• 01/06/2022

Gerda Blees: “Racconto l’oscurità di chi cerca la luce”

Gerda Blees: “Racconto l’oscurità di chi cerca la luce”

Gerda Blees: “Racconto l’oscurità di chi cerca la luce” 1024 825 alemezlo
Spesso, nei romanzi, la voce che racconta ha la forza dirompente di una sentenza. Ha la frettolosa esigenza di emettere un giudizio preciso. Di non lasciare spazio al dubbio. E, per questo, finisce per aggrapparsi a un verdetto morale. Del tutto scontato e rassicurante. Gerda Blees ha trovato la formula giusta per evitare di scrivere il suo libro di debutto seguendo queste collaudate traiettorie. Si è rivolta allo sguardo degli oggetti, al punto di vista delle situazioni, alla prospettiva dei testimoni esterni. Che hanno vissuto da spettatori di prima fila gli avvenimenti, ma non si sognerebbero mai di calarsi nei panni di giudici inflessibili.

Sfalsando la prospettiva del racconto, chiamando sul banco dei testimoni quelli che mai un tribunale si sognerebbe di convocare come persone informate dei fatti, Gerda Blees ha scritto uno dei più sorprendenti, perturbanti e originali romanzi di debutto. Si intitola “Noi siamo luce”, lo ha tradotto la bravissima Claudia di Palermo per una casa editrice che non smette mai di regalare emozioni ai lettori: Iperborea (pagg 241, euro 17). Ha portato al Salone del libro di Torino la sua giovane autrice olandese, che vive in una comune a Haarlem e con questo libro ha vinto il Premio dell’Unione Europea per la letteratura nel 2021 ed è stata finalista al Libris.

“Noi siamo la notte”: è da qui, da un punto di vista del tutto inaspettato, che parte la narrazione. Gerda Blees allunga gli occhi all’interno di un ristretto gruppo di persone grazie agli occhi di una serie di testimoni che non ti aspetti. Così, nei capitoli successivi, saranno “la scena del crimine”, “il pane quotidiano”, “i vicini”, “la difesa”, “i fatti”, e poi “un odore di arancio”, “Suono e Amore”, a rivelare cos’è accaduto per davvero nella casa dove giace il cadavere di Elisabeth. A tracciare la via di una storia che non emette giudizi, non regala consolazioni.

Tutto parte da una filastrocca. Una canzone che dice: “Noi siamo luce / Noi siamo amore / Noi siamo suono ovunque / Noi siamo cellule piene di vita / Noi siamo niente / Noi siamo già tutto”. Attorno a Melodie, una violoncellista mancata che crede davvero di poter vivere di sola luce per liberare il corpi dalla schiavitù del cibo e dei desideri compulsivi, si raduna un piccolo gruppo di persone che hanno attraversato la loro vita con sofferenza e disagio. La sorella più vecchia Elisabeth, ma anche Muriël e Petrus, si affidano totalmente a questa suadente guida spirituale per rimettere ordine nella loro esistenza. Senza rendersi conto che la sua fermezza nel condurli sulla strana di una trasformazione totale presto si trasformerà in una discesa vertiginosa verso il baratro.

Quando Melodie porta la comunità di Suono e Amore a privarsi quasi completamente del cibo, a illudersi che si possa vivere davvero riverberando dentro di sé la luce dell’universo, l’energia che arriva dal mistero del cosmo, allora la storia si complica. Anche perché Elisabeth si spegne lentamente a causa della denutrizione. Dopo aver affrontato “il processo dei 9 giorni” che dovrebbe portarla a fare per sempre a meno del cibo per vivere “un’esistenza più naturale e sostenibile”. Inevitabile, a quel punto, che arrivi la polizia, che scatti la denuncia per non aver soccorso la donna prima che avvenisse l’irreparabile.

Ma in carcere, Melodie continuerà a difendersi spiegando che la morte di Elisabeth ha seguito un corso “molto naturale”. Non è stata indotta, provocata, ma è avvenuta come atto finale della sua liberazione, del tanto desiderato riunirsi con la luce e il suono dell’universo. Saranno venticinque testimoni-narratori del tutto anomali a provare a ricostruire quello che realmente è accaduto. Mentre Muriël e Petrus avranno tutto il tempo di interrogarsi, nel silenzio della cella, su che cosa ne sarà di loro quando potranno riacquistare la libertà.

