Tra tutti i cocktail narrativi, quello che ha per ingrediente principale l’amore sembra il più facile da preparare. E anche il più richiesto dal pubblico. Basta inventarsi una coppia che potrebbe funzionare, ma in realtà si dilania in mille tormenti, in mille ripensamenti. Aggiungerci qualche riflessione, più o meno banale, sul fatto che l’infelicità è ineluttabile nella vita umana. Perché siamo condannati a tormentarci, a soffrire. Insaporire con personaggi di contorno, capaci di creare gelosie, fraintendimenti, deviazioni e risentimenti nel cuore dei protagonisti. E il gioco è fatto. Anzi, il romanzo è fatto.
Si, certo, ma che romanzo? Non un capolavoro, sia ben chiaro. E nemmeno un dignitoso libro da conservare tra quelli che magari, un giorno, ci piacerebbe rileggere. No, trattando così l’amore, scrivendo una lunga sequenza di banalità si ottiene soltanto una storia buona per ipnotizzare i lettori ingenui. Per vendere copie agli allocchi. E allora, ogni volta che compare un’opera letteraria come “Persone normali” di Sally Rooney, tradotto da Maurizia Balmelli per Einaudi (pagg. 241, euro 19,50), bisognerebbe fermarsi un attimo. Mettere da parte la fretta, cancellare le tonnellate di porcherie editoriali che ci passano sotto gli occhi. E gustare pagina dopo pagina la capacità autoriale di una ragazza di 28 anni che racconta la giovinezza, l’innamoramento, l’amore e la solitudine, la difficoltà dei rapporti con gli altri e con se stessi, in maniera limpida, immediata, apparentemente semplice eppure multiforme e complessa.
Che Sally Rooney, irlandese della Contea di Mayo, laureata al Trinity College di Dublino, dove vive, promettesse di diventare uno dei più luminosi talenti della narrativa europea lo si era capito già l’anno scorso. Quando il suo romanzo di debutto, “Parlarne tra amici” era stato tradotto in venti lingue, si era aggiudicato premi, soprattutto aveva messo d’accordo, per una volta, critici e lettori. Ma, forse, proprio per tutto il bene che si era detto di quel libro, era lecito attendere l’opera seconda della scrittrice irlandese con ancor maggiore curiosità e timore. Ben consci che sbagliare il libro che esce quando ancora non si è spento il clamore suscitato da quello precedente, sarebbe stato davvero come fare uno scivolone da cui non ti rialzi facilmente.
E, a essere sinceri, scoprire che “Persone normali” è stato selezionato per il Man Booker Prize metteva ancor più sull’attenti. Perché i premi importanti, si sa, molto spesso pensano di risarcire uno scrittore, trascurato dalla giuria quando è uscito il suo libro più bello, inserendolo tra i finalisti anche se il romanzo nuovo è, diciamo così, non proprio entusiasmante. E poi, guadagnare la vetta della classifica dei libri più venduti del “Sunday Times” non capita tutti i giorni. Ma diffidare è sempre meglio che incassare una sonora delusione. Anche perché non è un segreto che tante persone acquistano i libri in base alla fama dell’autore, non al loro effettivo valore.
Sally Rooney, però, non è uno di quei talenti costruiti a tavolino. E il fatto che sia una delle firme di punta, senza avere nemmeno compiuto ancora trent’anni, di testate prestigiose come “New York Times”, “New Yorker”, “Granta” e “London Review of Books”, non è casuale. Perché stiamo parlando di una scrittrice che sa costruire un gran libro partendo da storie di tutti i giorni. Partendo da un incipit che può essere semplicissimi. Come: “Connell suona il campanello e Marianne va ad aprire”.
Ma attenzione. Quell’inizio così secco, preciso, apparentemente privo di fuochi pirotecnici, ha la stessa forza dell’attacco de “La metamorfosi”. Dove Franz Kafka inizia con il raggelante, essenziale e indimenticabile: “Destandosi un mattino da sonni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto”. Sally Rooney segue esattamente la stessa traiettoria, anche se non ha bisogno di partire da così sconcertanti epifanie. Perché in quel gesto del ragazzo Connell che entra nell’appartamento della ricca Marianne per recuperare sua madre, assunta per fare le pulizie di casa per la famiglia della ragazza, c’è già tutto. L’annuncio di una storia importante. Il manifestarsi di un sentimento pericoloso e bellissimo come l’amore. Il mare di difficoltà che separerà quei due ragazzi così diversi, dal punto di vista caratteriale e sociale, quando proveranno a far convergere le proprie vite sullo stesso binario.
