• 21/09/2019

Long Litt Woon: “Come salvarsi la vita sulla via dei funghi”

Long Litt Woon: “Come salvarsi la vita sulla via dei funghi”

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Perdere l’amore all’improvviso. Trovarsi a dire addio all’uomo della tua vita perché un giorno la Morte si presenta, inaspettata, e lo porta via con sé. Long Litt Woon ha rischiato di smarrirsi quando, in una luminosa mattina d’estate, il marito Eiolf si è sentito male. E a nulla è servita la corsa pazza dell’ambulanza verso l’ospedale. Lui, prima di dire addio alle cose del mondo, forse non si è nemmeno accorto che il suo tempo finiva lì. Che non sarebbe arrivato puntuale al lavoro. E che la sera non sarebbe rientrato a casa, come sempre.

Accettare di perdere Eiolf così, senza potergli dire per l’ultima volta”ciao” con un abbraccio forte, voleva dire cancellare in un attimo tutto l’amore che aveva convinto Long Litt Woon a lasciare la propria terra, la Malesia. Per costruire un presente da condividere in un luogo lontano: Oslo, in Norvegia. Normale, quindi, che l’antropologa e scrittrice si sia lasciata scivolare dentro una bolla di apatia. Sia sia barricata in un esilio interiore. In una sequenza di giornate tutte uguali dominate dalla malinconia, dalla perdita di quel desiderio di stare con i piedi ben piantati nella realtà che la svegliava ogni mattina, e la cullava fino a consegnarla al sonno di notte.

Poi, un giorno, è arrivata la proposta più inaspettata. C’era un corso per micologi dilettanti: perché non partecipare? In una serie di lezioni, alcuni esperti avrebbero insegnato agli iscritti come si riconoscono i funghi sparsi nel bosco. Decidere di iscriversi, in un momento vissuto nella penombra, non è stato facile. Però, quel viaggio a contatto con la Natura si è rivelato il sentiero giusto per allontanare la disperazione, la solitudine. Quella sorta di morte interiore che aveva anestetizzato tutti i sensi di Long Litt Woon.

E adesso, il suo straordinario cammino di rinascita è diventato un libro. Un romanzo, un’auto fiction,  un modo per unire letteratura e scienza, antropologia e immaginazione, molto particolare e affascinante. Si intitola “La via del bosco”, lo ha tradotto Alessandro Storti per Iperborea (pagg. 2723, euro 18,50), è stato presentato dall’autrice nell’ambito della ventesima edizione di Pordenonelegge.

“La via del bosco” è il racconto doloroso e gioiosissimo di una vita che si è ritrovata, all’improvviso, capovolta. Una fuga inimmaginabile dalle sabbie mobili del lutto. Una via interna che, passando dai boschi per imparare a individuare e riconoscere i funghi, ha condotto Long Litt Woon a trovare il progetto che le permettesse di ridare luce ai paesaggi plumbei della propria anima. “Solo in seguito – scrive l’antropologa e autrice nel suo libro, pubblicato in Italia in una splendida edizione, ricca di disegni, ricette, e dove il testo procede tra le pagine differenziandosi per l’uso di inchiostri diversi – mi sono accorta che questa era stata la mia salvezza nel momento del bisogno e che i due argomenti, funghi e lutto, apparentemente distinti, sono in realtà legati”.

“Non pensavo a niente di esoterico, mentre scrivevo il libro – spiega Long Litt Woon -, ma piuttosto a raccontare un percorso di guarigione dal dolore.  Devo anche dire che, proprio durante il lavoro di scrittura, mi sembrava di affrontare un momento della mia vita molto concreto. Qualcosa di fisico, più che mentale. Una strada che dovevo imboccare e percorrere. Però posso capire che, chi legge, la interpreti come una metafora. Come un’esperienza che può portare a una trasformazione spirituale”.

Ogni traduzione sceglie le parole che ritiene giuste per il titolo…

“È vero. Per esempio, in Francia e in Spagna hanno voluto mettere nel titolo la parola ‘donna’ e quella ‘funghi’. Forse perché richiamano subito i due punti di riferimento forti della mia storia”.

Il mondo dei funghi è affascinante. Ma anche molto pericoloso?

“Non bisogna avere paura dei funghi. Certo, di solito se non conosci bene qualche cosa, il sentimento istintivo è quello di guardarla con diffidenza. Però credo che siamo molto più pericolose certe piante. Perché lì non abbiamo l’antidoto per combattere i loro veleni. Mentre, se parliamo di funghi, l’antidoto c’è. Prima di avvicinarli bisogna imparare a conoscerli. E a evitare quelli che possono essere pericolosi per noi”.

Il successo è stato immediato?

“Non mi aspettavo tanta attenzione. Speravo che traducessero il libro in inglese, perché così poteva entrare in un mercato molto ampio. Infatti, ho chiesto subito al mio editore norvegese se aveva già i contatti giusti. Lui ha risposto di sì, ma non era vero. Poi, sono stata fortunata a incontrare un agente bravo, che ha creduto nel libro e in me. Alla Fiera di Francoforte i tedeschi si sono innamorati subito della storia, e dietro a loro molto altri Paesi hanno acquistato i diritti. È successo tutto all’improvviso”.

Tutto il libro è un piccolo gioiello di grafica…

“L’edizione italiana di Iperborea è davvero speciale. Anche nella versione norvegese il testo è stampato con due inchiostri differenti. Per accompagnare il doppio binario della storia: quello della morte del marito e l’altro, la scoperta del bosco e del mondo dei funghi. Però lì non ci sono disegni, ma fotografie. Era giusto così, perché all’inizio pensavo più al lato pedagogico del libro, che a quello estetico”.

E poi?

“L’editore finlandese ha deciso di fare un’edizione più particolare, più curata. Togliendo le foto e sostituendole con dei bellissimi disegni. E così hanno fatto anche gli inglesi e Iperborea per l’edizione italiana, che trovo davvero speciale. Ogni libro, ogni edizione è diversa”.

Perché ha inserito le ricette nella “Via del bosco”?

“In Norvegia i funghi si cucinano, di solito, in maniera molto semplice. In padella con un po’ di burro, pepe e sale. Però, a seconda di come vengono preparati, possono avere sapori molto diversi. Per questo mi interessava far capire ai lettori che ci sono mille modi di prepararli, e quindi anche mille gradazioni di gusto. E poi, alcuni funghi hanno un gusto fruttato, possono andare benissimo per preparare pietanze dolci. Insomma, volevo rendere l’idea di quanto soffrissi quando è morto mio marito, di quanto ila mia percezione fosse azzerata in quel periodo. E di come, poi, i funghi mi hanno aiutato a rinascere, riattivando anche i miei sensi addormentati”.

Quando ha provato il desiderio di scrivere?

“Da bambina leggevo molto e ho sempre provato il desiderio di scrivere. E in effetti, il mio lavoro di antropologa è sempre stato legato alla scrittura. Anche se, per lunghi anni, mi sono occupata soprattutto di articoli scientifici, di lavori molto tecnici. Con ‘La via del bosco’ ho reso felice la bambina che ero. Perché, per la prima volta, mi sono dedicata a una storia molto personale. Intima. E l’ho scritta per farla leggere a persone che non conosco”.

Scrittura e antropologia: una liaison ben riuscita?

“Quando vivevo dentro una bolla di apatia, ho capito che quelle erano le due cose che sapevo fare meglio: scrivere e occuparmi degli studi antropologici. Ho trovato il modo di far convivere, dialogare, queste passioni. In una forma completamente nuova”.

<Alessandro Mezzena Lona<

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