• 19/05/2020

Julia von Lucadou, “La tuffatrice” in fuga dal controllo totale

Julia von Lucadou, “La tuffatrice” in fuga dal controllo totale

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C’è un modo infallibile per esorcizzare un romanzo. Basta tirare di mezzo la parola “distopia”. Allora, tutti cominciano a pensare: a me non piace la fantascienza. Io voglio leggere libri che parlino della realtà. Oppure storie romantiche, o qualcosa che mi elettrizzi. Così, anche il testo più bello del mondo, se viene incasellato nella categoria delle trame ambientate in un futuro possibile, finirà per essere snobbato. Oppure considerato perfetto per un pubblico di ragazzi. Letteratura per giovani inquieti, insomma, che amano argigogolare su come potrà essere il loro domani.

Ecco perché parlando de “La tuffatrice”, è meglio evitare accuratamente di usare la parola distopia. Il romanzo di debutto di Julia von Lucadou (nella foto di Maria Ursprung), infatti,  merita di essere letto da un pubblico vastissimo. Senza pregiudizi. Perché la scrittrice di Heidelberg, che vive tra la Svizzera, New York e Colonia, e ha lavorato a lungo come aiuto regista e redattrice televisiva, ambienta sì la sua storia in un futuro possibile e non lontanissimo dal nostro tempo. Ma lo fa dopo aver riflettuto a lungo sui sistemi di sfruttamento delle persone, sui condizionamenti della libertà, sul dilagare di un modello capitalistico-consumistico ormai fuori controllo. Su un presente, come quello che striamo vivendo, pieno di inquietanti contraddizioni. Spesso difficili da immaginare, una quarantina d’anni fa, anche da intellettuali illuminati e preveggenti come Pier Paolo Pasolini.

Non a caso, l’idea di scrivere “La tuffatrice”, tradotto da Angela Ricci per una casa editrice originale e coraggiosa come Carbonio (pagg. 252, euro 16,50), che ha vinto lo Schweizer Literaturepreis nel 2019, è venuta a Julia von Lucadou dopo aver riflettuto a lungo sulla realtà del mondo in cui viviamo. “Alcuni anni fa ho iniziato a mettere in discussione i miei valori. Lavorando dodici ore al giorno in televisione. mi sono resa conto che stavo sfruttando il mio corpo e la mia mente in nome della produttività. Avevo interiorizzato questa ideologia capitalistica in cui il valore di una persona è determinata da quanto lavora e da quanti soldi fa. Quando mi sono resa conto di quanto fosse malsano, ho lasciato il mio lavoro in tv e ho iniziato a scrivere il mio romanzo”.

E, allora, il futuro de “La tuffatrice” diventa uno specchio in cui si riflette il nostro presente malato e schiavizzato. Perché nella storia di Julia von Lucadou la protagonista è una donna considerata una vera star fino a quando accetta passivamente le regole dettate dal nuovo ordine sociale. Riva Karnovsky è una campionessa di Highrise Diving. In pratica, ha sfidato il concetto stesso di legge di gravità lanciandosi dai grattacieli, dopo un programma durissimo di allenamenti. 

Nel suo mondo regolato dall’ansia di accumulare un punteggio più alto degli altri, per non venire ricacciato nell’anonima periferia della città, dove la variazione del battito cardiaco non può mai accelerare troppo perché è sorvegliato da un apposito dispositivo applicato al braccio, gli incontri sentimentali devono svolgersi secondo un rigido protocollo e le giornate sono regolate da un incitamento all’iperproduzione, le acrobazie di Riva Karnovsky attraggono schiere di fan. E le assicurano uno splendido appartamento, contratti con sponsor importanti, un tenore di vita del tutto inimmaginabile per la gran parte della popolazione.

Ma quando nessuno se l’aspetta, il fragile equilibrio di Riva Karnovsky finisce in frantumi. Lei comincia a saltare gli allenamenti. Lascia che il suo tempo scivoli via senza combinare nulla. Non risponde nemmeno ai richiami di chi la avvisa che, seguendo quella pericolosa deriva, finirà per perdere tutto. I benefici accumulati come campionessa di Highrise Diving, gli ammiratori osannanti, i canali on line che seguono e commentato passo passo la sua vita.

Quando è ormai chiaro che il tunnel in cui si è andata a infilare Riva Karnovsky non ha una via d’uscita, viene ingaggiata una giovane e ambiziosa psicologa. Hitomi Yoshida trova non solo normale controllare notte e giorno, attraverso apposite telecamere, lo scivolare progressivo nell’inattività e nell’abulia della campionessa. Ma fa di tutto per riportarla agli allenamenti. Fino a decidere di introdurre in casa sua un inquilino, in apparenza capitato lì per caso. Che, in realtà, dovrà capire il vero motivo del tracollo psicologico della donna.

Anche a Hitomi Yoshida, per niente integrata nel rigido mondo dove lo sfruttamento della persona e il suo benessere obbligatorio vanno di pari passo, toccherà presto accorgersi di essere diventata  lei stessa soltanto una pedina nella morsa soffocante del sistema sociale csotruito attorno a indefinite megalopoli.

Ed è proprio questo l’aspetto più entusiasmante, e inquietante, di un romanzo originale, molto misurato e bello come “La tuffatrice”. Perché Julia von Lucadou non inventa un sistema sociale repressivo modellato sulle dittature classiche. Dove il pensiero unico impone, a cascata, uno stile di vita rigidissimo e del tutto intollerante. No, la scrittrice prende una serie di scenari che stiamo già vivendo. Li estremizza, proiettandoli in un futuro credibile e non lontano. Per mettere in guardia chi ancora non ha capito che impostare un controllo di massa secondo il progetto utopico di spingere ognuno a cercare “la versione migliore di noi stessi”, finisce per creare falangi di sudditi obbedienti.

Nel mondo di Riva Karnovsky sono tutti perfettamente allenati come “La tuffatrice”, attraenti per il popolo del web, perfetti come testimonial degli sponsor pubblicitari. Ma se infrangono le regole, si dissociano dal programma di benessere obbligatorio, smettono di avere un ruolo utile nella catena produttiva, finiscono per essere inghiottiti dalla periferia. Lontani da ogni miraggio di ricchezza. Ridotti a inutili numeri da una dittatura del controllo totale che allunga le sue radici fino al nostro tempo.

<Alessandro Mezzena Lona<

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