• 17/11/2019

John Simenon: “Papà Georges, l’uomo delle buste a sorpresa”

John Simenon: “Papà Georges, l’uomo delle buste a sorpresa”

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Uno che scrive oltre 200 romanzi. Che viaggia tanto da fare quasi il giro del mondo. Che dice di avere amato diecimila donne. Come te lo immagini? Tremendamente egocentrico, come se no? Concentrato sul proprio lavoro e su di sé. Pronto a sacrificare sull’altare della notorietà e del successo tutto e tutti. E invece no. Perché il ritratto del grande Georges Simenon che si può trarre dalle parole del figlio John non corrisponde assolutamente a questa sommaria descrizione. Anzi, è esattamente il contrario.

Laureato in economia ad Harvard, per tantissimi anni distributore, produttore e manager di diritti cinematografici, primo dei figli avuti da Georges Simenon da Denyse Ouimet, John Simenon si occupa da tempo della gestione dei diritti dell’opera del padre, nato a Liegi nel 1903 e morto a Losanna trent’anni fa, nel 1989. Non un compito da poco, se si pensa che il papà di Maigret, l’autore di romanzi straordinari come “L’uomo che guardava passare i tremi”, “Tre camere a Manhattan”, “Lettera al mio giudice”, e di cui Adelphi ha appena pubblicato il libro di racconti “La cattiva stella” (pagg. 167, euro 12), oltre a portare avanti la monumentale edizione di tutte le avventure del popolarissimo commissario, è tradotto in oltre 50 lingue. E in 40 Paesi del mondo ha venduto oltre 700 milioni di copie dei suoi romanzi.

Eppure, nonostante la mole di carta già pubblicata a firma Georges Simenon, tra cui non mancano folgoranti epistolari come “Carissimo Simenon Mon cher Fellini”, e affascinanti reportage come “Il Mediterraneo in barca”, uscito l’estate scorsa sempre per Adelphi (pagg. 189, euro 16), non tutto quello che ha scritto il prolifico inventore di Jules Maigret è arrivato tra le mani dei lettori. Lo rivela il figlio John Simenon in quest’intervista realizzata negli splendidi spazi dei Frigoriferi Milanesi, dove si svolge a gennaio il Festival Writers, nell’ambito dell’edizione 2019 di BookCity Milano.

“Può sembrare strano che ci sia ancora qualcosa di inedito scritto da mio padre – spiega John Simenon, che viaggia molto ed è sempre disposto a raccontare il suo Simenon -. Eppure è vero. Ci sono, ad esempio, tremila lettere scambiate con mia madre, Denyse Ouimet, la sua seconda moglie. Si scrivevano fino a tre volte al giorno. Voglio pubblicarle, ma dovremo fare un enorme lavoro. Prima di tutto trasformando tutto quel materiale cartaceo in pdf per i supporti digitali. Poi resteranno ancora i controlli, le collazioni con gli originali. Credo non basterà un editore, ma un pool”.

Ma è il solito epistolario tra persone che si amano?

“No, sono lettere assolutamente sorprendenti. Georges Simenon diceva sempre di odiare il sentimentalismo. Aveva inventato la parola sentimentico, una sorta di fusione tra sentimentale e romantico, che lui detestava. Invece, nell’epistolario si scopre un uomo profondamente innamorato. E anche molto emotivo”.

Ci saranno altre carte inedite…

“Certo, altre lettere che lo scrittore scambiava con gli editori. Da quella corrispondenza viene fuori un altro aspetto interessante e poco conosciuto della sua personalità. Ovvero, un Georges Simenon accorto uomo d’affari. Profondamente consapevole del proprio valore letterario e commerciale. Anche se non era del tutto sicuro che la sua opera sarebbe durata nel tempo”.

Essere considerato uno scrittore di passaggio lo faceva soffrire?