Con uno stile del tutto privo di tentazioni retoriche, un linguaggio pulito e tagliente, capace di ricostruire la storia con la lucidità di chi non si fa condizionare dal giudizio degli altri, “Noi siamo luce” è un esempio potente di come la letteratura possa reinventare la realtà liberandosi dalle catene della cronaca. In questo libro, Gerda Blees ha il coraggio di puntare gli occhi sul lato oscuro della vita, sull’esercizio del potere di persone che vendono illusioni a chi cerca un’alternativa alle sofferenze che ha attraversato. Su quanto sia facile, e pericoloso, trasformare un’affascinante, suadente ricerca di traiettorie alternative alla quotidianità in un viaggio senza ritorno nei territori dell’incubo.

“Fin dall’inizio avevo un’idea abbastanza precisa – spiega Gerda Blees -. Era quella di raccontare la storia guardandola da diversi punti di vista. Volevo mettere in luce, così, soprattutto le relazioni tra i personaggi. All’inizio, ho scritto il primo capitolo come se fossero gli occhi del medico, le sue parole a raccontare il ritrovamento della sorella Elisabeth, la più anziana del gruppo, morta. Però, non ero soddisfatta del risultato. Mi sembrava, infatti, che non risultasse così coinvolgente come avevo immaginato. Poi, ho scritto i versi di una canzone”.

Quella che inizia con “Noi siamo luce, noi siamo amore”?

“Sì, proprio quella. Si intitola ‘We are light’. Scorrendo le parole, pensando alla luce, all’amore, al suono, che vengono citate dai versi, ho capito che era la prospettiva giusta per la mia storia”.

Perché le sembrava interessate seguire prospettive così impersonali?

“Perché ho immaginato che la luce, i suoni, i profumi che accompagnano, che circondano questo piccolo gruppo di persone, fossero i testimoni veri della storia. Quelli che non emettono subito una sentenza, che non esprimono giudizi ultimativi, ma che raccontano”.

La storia nasce da una notizia di cronaca?

“In effetti, per questo libro mi sono ispirata alla notizia della morte di una donna in una casa condivisa di Utrecht nell’estate del 2017. Ma non volevo raccontare una storia che avesse una morale predefinita. Proprio per questo, l’idea di far raccontare tutta la vicenda da diversi narratori mi ha permesso di essere più distaccata. Ad esempio, quando sono i calzettoni di lana pesante di Melodie a parlare, loro esprimono il punto di vista di chi è sempre stato a contatto con la violoncellista che guida la piccola comunità”.

“Noi siamo luce” è anche un libro che racconta l’esercizio del potere.

“Per descrivere i meccanismi di potere, anche quelli che si sviluppano all’interno di piccoli gruppi, mi è servita molto l’esperienza diretta che ho fatto vivendo in comunità di questo tipo. Anche se non erano mai così estreme come quella raccontata nel mio romanzo. Lì ho capito che si sviluppa uno strano meccanismo: tutti dicono di voler essere democratici, che è necessario dare voce a ogni singolo componente, anche se poi ci sono sempre alcune persone che esercitano un potere forte sulle altre”.

Conosceva già questo tipo di gruppi?

“Anche adesso vivo in una comunità. E prima facevo parte di un altri living group. Entrambi si ispirano all’esperienza fatta negli anni ’80 dagli squatters, che occupavano terreni o edifici vuoti e si stabilivano lì a vivere. Gli ideali in comune sono soprattutto quelli di creare una sintonia tra persone che decidono di condividere tutto quello che possiedono. Ma non mi è mai capitato di frequentare gruppi così estremi come quello di ‘Noi siamo luce’. Però, anche nelle situazioni in cui mi sono trovata a vivere io si sono verificate le stesse dinamiche di esercizio del potere di alcuni su altri”.

In effetti, non c’era un’altra persona più adatta di lei per raccontare questa storia.

“L’ho capito subito, quando ho letto la notizia della morte della donna a Utrecht. Poi, come sempre accade a chi scrive, mi sono dovuta allontanare dalla cronaca per inventare la mia storia”.

La scrittura è una sua passione precoce?

“Avevo già scritto una raccolta di poesie. E anche due romanzi, però non sono piaciuti, nessuno li ha voluti pubblicare. Però, mi sono serviti per capire meglio come costruire questo libro”.

Come hanno reagito le comunità in cui ha vissuto?

“Molte persone che hanno fatto la mia stessa esperienza hanno accolto con entusiasmo il romanzo. Però i gruppi che si sono riconosciuti, anche solo in parte, nella storia che racconto hanno reagito molto male”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

[contact-form-7 404 "Not Found"]