• 11/08/2022

Marco Peano, “Morsi” a un mondo che fa paura, là fuori

Marco Peano, “Morsi” a un mondo che fa paura, là fuori

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Uno scrittore si può riconoscere anche dai dettagli. Dai particolari apparentemente marginali delle storie che racconta. Episodi, frammenti narrativi, che vanno a creare una sorta di cordone ombelicale capace di tracciare una linea sottile tra romanzi apparentemente diversi. Per la struttura, per quello che contengono, per come delineano i personaggi, per le parole che usano nell’evocare le atmosfere, nel tratteggiare i luoghi. Possono sembrare pignolerie da lettore maniacale. Invece, quasi sempre, aiutano a valutare in maniera più lucida il divenire di un autore nel suo percorso letterario.

Prendiamo Marco Peano, di sicuro uno dei talenti della narrativa italiana. Nel 2015, quando minimum fax pubblicò il suo romanzo di debutto “L’invenzione della madre”, l’accoglienza della critica e dei lettori fu più che calda. Tanto da spingerlo a vincere il Premio Volponi per l’Opera prima e da essere proclamato Libro dell’anno dell’apprezzata trasmissione radiofonica di RadioTre “Fahrenheit”. Inutile aggiungere che l’uscita del suo secondo romanzo, a gennaio di quest’anno, non poteva non essere accompagnata da grandi aspettative. Che “Morsi”, pubblicato da Bompiani (pagg. 189, euro 17), ha senz’altro mantenuto. Anche se non pochi lettori del primo libro sono rimasti un po’ spiazzati da quello che hanno interpretato come un inaspettato cambio di rotta narrativa.

Tanto, infatti, “L’invenzione della madre” sembrava un libro capace di parlare a tutti quelli che hanno attraversato il dolore della perdita di una persona amata, e non solo a loro (“Un romanzo di una tale evidente bellezza – aveva scritto la grande scrittrice francese Annie Ernaux – che quasi si dimentica che si tratta di un rigoroso lavoro di scrittura”), quanto “Morsi” viaggia su traiettorie narrative diverse. Non del tutto. Perché è vero che qui Marco Peano, che lavora come editor per la casa editrice Einaudi, costruisce la storia assecondando una sua mai sconfessata passione per la letteratura di genere, per Howard Philips Lovecraft e altri creatori di inquietudini di carta, per quel cinema che costruisce le proprie trame infittendole di soprassalti di paura. Però non può sfuggire ai lettori più attenti che in entrambi i libri sono presenti le tematiche della fatica di trovare un proprio posto nel mondo in quella fase che sta tra l’adolescenza e la giovinezza. Ma anche uno sguardo ravvicinato sui delicati, spesso incomprensibili, meccanismi che regolano il funzionamento di una famiglia. E, se non bastasse, una cura per i dettagli della storia, per le parole che vanno a incastonarsi una nell’altra come obbedissero alla sequenza di note impostata dal pifferaio magico.

Dettagli, si diceva, come quello di un episodio che rimbalza tra un romanzo e l’altro. Ne “L’invenzione della madre”, Marco Peano racconterà in poche righe: “Alcune cose che non l’hanno uccisa: la caduta dal balcone quand’era piccola – per miracolo rimbalzò sui fili del bucato”. In “Morsi”, lo stesso passaggio diventerà snodo narrativo importante in cui la protagonista non solo percepirà la disattenzione alcolica di suo padre nei suoi confronti, ma rischierà di morire precipitando dal sottotetto dopo essersi arrampicata fin lassù alla ricerca di un’insperata libertà.  Salvata solo dai fili della biancheria. Proprio mentre la mamma è assente per lavoro.

Certo che Marco Peano, decidendo di far seguire “Morsi” a “L’invenzione della madre”, non ha fatto calcoli editoriali su quello che i lettori si sarebbero aspettati da lui dopo il romanzo di debutto. Ha ascoltato, piuttosto, la sua ispirazione. La voglia di raccontare una storia che, pagina dopo pagina, ti prende per il bavero e ti costringe a seguirla, in tutti i suoi imprevedibili cambi di direzione. Lo scenario è quello di Lanzo Torinese, un paese disperso tra la pianura e le montagne dove il tempo sembra scorrere più lentamente che altrove. Sonia, la ragazzina protagonista, si trova lì perché i suoi genitori hanno deciso che trascorrerà le vacanze di Natale del 1996 a casa della nonna. Papà deve aver perso il lavoro, anche se lei ufficialmente non lo deve sapere. Mamma è troppo indaffarata e, comunque, promette di venire a trovarla spesso.

Andrebbe tutto bene se la nonna, la taciturna, sbrigativa e decisamente severa Ada, non fosse una sorta di benefico Barbablù. L’anziana signora, infatti, possiede il dono di riuscire a guarire le persone del paese con misteriosi intrugli e segrete manipolazioni. Non parla mai di questo suo misterioso potere. Anzi, usa ricevere le persone che chiedono il suo aiuto in una stanza della casa rigidamente chiusa a chiave. Dove, ovviamente, è previsto che Sonia non possa entrare per nessun motivo.

Ma la ragazzina si trova ad avere molto più tempo libero dalla scuola, in anticipo sull’inizio delle vacanze natalizie, dopo che le lezioni sono state sospese per quello che tutti chiamano “l’incidente”. Sembra, da quello che riuscirà a sapere, che la professoressa Cardone, la severissima insegnante di italiano, abbia compiuto qualche indicibile davanti agli occhi dei suoi studenti, dopo essersi chiusa a chiave in classe insieme a loro. Un inspiegabile e imprevedibile atto di atroce autolesionismo, che piano piano sembra diffondersi tra gli abitanti del paese come un morbo sconosciuto. Proprio mentre nonna Ada, infuriata con la nipote, decide di segregarla in casa per castigo. Anche se Sonia, pur di sfuggire alla sua severa carceriera, che potrebbe essere una terribile “masca”, una vera e propria strega, decide di sfidare la nevicata che ha intrappolato il paese di Lanzo Torinese ghiacciando le sue strade. E scappa in cerca di aiuto.

Là fuori il mondo sembra pronto per l’apocalisse,. Eppure, Sonia troverà un’insperata sintonia con un compagno di classe che aveva sempre snobbato: Tom, il figlio di contadini avvolto da un eterno lezzo di stalla e abituato a divorare tutto quello che trova a portata di mano. E se il vero pericolo è in agguato fuori di casa, tra le strade di quel borgo sospeso in un silenzio irreale, dentro le stanze dove niente sembra mai essere fuori posto, per salvarsi i due ragazzi dovranno imparare a gestire la realtà, per la prima volta, da protagonisti. E non da gregari dei “grandi”, dei genitori o dei nonni.

Con la stessa precisione e appassionata partecipazione con cui ne “L’invenzione del dolore” raccontava il calvario di una lunga malattia, Marco Peano accompagna Sonia lungo la scivolosa discesa verso le tenebre di “Morsi”. Aumentando la tensione senza mai eccedere, centellinando i passaggi più crudi ed evitando con cura di scadere in facili effetti grandguignoleschi, lo scrittore esplora con sensibilità e capacità visionaria quella striscia di tempo che separa l’adolescenza dal richiamo potente dell’età adulta. I primi turbamenti del corpo, il richiamo degli affetti che stanno al di fuori del confine familiare, il desiderio di una libertà che forse sarà complicato raggiungere anche crescendo.

E non è per caso che “Morsi” si concluda con parole nette, taglienti, che distillano il senso profondo della storia: “Il verbo del cambiamento, spietato e necessario, è sceso su di loro come una benedizione: crescere. Inizia il vero orrore”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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