“Soffriamo noi, adesso, per il fatto che non abbia mai vinto il Prix Goncourt, e men che meno il Nobel. Mio padre non ha lasciato traccia nella sua corrispondenza di questa frustrazione. E neanche nei miei ricordi”.

Dava una spiegazione del perché non gli avessero assegnato il Nobel?

“Quello sì, lo sapeva benissimo. Tutto dipendeva dal fatto che il Pen Club belga, che proponeva poi all’Accademia di Svezia i nomi degli scrittori importanti da candidare, non lo considerava un autore di qualità così elevata da avanzare la proposta di assegnargli il Premio. Potrei dire: nemo propheta in patria”.

Qual era il rapporto di Georges Simenon con il Belgio?

“Lo considerava il Paese dov’era nato. Restava molto legato a rue Léopold, al quartiere Otremeuse a Liegi che lo avevano visto bambino. Ci sono romanzi in cui ne parla: ‘Pedigree’ sopra tutti, ma anche altri. Poi, però, non ha mai mantenuto rapporti con il Belgio. C’è ritornato un paio di volte soltanto: nel 1952, per un viaggio, e quando è morta sua madre. Io credo che se fosse stato italiano, il Nobel lo avrebbe vinto di sicuro”.

Simenon era scrittore di oltre 200 romanzi, papà, viaggiatore, amante di 10mila donne, capace di cambiare casa 33 volte. Come faceva?

“Faceva tutto questo, è vero, ma non contemporaneamente. I grandi viaggi sono degli anni Trenta e Quaranta. Anni in cui aveva amato, a credere quello che diceva lui, davvero tantissime donne. Per me, era un padre che lavorava quindici settimane all’anno. Scriveva, in media, cinque romanzi più o meno ogni anno. E aveva bisogno di una settimana di preparazione, più due per portarli a termine. Anche quando era ‘in romanzo’, come gli piaceva dire, ovvero stava elaborando una storia nuova, era comunque presente”.

Non spariva per concentrarsi sul suo lavoro?

“Scriveva soprattutto di mattina, quando noi andavamo a scuola. Poi, al ritorno, facevamo insieme delle grandi passeggiate. Forse è stato più presente lui con me di quanto lo sia stato io con mio figlio. Quando doveva partire faceva una cosa straordinaria”.

Racconti…

“Ci lasciava delle buste. Su ognuna era scritta una data. Noi le aprivamo la sera, dentro trovavamo una storia. Bellissima. Che purtroppo non ho conservato. Ma, spesso, c’erano anche delle raccomandazioni per noi. Dicevano: spero che siate stati buoni, che non abbiate fatto arrabbiare la tata, che abbiate fatto bene i compiti. Questa rituale costruiva con lui un legame fortissimo. Tanto che adesso posso dire di avere sempre sentito la sua presenza accanto a me”.

Difficile crescere accanto a un uomo così famoso?

“La relazione padre-figlio che ho avuto con lui è stata sana, perché mio padre era un uomo sano. E di questo gli sono grato. Non aveva affatto un ego smisurato. Con noi non recitava la parte del grande scrittore, né dell’uomo di mondo. Era semplicemente papà. Certo, abbiamo avuto dei litigi com’è normale che sia. Ma non ho mai lottato con la sua figura di intellettuale, di autore di libri celebri. Gli scontri sono avvenuti con l’uomo, come accade sempre nelle famiglie”.

A lungo lei si è occupato di cinema…

“Mio padre ha detto chiaramente: non occupatevi delle mie opere. E io, per trent’anni, ho lavorato nel cinema, facendo il produttore e il distributore di film. E quando, invece, mi sono dedicato alla sua eredità letteraria, l’ho fatto esattamente come se fosse uno degli autori di cui mi ero interessato fino ad allora. La cosa bella è che, così, ho avuto la possibilità di conoscere bene la sua opera. Perché, prima, per me Georges Simenon era soprattutto mio padre. Lo scrittore rimaneva in secondo piano”.

<Alessandro Mezzena Lona<

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