• 04/03/2019

Sorj Chalandon, nel nome del padre e della follia

Sorj Chalandon, nel nome del padre e della follia

Sorj Chalandon, nel nome del padre e della follia 1024 513 alemezlo
Nel nome del padre, e la mano si alza a tracciare il primo dei gesti sacri che ricordano la Trinità divina dei cristiani. Nel nome del padre e del figlio, e le dita vanno a sfiorare la fronte, il petto. Le zone del corpo umano che custodiscono il cervello e il cuore, i pensieri e i sentimenti, i sogni, le paure, le illusioni. Ma quante volte il rapporto tra padre e figlio non ha proprio niente di sacro? Quante volte la figura istituzionale, il perno della famiglia, si trasforma in un compagno di viaggio difficile da gestire? In un bugiardo, indecifrabile, iracondo, violento non-esempio. In colui che saprà rovinare i giorni magnifici dell’infanzia. Che si farà ricordare come un incubo, difficile da esorcizzare.

Tanto si è scritto sui padri. E se non bastassero le parole durissime e commoventi affidate da Franz Kafka alla sua “Lettera al padre”, allora bisogna lasciarsi portare dalla straordinaria capacità di racconto di Sorj Chalandon. Sì, perché lo scrittore francese nato a Tunisi, dopo aver messo in scena la delusione provocata da una grande amicizia nel romanzo “Il mio traditore”, dopo aver guardato negli occhi chi decide di abiurare i compagni di guerriglia dell’Ira in “Chiederò perdono ai sogni”, dopo aver affrontato il dramma del massacro palestinese di Sabra e Chatila nella “Quarta parete”, premiato con il Goncourt des lycéens e con il Terzani, ha voluto confrontarsi con il dolore di un’infanzia vissuta nell’ombra minacciosa di un genitore egocentrico fino allo sfinimento, violento, imprevedibile.

E bisogna dire subito che “La professione del padre”, splendidamente tradotto da Silvia Turato per Keller editore (pagg. 266, euro 17,50) , non solo conferma il grande talento letterario di Sorj Chalandon, che da giornalista ha raccontato da vicino i fronti di guerra più complicati di questi ultimi decenni, dal Libano all’Afghanistan. Ma si rivela come uno dei romanzi più perturbanti, appassionanti, commoventi e strazianti che siano comparsi sui banconi delle librerie negli anni Zero.

Sorj Chalandon sceglie di raccontare la sua storia dando voce al protagonista. Guardando ogni singolo evento, facendo risuonare ogni parola e ogni sberla, nella soggettiva emozionale di un ragazzino. Émile, infatti, deve imparare presto a fare i conti con una famiglia complicata. Perché in casa non entra mai nessuno che non faccia parte di quel terzetto. Perché il padre, André Choulans, non desidera che nessuno varchi il confine del suo microcosmo privato. Dal momento che, lì dentro, lui è il despota assoluto. Il signore e padrone che nessuno può smentire, criticare, mettere in discussione.

André Choulans galleggia dentro un delirio costante. Non lavora, si trascina in pigiama da una stanza all’altra, vive giornate dove la realtà si deve inchinare all’irreale. Dice di essere stato il fondatore di un famoso gruppo canoro, i Compagnons de la Chanson, che ha preferito abbandonare quando loro hanno mostrato il vero volto di ingrati voltagabbana. E poi, ha vestito anche la divisa di insegnante di judo, ha studiato da pastore pentecostale, ha fatto la spia per il suo Paese, la Francia. Ma ancora non basta. Perché lui, che è stato tra i migliori paracadutisti dell’esercito transalpino, poteva vantare un’amicizia profonda con il generale Charles De Gaulle. Fino a quando il presidente della Repubblica non ha deciso di abbandonare l’Algeria ed è diventato il nemico numero uno del papà di Émile. L’uomo da eliminare al più presto, per il bene della nazione.

E chi se non Choulans può accollarsi il compito di fare fuori De Gaulle? Nessuno, ovviamente. Il problema è che anche un grande uomo ha bisogno di qualcuno che lo appoggi. Che creda in lui. E visto il disprezzo che André nutre per le donne, compresa la sua pazientissima moglie, costretta a dormire tutta la notte sul pianerottolo di casa quando osa andare con un’amica al concerto dei Compagnons, decide di coinvolgere Émile. Anche se il ragazzino non va per niente bene a scuola, è gracile, sogna un giorno di diventare pittore come il suo adorato Picasso. Insomma, non ha la stoffa del ribelle, dell’agente segreto. Di chi non di chi non si rassegna.

Non importa se quell’uomo sia violento. Non importa se lo pesta a sangue ogni volta che porta un brutto voto a casa. Ed è trascurabile perfino il fatto che André non abbia mai fatto una carezza a Émile, che spesso lo rinneghi addirittura come figlio. Perché quel ragazzino timido e impaurito non ha alternativa: deve credere nel suo papà sprezzante e guascone. Tanto da sorbirsi come una verità rivelata la storia dell’agente della Cia Ted, grande amico di Choulans da lungo tempo, che veglia su di lui come un padrino amoroso. Tanto da spingersi a coinvolgere un compagno di scuola, scappato con la famiglia dall’Algeria, nel folle progetto di ammazzare De Gaulle.

Prigioniero di una realtà dominata dall’irreale, Émile dovrà trovare da solo la strada per entrare nella vita senza farsi seguire dai fantasmi della sua bislacca e tossica famiglia. Sapendo bene che non potrà contare su una madre che insabbia i più strampalati comportamenti del padre sotto la coltre spessa della rassegnazione: “Sai com’è fatto tuo padre”. E scoprendo, al tempo stesso, che ogni bugia, anche la più mastodontica, ha sempre qualche piccolo elemento di verità, o verosimiglianza, nascosto in sé. E proprio per questo diventa davvero difficile alzare un muro dietro cui seppellire la menzogna.

È una scrittura priva di effetti speciali, quella che Sorj Chalandon adotta per raccontare “La professione del padre”. Non ci sono momenti di compiacimento, nel suo racconto. nessun bamboleggiamento letterario. Solo una smisurata, straordinaria voglia di mettere a nudo il germe della follia che allunga le sue radici all’interno della famiglia. Riga dopo riga, pagina dopo pagina, il ritmo cadenzato e inesorabile della narrazione trascina il lettore dentro un gorgo di angoscia e stupore, di incertezza e attesa spasmodica. Fino ad arrivare al finale sorprendente, dove questo tenebroso affresco in bianco e nero si tinge dei colori tenui, lividi, di una risposta a tutti i dubbi seminati nel romanzo

Risposta che si rivelerà, ancora una volta, la maschera messa lì a nascondere l’ennesimo inganno.

<Alessandro Mezzena Lona

 

[contact-form-7 404 "Not Found"]