Si può odiare la montagna con tutte le proprie forze. Tenersi alla larga dai ghiaioni, evitare i rifugi, provare un senso di soffocamento quando la valle comincia a restringersi e sembra volerti intrappolare in mezzo a due muraglioni. Eppure, è impossibile resistere al fascino di una domanda senza risposta: perché decine, centinaia di alpinisti, da sempre, mettono a rischio la propria vita pur di domare certi verticalissimi pilastri di roccia? Fermandosi sulla cima appena pochi istanti, ben sapendo che la discesa sarà forse ancora più pericolosa.
Una risposta, in realtà, ci sarebbe. Contiene una parola sola: ossessione. Sì, perché sta proprio nell’assillo irresistibile, nella fissazione che non ascolta ragioni, nel sogno che pur di realizzarsi accetta di diventare incubo, che sta l’attrazione di tantissimi forti alpinisti per uno degli Ottomila più corteggiato, maledetto, desiderato, temuto del pianeta Terra. Quel Nanga Parbat che non solo è tra le montagne più alte in assoluto, con i suoi 8126 metri. Ma che vanta una serie di catastrofici assalti alla sua vetta. Iniziati nel 1895 e contrappuntati, fino ai giorni nostri, da un numero elevato di incidenti mortali: da Albert Frederick Mummery a Willy Merkl, da Gunther Messner a José Antonio Delgado, da Karl Unterkircher a Tomas “Tomek” Mackiewicz, Daniele Nardi, Tom Ballard.
Non stupisce, allora, che uno scrittore di razza come Orso Tosco, che vive “nel Far West ligure”, si sia lasciato stregare dall’ossessione di tanti uomini e donne per la montagna maledetta. La mangiauomini. L’assassina che offre a se stessa sacrifici umani tutte le volte che le viene voglia. La seconda torre di roccia più letale al mondo. Un soggetto perfetto, insomma, per un autore che ha saputo tracciato il proprio percorso letterario lontano dai cliché e dalle mode. Debuttando, nel 2018, con il romanzo “Aspettando i naufraghi”, proseguendo con i due reportage letterari raccolti sotto il titolo “Dall’Inferno”, confrontandosi con. la poesia in “Figure amate”. E concedendosi tutta la libertà linguistica e di sperimentazione narrativa con “London voodoo”.
“Nanga Parbat”: non poteva che essere questo il titolo del libro che Orso Tosco ha voluto dedicare a “L’ossessione e la montagna nuda”, come recita il sottotitolo del suo nuovo lavoro pubblicato dalla casa editrice 66thand2nd (pagg. 121, euro 15). Perché per raccontare la storia degli alpinisti che, nel corso del tempo, hanno sfidato la mangiauomini bisogna prima inquadrare lei. Capirla, tracciare una sorta di identikit del suo fascino arcano, della sua conformazione del tutto particolare nella sfilata di giganti che superano gli ottomila metri.
“Il Nanga Parbat è nudo – scrive Orso Tosco – proprio perché la ripidità vertiginosa delle sue pareti non consente alla neve di sostare, non le lascia appigli; esattamente come la schiuma dell’onda giganteggia inafferrabile e sovrana sulla testa dei naufraghi, la pietra del Nanga Parbat non tollera rivestimento alcuno che non sia quello capriccioso dei venti”.
Non è per caso che Orso Tosco, nel ripercorrere i passi perduti di chi sul Nanga Parbat si è arreso alla fatica, a un freddo nemmeno immaginabile, al mutare vorticoso e assassino delle condizioni meteorologiche, abbia scelto di farsi accompagnare dalla voce di grandi poeti, scrittori, artisti, saggisti: da Vittorio Sereni a Walter Benjamin, da Umberto Saba a Tennessee Williams, da Carl Gustav Jung a Victor Hugo, da Edgar Allan Poe a T.S. Eliot. Perché la sua montagna che non perdona, la mangiauomini che chiede ogni tanto un tributo di sangue, giganteggia tra le pagine del libro come i più iconici personaggi della letteratura: Moby Dick uscita dalle acque per incarnarsi in King Kong; la maledizione delle tombe dei faraoni profanate dai cercatori di antichità unita alla furia dei Grandi Antichi di Howard Phillips Lovecraft, o della Nube purpurea di Matthew Phipps Shiel.
Orso Tosco sa di essere un romanziere, per di più molto bravo. E in “Nanga Parbat”, dopo aver consultato con scrupolo tutta la documentazione possibile sulle storie che racconta, si avventura sulla montagna insieme a Mummery e Messner, a Tomek, Nardi e tutti gli altri. Rabbrividisce di freddo con loro, scruta la parete con occhi pieni di terrore e meraviglia, sogna l’assalto alla vetta anche quando il vento ruggisce, i serracchi si sfaldano, le slavine rotolano lungo le pareti. Consegna al lettore un libro che riesce a trasmettere i brividi di un grande sogno. Un’illusione potente che vale molto di più della quotidiana gestione della propria vita fatta da squallidi contabili di pianura. Perché lassù, lontani dal mondo, “ogni gesto deve essere feroce e materno, ragionato e viscerale”. Questa è “l’avventura magica e mortale dell’alpinismo”.
Al fascino della montagna mangiauomini non poteva resistere nemmeno Gioia Battista. Troppo bella, per una scrittrice che proviene dal teatro, la sfida di raccontare le storie degli alpinisti rimasti intrappolati nel loro sogno di conquistare il più arcano e letale tra gli Ottomila. È nato così il progetto dei “Guardiani del Nanga”, che la drammaturga e regista di origine pontina, ormai triestina a tutti gli effetti, ha testato prima in forma di pièce. Affidandola alla voce, alla gestualità e alla presenza scenica del bravissimo attore Nicola Ciaffoni nel 2020. Per poi trasformarla nell’omonimo romanzo di debutto che è uscito nella collana “Camera con vista” della casa editrice friulana Bottega Errante (pagg. 169, euro 15).
Una macchina narrativa perfetta, quella ideata da Gioia Battista nei “Guardiani del Nanga”. Capace di avviluppare il lettore nelle proprie spire, come un boa constrictor, mentre segue il viaggio di un giovane alpinista che vuole tentare a tutti i costi la conquista del Nanga Parbat. Accompagnandosi al portatore Pemba, che sarà per lui compagno d’avventura, specchio capace di riflettere la forza dei suoi sogni. Ma anche testimone evanescente, sospeso tra la vita e la morte, nel ricordo dei sette guardiani della montagna del destino. I protagonisti di altrettanti assalti falliti alla vetta, rimasti intrappolati tra la roccia e il ghiaccio per sempre. Presenze fantasmatiche che testimoniano il desiderio di fare della propria sfida al gigante assassino una risposta esemplare al dubbio che da sempre tormenta gli essere umani: che cosa ci stiamo a fare qui?
<Alessandro Mezzena Lona