• 26/10/2018

Geoff Dyer, come trovare se stessi nei riflessi della Zona

Geoff Dyer, come trovare se stessi nei riflessi della Zona

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Di quel film, Andrej Tarkovskij forse non era nemmeno contento. Considerato i mille problemi che aveva incontrato durante la lavorazione. E poi, per mettere assieme “Stalker”, aveva preso come fonte d’ispirazione un romanzo di fantascienza: “Picnic sul ciglio della strada”, dei fratelli Arkadi e Boris Strugatzki, che vale la pena recuperare nella traduzione di Luisa Capo pubblicata dodici anni fa da Marcos y Marcos. Una storia ambientata alla periferia della cittadina di Marmont. Dove si estende un’area dalle caratteristiche uniche. Visto che la Zona è una delle sei località che si dice sia stata visitata da intelligenze aliene. Dagli inafferrabili extraterrestri.
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Ma a Tarkovskij, di fare un film di fantascienza non importava proprio. Perché il regista de “L’infanzia di Ivan” “Andrej Rublëv”, “Solaris”, “Lo specchio”, Nostalghia”, “Sacrificio”, proiettava in quella storia una visione molto meno avventurosa e molto più simbolica, quasi esoterica. Dal momento che, a chi gli chiedeva che cosa rappresentasse per lui la Zona, rispondeva sempre: “La Zona è la Zona. la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal suo sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero”.

Insomma, a Tarkovskij non importava di essere catalogato come una sorta di artista-veggente, che era stato capace di prevedere nel 1979 una catastrofe apocalittica come il disastro nucleare di Černobyl’, che avrebbe trasformato in pochi istanti la centrale nucleare della cittadina ucraina nel 1986 in un deserto di radiazioni, terrore e morte. E non aveva nemmeno a cuore, il regista morto a Parigi nello stesso anno dello scoppio dei reattori, che il suo sofferto film, interrotto più volte durante la lavorazione per incomprensioni con il direttore della fotografia, venisse letto come una feroce critica del Potere sovietico. Dove l’individualità, il rispetto della persona, venivano spazzati via brutalmente nel nome del collettivismo, dell’interesse e della difesa del Partito comunista.

Certo è che “Stalker” ha lasciato un segno profondo negli spettatori più sensibili. Nei critici che hanno saputo lasciarsi suggestionare da una storia dove, in apparenza, non accade niente. Dove un livido bianco e nero cede, a un certo punto, lo spazio a un ancor più gelido colore. Dove un misterioso guardiano della soglia, lo Stalker, traghetta come un moderno Caronte due viandanti assai diversi all’interno di un territorio desolato e in rovina: la Zona, appunto. Un’area dentro cui le leggi naturali sono state sovvertite per cause ignote. Un mondo angusto e claustrofobico, sigillato da un cordone di sicurezza voluto dal governo. Un limbo dove gli stesso soldati dell’esercito non hanno la facoltà di avventurarsi.

Ed è lì, all’interno di quel territorio misterioso, che si dice esista una Zona mai esplorata. Una stanza dove, si ipotizza che si possa riflettere la parte oscura dei nostri desideri. Quella che non siamo più capaci di guardare con serenità. Una sorta di rito di iniziazione forse più immanente che trascendente, perché capace di strappare le tante maschere del nostro Io.

Elusa una pattuglia di sorveglianza, forzato un posto di blocco, lo Stalker penetra all’interno della Zona con due persone diversissime tra loro: uno Scrittore, creativo, insofferente alle regole, incapace di credere in quello che gli viene raccontato come “verità” da accettare senza discutere, timoroso di perdere la sua ispirazione creativa, e un Professore, pragmatico, ancorato alla speranza di vincere un Premio Nobel e di dimostrare a tutti che solo quella della scienza può essere la strada giusta per comprendere il mistero dell’esistenza.

Non sorprende, adesso, scoprire che uno scrittore originale e appartato, intelligente e fuori dal coro come Geoff Dyer sia rimasto suggestionato a tal punto da “Stalker” di Andrej Tarkovskij e dal mistero di quella stanza dove nessuno ha mai messo piede, da scrivere un libro che si intitola proprio “Zona”. E che viene pubblicato da il Saggiatore nella traduzione di Katia Bagnoli (pagg. 190, euro 24). Dello scrittore inglese, nato a Chgeltenham nel 1958, vanno ricordati almeno “Natura morta con custodia di sax. Storie di jazz”, “Amore a Venezia. Morte a Varanasi”, “Il sesso nelle camere d’albergo” e “Sabbie bianche”.

Ripercorrendo fotogramma per fotogramma, analizzando il film di Tarkovskij in un continuo rimando alle sue interviste, alle dichiarazioni rilasciate prima, durante e dopo aver realizzato il film, Geoff Dyer  trasforma questo viaggio verso la Zona in una reale occasione per ripercorrere i ricordi, rimossi e non. Per raccontare la propria giovinezza, ritrovando nel volto dell’attore Anatolij Solonicyn, che veste i panni dello Scrittore, le fattezze del proprio padre. Le stigmate di un affetto vissuto in equilibrio tra ansia e inspiegabili silenzi.

Ma viaggiando tra lo schermo e la realtà, Geoff Dyer finisce anche per squadernare davanti agli occhi del lettore il suo mondo di scrittore.. Le speranze e la paura di fallire, il sogni e i momenti di debolezza, le fantasie innominabili che si fatica a confessare se stessi e i desideri d’amore. Uno specchio dentro cui chiunque si può ritrovare, pur riformulando a modo suo le suggestioni dell’autore.

E se di suggestioni create da “Stalker” vogliamo continuare a parlare, è impossibile non citare una pièce teatrale molto bella e particolare andata in scena l’estate scorsa a Trieste, in uno scenario spettrale e perfetto come la Kleine Berlin, ovvero il reticolo di rifugi antiaerei, gallerie e passaggi segreti costruiti dai soldati del Terzo Reich durante l’occupazione della città. Prodotto dal Festival Approdi con la collaborazione della Cappella Underground, diretto da Gianni Boni e Lorenzo Acquaviva (che recitano la parte dello Scrittore e dello Stalker, insieme a Lorenzo Zuffi che è il Professore), accompagnato da un video di Diego Cenetiempo che apre e chiude la performance, “La Zona” si rivela come una rilettura dell’opera originale intelligente, fedele al canone, eppure capace di reinventare il tutto con grande sensibilità e capacità visionaria.

Per chi volesse provare questo viaggio nella “Zona”, sono previste repliche a Trieste nella Kleine Berlin il 27, 28 e 3i ottobre, oltre all’1, 3 e 4 novembre in occasione del Trieste Science + Fiction Festival. Acquaviva, Boni e Zuffi porteranno gli spettatori a compiere un’esperienza straniante. A stretto contatto con gli attori per tutta la durata della pièce, saranno loro stessi a scoprire che cosa si nasconde nella stanza segreta della Zona. Mentre gli interpreti-traghettatori diventeranno, a loro volta, tramite e ignari comprimari del compiersi degli altrui destini.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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