• 03/12/2017

La Venezia di Jirô Taniguchi, uno specchio dell’anima

La Venezia di Jirô Taniguchi, uno specchio dell’anima

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Venezia è uno scenario perfetto per qualsiasi storia. Perché regala ombre inquietanti a chi vuole scandagliare il mistero. Perché si offre come accompagnatrice di amori felici, si presta a disintegrare passioni traballanti, a consolare chi pensa che la vita sia solo un cumulo di delusioni. Ma proprio per questo, uno scrittore bravo, un regista ormai affermato, dovrebbe stare alla larga dalla città che sa raccontare tutto. Ma che, in fin dei conti, rappresenta soltanto se stessa. La sua bellezza decadente, i suoi sempre sfuggenti segreti. A meno che l’autore non sia uno come Jirô Taniguchi, il maestro giapponese dei romanzi disegnati. Uno dei più acclamati artisti di manga che ha regalato ai lettori capolavori come “Ai tempi di papà”, “In una lontana città”, “L’uomo che cammina”. Senza dimenticare “Icaro”, realizzato in collaborazione di Moebius.

E sì, perché Jirô Taniguchi, nato nella piccola cittadina di Tottori nel sud del Giappone, morto a febbraio all’età di settant’anni, non si è mai fatto condizionare dal paesaggio, dai luoghi dove ambientava le sue graphic novel. Per lui, al centro delle storie, c’è sempre stata quella che i giapponesi chiamano “mono no aware”, cioè la commovente bellezza delle cose fragili. La stessa che è andato cercando nella Venezia troppe folte immortalata in formato cartolina, troppe volte svilita in stucchevoli inquadrature da film di rapido consumo. Tanto da decidere di inventare un libro disegnato che potesse inchinarsi davanti all’irripetibile fascino della città sospesa sulla laguna. Ma che sapesse anche funzionare da specchio per un personaggio che, tra gli antichi palazzi in equilibrio sull’acqua e il susseguirsi infinito di calli, campielli, sottoporteghi e piazze, fosse convinto di poter rimettere in ordine i frammenti scompigliati del proprio passato.

Ha preso forma, così, una graphic novel coraggiosa e affascinante. Quella “Venezia” che Jirô Taniguchi ha creato in un primo tempo per la collana “Travel Book” di Luis Vuitton. E che ora viene riproposta in una splendida edizione in volume brossurato da Rizzoli Lizard (pagg. 160, euro 25), che permette di ammirare le tavole del maestro giapponese, una dopo l’altra, in tutta la loro fragile, magnetica bellezza.

Non è la storia che si prende il palcoscenico nella Venezia di Taniguchi. Anzi, a dire il vero, il pretesto per questo viaggio di carta nella meravigliosa città dell’Adriatico è davvero fragile. Perché racconta il viaggio di un uomo che dal Giappone si trasferisce in laguna sulle tracce dei ricordi della sua famiglia. Riordinando le cose di sua madre, morta da pochi mesi, trova dentro una scatola laccata, conservate in bell’ordine, una serie di fotografie e di cartoline che lo portano a farsi molte domande sul passato. E sui legami della sua famiglia con quel posto così spettacolare e, al tempo stesso, enigmatico. Per trovare delle risposte, decide di partire per l’Italia.

A questo punto, la storia si fa da parte. Taniguchi riduce al minimo le apparizioni del suo personaggio, le sue domande senza risposta, i pensieri inquieti, per permettere a chi legge di ritrovare intatta la magia di Venezia. Alzando lo sguardo su palazzi che balzano incontro agli occhi come fossero materia viva, su scenari che sembrano inventati da un magistrale artista, se non sapessimo che sono lì veramente. E che rischiano un giorno di afflosciarsi nelle acque limacciose della laguna per colpa della nostra incuria e indifferenza. La storia si trasforma, fin dalle primissime tavole, in un racconto muto che si incanta a ogni nuova apparizione. Perfino piazza San Marco, il Canal Grande, la zona di Rialto, visti e rivisti magari centinaia di volte, riaffermano tutta la loro eterna forza seduttiva in quei loro ritratto così inesorabilmente precisi. Eppure, al tempo stesso, così onirici e immaginifici

La partenza verso Venezia, per il protagonista della storia, non è altro che l’inizio del viaggio di ritorno. Perché Taniguchi gli fa scoprire il legame forte che lo tiene incatenato alla città: l’amore che provava suo nonno per la Serenissima. Il suo scoprirsi pittore per dare forma alle emozioni che quella città gli faceva provare. E poi la nascita di sua madre, le prime immagini di lei bambina con un sorrisone a illuminarle il volto, e qualche palazzo sospeso sull’acqua a fare da sfondo.

Prima di congedarsi dalla vita, Taniguchi non ha esitato a inchinarsi alle emozioni, per l’ultima volta. Lasciandosi trasportare dalla voglia di dare forma alla bellezza. Questa sua “Venezia”, infatti, bisogna guardarla così: con lo stupore estatico di chi sa cogliere il lato artistico delle cose semplici. Perché, in fondo, l’anima segreta della città è chiusa nel suo essere un realissimo luogo dell’altrove.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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