Fin dall’inizio del romanzo, apparentemente così scarnificato, minimale, anche se ha la forza di una sfaccettata rivelazione, è subito chiaro che Connell e Marianne frequentano la stessa scuola. A Carricklea, un piccolo centro dell’Irlanda rurale vicina a Sligo. E che, al tempo stesso, sembrano forse simili. Perché entrambi ottengono ottimi risultati negli studi. Perché tutti e due nutrono ambizioni alte. Eppure, a ben guardarli, c’è un oceano di differenze che li separa. La ragazza è cresciuta in una famiglia ricca, senza problemi di sopravvivenza, eppure disturbata, dove la madre sembra ascoltare soltanto il figlio maschio, anche quando lui si comporta in maniera violenta nei confronti della sorella. Il ragazzo è figlio di una donna ancora giovane che ha deciso di portare avanti quel bambino nella vita da sola. Senza un uomo accanto a spalleggiarla. Adattandosi a fare i lavori di pulizia nella case di famiglie più ricche. Premurandosi di non fargli mancare niente. Creando, attorno a lui, una sorta di camera di decompressione fatta di amore, ascolto, complicità e comprensione. Senza risparmiargli le giuste critiche.. Quando pensa, ad esempio, che Connell assuma degli atteggiamenti troppo ottusi, maschili, nei confronti di Marianne.
Ci penserà la vita a riequilibrare quello che la società ha squilibrato in maniera così evidente. Connell non possiede ricchezze, però è un bellissimo ragazzo, fa il centravanti nella squadra di calcio della scuola, negli studi è decisamente il più brillante e i compagni lo amano. Marianne, invece, si porta dietro tutte le ombre della sua complicata vita familiare. Legge da sola Proust davanti agli armadietti della scuola, mentre gli altri chiacchierano e ridono durante la pausa pranzo. In classe la considerano un tipo strano, una mezza svitata. E la sua bellezza diafana, algida, non brilla certo per gli abiti anonimi e il portamento un po’ troppo rigido, che sembrano studiati per non attirare sguardi su di sé.
Eppure, Connell e Marianne sono così diversi, eppure così uguali, da non riuscire a evitare di amarsi. Anche se non sapranno vivere per sempre insieme, condividere ogni minuto, come i personaggi delle belle favole. Visto che nel dipanarsi della storia si perderanno e si ritroveranno innumerevoli volte. I loro corpi si adattano, si uniscono “come quei materassi che pare facciano bene alla salute”. Sono, insomma, l’immagine reale di un’anima divisa a metà. Rappresentano la sintesi perfetta di due pianeti che orbitano in armonia continuando a scontarsi, a intralciarsi, ad allontanarsi, pur ritornando sempre uno accanto all’altro. In un ripetuto minuetto, doloroso e indispensabile, di addii e imprevisti, necessari riavvicinamenti. Perché “le persone possono veramente cambiarsi a vicenda”. E per farlo dovranno strattonarsi, accarezzarsi, fuggire e riapparire, attraversare l’imbarazzo dei silenzi e pronunciare poche parole vere quando la vita comincia a far loro male.
Raccontando il tormento e l’estasi della giovinezza, la seduzione delle illusioni e la feroce precisione della realtà, il peso inevitabile degli errori dei propri genitori, l’aria claustrofobica che si respira in tante famiglie, la traballante importanza dell’amicizia, ma anche la forza dirompente dell’amore e la violenza muta dei rapporti ravvicinati tra le persone, che non rimargina mai certe ferite sempre pronte a buttare sangue, Sally Rooney cesella quel piccolo capolavoro è “Persone normali”. Una trappola narrativa capace di catturare anche il lettore più distratto e sospettoso. Un limpido, normale, frastagliato sguardo ravvicinato sui sentimenti più forti e fragili. Sulla maledetta incapacità di prendere la felicità per il bavero e godersela fino in fondo. Qui e ora. Perché domani sarà già troppo lontana.
<Alessandro Mezzena Lona