• 17/12/2019

Marieke Lucas Rijneveld: “Per fare un romanzo ci vuole poesia”

Marieke Lucas Rijneveld: “Per fare un romanzo ci vuole poesia”

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Ci sono molti modi per raccontare la perdita dell’innocenza. Quegli anni complicati, dolorosi eppure intensissimi, in cui i sogni dell’infanzia, le illusioni dell’adolescenza, sono sbattuti davanti al muro invalicabile della realtà. E metro dopo metro, appiglio dopo appiglio, provano a valicare la scoscesa parete. A guardare al di là. Per scoprire un mondo governato dalle rigide regole del caos: quello della vita quotidiana. La stessa che Marieke Lucas Rijneveld fa raccontare a una ragazzina, Jas Mulder, nel suo romanzo d’esordio

Non un libro qualunque. Perché “Il disagio della sera”, splendidamente tradotto da Stefano Musilli per la casa editrice Nutrimenti (pagg. 251, euro 18) è uno dei migliori romanzi d’esordio pubblicati negli ultimi anni. E non è a caso che Marieke Lucas Rijneveld, giovane promessa olandese della letteratura europea, è stata nominata miglior talento letterario del 2016 dal quotidiano “de Volkskrant”.

Partita dalla poesia con il botto, visto che la sua prima raccolta di versi “Kalfsvlies” ha vinto il Premio Buddingh per il miglior debutto dell’anno, Marieke Lucas Rijneveld affianca al lavoro letterario la dura routine quotidiana in una fattoria specializzata nella produzione di latte. Per questo non stupisce scoprire che il suo “Disagio della sera” è ambientato proprio in una fattoria della campagna olandese. Dove Jas Mulder, una ragazzina di dieci anni, comincia a fare presto i conti con la vita. Da una giornata d’inverno, apparentemente uguale alle altre, in cui suo fratello Matthies esce a pattinare sull’altra riva del lago. E non fa più ritorno a casa da vivo. Perché la Morte lo porta via con sé due giorni prima della festa del Natale.

Ed è lì, nel momento in cui un terribile dolore spegne le parole dei genitori, stende un velo di malinconia su ogni cosa, che Jas deve incominciare a fare i conti con la vita. Scoprendo il dolore che governa il mondo. Imparando a gestire il terrore che mamma e papà se ne possano andare all’improvviso. Scrutando i ritmi inflessibili, e spesso crudeli, che regolano ogni passaggio da una stagione all’altra, dalla salute alla decomposizione, dalla bontà alla cattiveria.

Al ripario del suo giaccone, che non toglierà più per non ammalarsi, sospesa tra la lezione inflessibile della Bibbia e la scoperta che anche un dittatore feroce come Adolf Hitler era terrorizzato dalle malattie, dall’idea di morire, Jas attraversa il tempo della sua crescita dialogando liberamente con la Morte. Perché è solo nella scoperta del proprio corpo, nei riti misteriosi e segreti del sesso, nella libertà di non porre freni alla fantasia, nemmeno quando si addentra nelle zone più oscure del pensare, che la ragazzina olandese potrà trasformare “Il disagio della sera” in un percorso iniziatico. In un rito di passaggio obbligato. Per valicare quel muro arditissimo oltre il quale c’è tutta l’ambiguità del mistero di vivere.

Scritto senza bamboleggiare usando un linguaggio da adolescenti, ma adottando parole e frasi precise, esatte, a tratti taglienti e urticante, eppure piene della libertà di immaginare, Marieke Lucas Rijneveld consegna ai lettori un romanzo di rara sensibilità e raffinatezza. Facendo del suo “Disagio della sera” un viaggio collettivo tra i tormenti e l’estasi dei beati, dannati anni della perdita dell’innocenza.

La poesia come avvicinamento alla letteratura, il lavoro in fattoria per la quotidianità. Quanto le sono serviti a scrivere “Il disagio della sera”?

“Lavorare nella fattoria è stato di grande aiuto, e ispirazione, per ‘Il disagio della sera’ – spiega Marieke Lucas Rijneveld, che è stata ospite a Roma del Festival Più libri più liberi nella Nuvola dell’Eur -. Sono cresciuta io stessa in una fattoria, ma ho comunque imparato molto quando da più grande sono andata a lavorare lì. Ho imparato i termini agricoli, ma anche come comportarsi con le mucche. Per poter scrivere bene il mio libro, ho pensato di dover stare io stessa letteralmente e figurativamente con due piedi nella cacca di mucca. Il lettore dovrebbe poter annusarla con ogni parola. Nella fattoria ho visto molte belle immagini, che successivamente ho incorporato nelle mie poesie e nel mio romanzo. Avevo bisogno della poesia per avvicinarmi a Jas. Per poter vivere nella sua testa. In origine sono un poeta e volevo anche dimostrare che a un romanzo deve essere permesso di essere poetico”.

