Se eleggi Joseph Conrad a tuo spirito guida, devi scrivere un romanzo straordinario. Andrés Barba lo ha capito subito, quando ha iniziato a tradurre in spagnolo i racconti dell’autore di “Cuore di tenebra”. E mentre procedeva nel suo lavoro, la storia che si portava dentro, e che non riusciva a prendere forma, improvvisamente è diventata nitidissima. Doveva soltanto trovare il coraggio di sfondare il velo che separa la realtà dal mistero, pur senza abbandonare uno stile preciso, secco, mai disposto a concedersi esagerazioni o banali forzature.
Ha preso forma così un romanzo bellissimo e perturbante. Sì, perché “Repubblica luminosa”, tradotto da Pino Cacucci per La nave di Teseo (pagg. 172, euro 18), ricorda capolavori come “Il signore delle mosche” del Premio Nobel William Golding, ma anche film considerati di serie B come “Il villaggio dei dannati” girato nel 1960 da John Wyndham, e poi ripreso dal grande John Carpenter con lo stesso titolo nel 1995. È, insomma, un incontro perfetto tra racconto popolare e lucida narrazione dai risvolti sociologici. Il tutto condito con una buona dose, pur senza essere mai eccessiva, di fatti oscuri e di riflessioni su quale sia il vero significato della parola civiltà
“Repubblica luminosa” è ambientato nell’immaginaria cittadina tropicale di San Cristóbal. Incastonata tra la foresta e il fiume, abituata alla miseria e all’emarginazione, appena approdata a una traballante sicurezza economica, non si fa cogliere troppo di sorpresa quando 32 bambini compaiono all’improvviso per le strade senza essere sorvegliati da qualche genitore, senza nascondere la loro evidente trascuratezza.
Ma via via che quella piccola comunità di adolescenti sporchi, con i vestiti macchiati e strappati, che parlano tra loro una lingua incomprensibile, si inserisce nella più grande comunità cittadina, cominciano ad emergere episodi inquietanti. Furti un po’ più gravi delle normali marachelle, agguati a ignari passanti che mai avrebbero pensato di essere molestati da innocenti creature di dieci, dodici anni. Fino ad arrivare all’assalto al supermercato Dakota, dove spuntano dei coltelli. E ci scappa il morto. Senza che i ragazzini perdano la loro giocosa indifferenza e complicità.
La gente di San Cristóbal non sa come reagire. Da una parte si fa intenerire e fuorviare dall’idea che un bambino non arriverà mai a compiere reati così gravi. Dall’altra, tratta quella piccola comunità di adolescenti come un corpo estraneo. Come una presenza aliena venuta da un mondo sconosciuto. Ed è disposta a credere in certe assurde leggende che cominciano a fiorire in città, piuttosto che svolgere un approfondito lavoro di studio e comprensione di quell’inaspettata apparizione.
Sospeso tra uno stile di racconto realista e l’insorgere di situazioni ambigue, irrazionali, al limite del credibile, “Repubblica luminosa” procede per cerchi concentrici. Attira il lettore dentro le sue spire, ipnotizzandolo fino a fargli perdere le certezze che pensava di avere acquisito all’inizio del racconto. Così, pagina dopo pagina, Andrés Barba, spagnolo di Madrid, vincitore del Premio Herralde nel 2001 con il romanzo “La sorella di Katia”, traduttore di Herman Melville, Henry James, Joseph Conrad, Thomas De Quincey, costruisce un romanzo lucido e tenebroso, bello e ioriginale. Dove nessuno sta per davvero dalla parte del Bene o del Male, ma galleggia in un’indecifrabile ambiguità. Dove, alla fine, il prezzo da pagare sarà altissimo.
E a lasciarsi affascinare dal fascino narrativo di “Repubblica luminosa” è stata, quest’anno, la giuria del Premio von Rezzori di Firenze. Che ha voluto inserire Andrés Barba nella cinquina degli scrittori finalisti.
“Volevo scrivere questa storia da tanto tempo – spiega Andrés Barba, che in Spagna ha pubblicato romanzi, libri di racconti, saggi e poesie, ma solo adesso viene scoperto dai lettori italiani -. Ho iniziato ad abbozzarlo per due volte, ma non ero mai contento. Mi sembrava che non funzionasse. Poi ho incontrato i testi di uno scrittore che hanno cambiato il mio modo di vedere le cose”.
