parole”, ma anche di “Una separazione”, sta proprio nella complessa normalità del racconto. “Per scrivere davvero, ho bisogno di dimenticare molti di ciò che penso di sapere sulla scrittura”, assicura lei.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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