La lingua dell’adolescente Jas è poco bambina. Perché?

“Penso che il linguaggio di Jas sia meno da bambina di quello di altri bambini perché lei cresce con la Bibbia. Quel libro ha un linguaggio bellissimo, sebbene a volte è anche decisamente all’antica e teatrale. Jas fa suo questo linguaggio. Inoltre, è anche molto consapevole dei suoi pensieri e di come tutto reagisce l’un con l’altro. A causa del lutto, del dolore in famiglia e dell’assenza dei genitori, Jas deve crescere presto. Il suo linguaggio e i suoi pensieri si adattano rapidamente alla situazione”.

Jas racchiude in sé il tormento e l’estasi dello scoprire i meccanismi della vita. Com’è nato il personaggio?

“Un personaggio nasce e si impasta lentamente, come una bambola di argilla. Solo quando è completamente finito puoi lasciarlo asciugare o metterlo in forno. Jas c’era da tanto tempo. Era una parte di me e lo sarà sempre. Ho dovuto solo modellarla nella forma giusta. E l’ho fatto. Ho modellato il suo carattere, alcuni tratti erano già lì, non avevo quasi bisogno di fare nulla al riguardo. Cresceva man mano che la storia si sviluppava. Questo sviluppo è molto importante per un personaggio. È come sperimentare la crescita di un bambino a un ritmo accelerato e scrivere e elaborare questo lungo processo in dettaglio”.

L’ombra di Adolf Hitler, degli ebrei nascosti in cantina, si allunga sul suo romanzo. Perché?

“Jas festeggia il suo compleanno nello stesso giorno in cui si celebrava quello di Hitler. A scuola scopre che il Führer aveva paura delle malattie e che vedeva gli ebrei come una sorta di batteri. Jas sente una specie di alleanza con lui, perché anche lei ha paura di ammalarsi e si sente capace di atrocità. Non nelle stesse proporzioni di Hitler, ma in piccolo, ad esempio per quanto riguarda gli animali. E quando sua madre smette di mangiare e la spesa finisce sempre per essere portata nel seminterrato, Jas pensa che si nascondano lì degli ebrei. Per lei non potrebbe essere diversamente. Per tutto ciò che accade in casa, la ragazzina cerca una soluzione meno dolorosa della verità: ad esempio, che sua madre ha smesso di mangiare il dolore. Hitler svolge, quindi, un ruolo importante nel libro. Lui rappresenta la sua paura e le sue fascinazioni, ma anche la sua negazione della verità. La fantasia della protagonista è illimitata,. Rappresenta il suo meccanismo di sopravvivenza”.

Il giaccone da cui la ragazzina non si separa mai è un rifugio da cui osservare la complessità del mondo?

“Jas si tiene sempre la giacca perché ha paura di ammalarsi, vomitare o avere la diarrea. Il giaccone le offre protezione. E in un certo senso è anche un nascondiglio”.

Ottenere il successo con il primo romanzo: più gioia o più responsabilità per come proseguire, poi, il proprio percorso di scrittura?

“Entrambe. All’inizio soprattutto gioia. Gioia perché posso condividere il mio lavoro con il mondo e perché il mondo vuole leggerlo. Poi c’è, ovviamente, anche responsabilità, la pressione da prestazione, l’incertezza. Ma sono tutti ingredienti di cui ho anche bisogno per poter scrivere. Per me ci dev’essere qualcosa di cui avere paura e da superare, altrimenti sarebbe troppo facile e ci sarebbe meno bisogno di scrivere e di impegnarmi tanto”.

Il suo doppio nome, maschile e femminile, vuole esprimere il senso di incertezza che è di tutte le persone sensibili?

“Ho scelto un doppio nome perché non so ancora con cosa mi sento a mio agio e che cosa sono: un ragazzo o una ragazza? Ora sono entrambi e va bene. Alla fine, spero di essere in grado di prendere una decisione. Non perché mi sento obbligata a farlo, o perché la società pensa che tutto deve essere sempre terribilmente chiaro, ma più che altro per avere chiarezza per me stessa. E sentirmi in qualche modo completa”.

Come vede il suo futuro letterario: ancora poesia e prosa? O soltanto uno dei due generi?

“Ora sto lavorando a un secondo romanzo e a una terza raccolta di poesie. Mi concentro soprattutto sulla mia nuova prosa. Desidero, o comunque aspiro a mostrare cos’altro posso fare;. Voglio dimostrare che in me non c’è solo ‘Il disagio della sera’. Mi piacerebbe poter confidare ai lettori: ho molto da dire, e spero mi ascolterete”.

<Alessandro Mezzena Lona<

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