Chi era?
“Joseph Conrad. Cinque anni fa, insieme a mia moglie, mi sono messo a tradurre tutti i suoi racconti. Ed è stato lui a suggerirmi quella che era la struttura giusta per il mio romanzo. Solo allora mi sono reso conto che che mi mancava un luogo dove ambientarlo. Un contesto preciso. E proprio mia moglie, che è di origine argentina, mi ha regalato una suggestione importantissima”.
La suggestione di un luogo?
“C’è un città non molto nota, in Argentina, che si chiama Posadas. È la capitale della regione di Misiones, nell’estrema parte Nord-Orientale del Paese. Sta quasi al confine con il Paraguay e il Brasile. E accanto al fiume Paranà, uno dei più grandi del Paese. Ecco, ho capito che quel posto mi sarebbe servito da modello per inventare la mia cittadina tropicale immaginaria di San Cristóbal, dove si svolte la storia della ‘Repubblica luminosa’. E ancora Joseph Conrad mi è venuto in soccorso per indicarmi l’impasto narrativo giusto per raccontare la storia”.
Una sorta di realismo magico?
“Qualcosa che assomigliasse a una favola, però usando una scrittura, uno stile di racconto del tutto realista. Ecco, solo in quel momento ho capito che il mio romanzo poteva funzionare. E mi sono messo a scriverlo superando i dubbi che mi avevano fermato qualche tempo prima”.
Narratore e traduttore: due approcci alla letteratura compatibili?
“Assolutamente sì. Lo scrittore non deve aver paura di leggere i testi degli altri. E anche se a volte non vuole dirlo apertamente, mentre lavora al suo romanzo tiene dentro di sé alcuni modelli di riferimento che lo guideranno sulla strada della narrazione. Una musica per creare l’atmosfera giusta della storia, uno o più libri che innescano dentro di te il desiderio di dare forma alle idee”.
Dopo Joseph Conrad, chi indicherebbe come suo spirito guida?
“Mi ha aiutato tantissimo Henry James. Ho tradotto un’antologia, curata dallo scrittore irlandese Colm Tóibín, in cui sono raccolte tutte le storie che l’autore di “Giro di vite’ e ‘Ritratto di signora’ ha dedicato a New York. Sono testi realizzati a distanza di anni, e mi hanno permesso di scoprire com’è cambiato, come si è evoluto il suo stile”.
L’affascinano le storie perturbanti?
“Credo che sempre, uno stile di scrittura realista abbia bisogno dell’improvviso irrompere del mistero. Perché la realtà stessa non sarebbe comprensibile se non siamo disposti a fare i conti con certi avvenimenti straordinari. Lo scrittore non deve aver paura a esplorare quelle che potremmo chiamare regioni limitrofe della normale quotidianità”.
È riuscito a conquistare perfino il Premio Nobel Mario Vargas Llosa?
“Devo dire che è stato molto generoso quando ha detto che sono ‘di una bravura esagerata’. Anche perché non pensavo amasse il tipo di storie che racconti io. Per quanto, se andiamo a vedere i primi romanzi della sua carriera, come ‘Los cachorros-I cuccioli’, ci rendiamo conto che non mancano gli elementi strani”.
Gli editori, sull’onda del successo, chiedono sempre nuovi testi da pubblicare. Lei resiste?
“Sono uno scrittore abbastanza veloce. Però, arrivato a questo punto della mia carriera, sto cercando di rallentare un po’. Perché preferisco stare lì a pensare bene su quale storia puntare per il prossimo libro. Convinto che bisogna sempre cercare qualcosa di nuovo e non ripetersi. Dopo ‘Repubblica luminosa’, infatti, mi sento svuotato. Ha dato tanto per scriverlo, ho messo alla frusta la mia fantasia”.
Si è innamorato presto della scrittura?
“No, abbastanza tardi. E sono stato anche un lettore tardivo. Mi infastidiva il fatto che i libri venissero considerati necessari, che fosse obbligatorio leggerli. Soltanto dopo ho capito che la letteratura è anche un grande piacere personale. Quando ho iniziato il primo romanzo, non ho più smesso di innamorarmi delle storie. Non erano più qualcosa di istituzionale, ma un desiderio intimo di scoprire mondi immaginati. Di lasciare che le parole mi conquistassero”.
<Alessandro Mezzena Lona