• 05/02/2018

Roberto Abbiati e Moby Dick: così si reinventa un capolavoro

Roberto Abbiati e Moby Dick: così si reinventa un capolavoro

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Centosessantasette anni: una voragine di tempo. Eppure, “Moby Dick” non smette di esercitare il suo fascino negromantico. Come se il romanzo scritto da Herman Melville, pubblicato nel 1851, fosse lì pronto a rivelare sempre nuovi segreti. A regalare sempre nuove traiettorie di lettura. Ne sa qualcosa Roberto Abbiati, attore, regista, disegnatore, grafico, che non smette di girare attorno al mito della Balena Bianca e del Capitano Achab da tempo. Prima a teatro, con uno spettacolo intitolato “Una tazza di mare in tempesta”. Quindici minuti di immersione, per quindici spettatori, nella sfida titanica e folle tra un marinaio arrivato al confine tra la vita e l’ossessione e una creatura inafferrabile, archetipica, dal fascino oscuro e mostruoso.

Adesso, il viaggio continua in un libro. Non il solito tentativo di ridare vita alla storia del romanzo e ai personaggi usando matite, pennelli, sfumature. No, Roberto Abbiati, che pur ha doti di disegnatore raffinato, questa volta ha voluto spingersi più in là. Entrando lui stesso nel mare agitato dall’inseguimento matto e disperatissimo del Capitano Achab. Prendendo il testo di Herman Melville, scarnificandolo fino a trovare una serie di parole chiave, nella sua lingua originale, l’inglese, per iniziare poi un viaggio fatto di segni e suggestioni, schizzi e vocaboli, verbi, frammenti di discorso.

Ha preso forma, così, un libro straordinario e unico. Un romanzo a disegni, “Moby Dick o la balena”(pagg. 288, euro 23), che Roberto Abbiati ha pubblicato con un editore speciale: quel Roberto Keller che, pur asserragliato tra le montagne trentine che circondano la cittadina di Rovereto, ha saputo portare nel mondo dell’editoria italiana una ventata di intelligenza e coraggio.

A illustrare “Moby Dick” ci hanno pensato in tanti. Lo ricorda nella prefazione Matteo Codignola, che al lavoro di Abbiati ha dedicato un bel libro intitolato “Un tentativo di balena” pubblicato da Adelphi: “Almeno in un caso, quello di Rockwell Kent, con tavole talmente precise da identificarsi una a una con il libro che le conteneva”. Ma all’attore-disegnatore, brianzolo di Seregno, non interessava lavorare allo specchio, trasformando in precisissime sequenze disegnate il testo originale di Melville. No, lui voleva entrare nel magma incandescente di un romanzo che ha lasciato segni profondi nella storia della letteratura, nell’immaginario di tutti i lettori che hanno accettato la sfida di navigare al fianco del Capitano Achab e del suo equipaggio a bordo del Pequod.

Provava il desiderio, insomma, di squinternare, destrutturare la storia, per lasciarsi trasportare dal fascino delle parole, delle accecanti illuminazioni narrative e linguistiche.

Bianco e nero, nero e bianco, erano gli unici colori che servivano a Roberto Abbiati. Perché il mare di Achab e del Pequod è un territorio oscuro che solo le sfumature cromatiche del cinema espressionista tedesco possono rendere alla perfezione. Sul vascello che sembra governato da forze demoniache, dove il solo Starbuck implora vanamente il Capitano di invertire la rotta, di interrompere l’inseguimento suicida al mostruoso cetaceo, danzano spettri che sembrano usciti da film come “Il gabinetto del dottor Caligari” di Robert Wiene. E quando finalmente entra in scena Achab, il suo volto, mai veramente visibile, deformato da una smorfia di follia, esaltazione, terrore, delirante convinzione, assomiglia alla maschera perturbante e folle di Roderick Usher, quello del racconto di Edgar Allan Poe, prima che la sua antica magione si inabissi per sempre.

Eppure, sono uomini veri, vivi, quelli che danzano attorno a Achab. Da Ismaele, protagonista assoluto dell’incipit più acclamato e citato della storia della letteratura, al gigantesco e tribale Queequeg, dal Capitano Boomer al secondo ufficiale Stubb, dal misterioso asiatico Fedallah al cuoco Lana Caprina, sono lì sul Pequod a trascorrere giornate in precario equilibrio tra la normalità e il delirio. Mangiano e sognano, trascorrono il Natale in mare e cucinano quello che l’oceano immenso fornisce loro. Fino ad arrivare allo scontro finale, che Abbiati racconta con un alternarsi di bianchi abbaglianti virati verso un grigio tempestoso per ritornare al nero. E quando l’inseguimento porta dritto all’avvistamento di Moby Dick, non servono nemmeno più le parole. Perché è la Balena Bianca a prendersi per intero il palcoscenico della doppia pagina. L’uno nel tutto è dentro il corpo mastodontico del mostruoso bersaglio. Basta tratteggiane il groppone, sbozzare il pauroso profilo. Dopo, rimane soltanto un piccolo uomo. Il sopravvissuto. Ismaele.

Di Moby Dick, del libro e dello spettacolo teatrale, ma anche di altre storie, Roberto Abbiati parlerà martedì 6 febbraio alle 18, al Circolo Canottieri Adria di Trieste, nel primo evento organizzato dal Triestebookfest nel 2018. Sarà presente anche l’editore Roberto Keller.

Tutta un’altra direzione è quella scelta dal disegnatore alsaziano Christophe Chabouté per raccontare, a modo suo, il “Moby Dick da Herman Melville”. Ed è decisamente una via più tradizionale, meno innovativa forse, ma di grande fascino narrativo e grafico. Perché l’autore di “Infanzia”, “Le bestie”, “Luna piena”, in questo volume pubblicato nella collana Oscar Ink di Mondadori (pagg. 255, euro 22) sceglie di rispettare in maniera scrupolosa l’andamento del romanzo. Si concede soltanto un sostanziale cambiamento. per entrare subito, con grande forza visionaria, nella trama: lascia, cioè, il “Chiamatemi Ismaele” dell’incipit melvilliano per il finale del libro. Quando, ormai, la titanica sfida è terminata.

Molto belli i disegni, tracciati con un alternarsi di luci e ombre che restituiscono alla storia di Melville tutto il suo fascino arcano e dirompente. Ridotto all’essenziale il testo, scandito da scarni capitoli l’andamento della caccia alla Balena Bianca. Dirompente il crescendo dell’ossessione di Achab, che porterà se stesso e l’equipaggio del Pequod incontro alla rovina.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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